Sentenza Sentenza n. 8471 del 31/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 31/03/2017, (ud. 19/01/2017, dep.31/03/2017),  n. 8471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28027-2012 proposto da:

M.A., C.F. (OMISSIS), M.G. CF MSAGRG52T15G565I,

S.E. C.F. SRTGNE52B24F229G, R.M. C.F.

RTEMRZ53M15F229G, elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 18, presso lo STUDIO GREZ E ASSOCIATI S.R.L.,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIANFRANCO PERULLI, giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati LUIGI

CALIULO, ANTONELLA PATTERI, GIUSEPPINA GIANNICO, SERGIO PREDEN,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 394/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/10/2012 R.G.N. 242/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine rigetto del ricorso; udito l’Avvocato PATTERI ANTONELLA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 394/2012, la Corte d’Appello di Venezia, per quanto d’interesse, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’INPS ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, tra l’altro, respingeva la domanda svolta da M.A., M.G., R.M., S.E., intesa ad ottenere l’accertamento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto prevista dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 e succ. mod. per l’attività da essi espletata presso lo stabilimento di Mira dell’impresa Mira Lanza (ora Reckitt Beckensir).

A fondamento della decisione la Corte d’Appello sosteneva che il diritto invocato dai suddetti lavoratori non potesse sussistere perchè la consulenza tecnica d’ufficio espletata in appello aveva accertato una esposizione dei lavoratori a rischio amianto inferiore rispetto alla soglia richiesta come limite minimo dal D.Lgs. n. 277 del 1991 (100 ff/1 per oltre dieci anni).

Per la cassazione di questa sentenza, ricorrono i quattro lavoratori con tre motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31, della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per mancata coincidenza tra i fatti riguardanti i ricorrenti e la fattispecie astratta ad essi applicabile; in quanto la fattispecie concreta relativa all’esposizione subita dai ricorrenti era altra rispetto a quella ritenuta dalla Corte d’Appello di Venezia, in considerazione della diffusa presenza dell’amianto nell’intera struttura costituente il luogo di lavoro dei ricorrenti; talchè l’intero ambiente di lavoro era saturo di particelle di amianto.

2. Col secondo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 e dell’art. 24 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla necessità di interpretare le norme in esame in senso estensivo e più favorevole al destinatario della tutela, in quanto correlata a quella del diritto alla salute ed alla sua natura di diritto assoluto.

3. Col terzo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 e dell’art. 24 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), in quanto la prova del superamento di limiti espositivi rigidi e fissi rappresenta una probatio quasi diabolica il cui onere è inammissibile alla luce dell’art. 24 Cost.

4. I motivi di ricorso, i quali possono essere esaminati unitariamente per la connessione che li contraddistingue, sono infondati.

4.1. Il primo motivo di ricorso mira in realtà, in modo evidente, ad un generale riesame dei fatti, inammissibile in questa sede. Deve allora ricordarsi che quello di cassazione non è un terzo grado di giudizio il cui compito sia di verificare la fondatezza di ogni affermazione effettuata dal giudice di appello nella sentenza. Esso è invece (Cass. Sez. 5, sentenza n. 25332 del 28/11/2014) un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti; ma deve promuovere specifiche censure nei limiti dei motivi consentiti dalla legge.

4.2. Lo stesso motivo in esame difetta inoltre di autosufficienza nella parte in cui al fine di infirmare il giudizio della Corte di merito richiama singoli passi della consulenza tecnica, che però non riproduce integralmente nè produce con il ricorso.

4.3. In ogni caso si tratta di critiche irrilevanti, dovendo osservarsi che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte il beneficio in questione presuppone l’assegnazione ultradecennale del lavoratore a mansioni comportanti un effettivo e personale rischio morbigeno a causa della presenza nel luogo di lavoro di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori limite indicati nel D.Lgs. n. 277 del 1991 e succ. mod.; onde a nulla può valere ai fini dell’identificazione della fattispecie l’astratta l’obiezione secondo cui nell’ambiante di lavoro vi fosse una ampia diffusione di fibre aerodisperse di amianto, in mancanza del superamento dei limiti di legge, che lo stesso ricorso neppure sembra contestare.

4.4. Neppure quello dedotto può essere qualificato alla stregua di un vizio di sussunzione il quale, al contrario di quanto affermato nel ricorso, implica che non vengano messi in discussione i fatti accertati dal giudice ma soltanto la loro qualificazione. Le Sezioni Unite di questa Corte insegnano (sent. n. 5 del 2001), infatti, che il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva di una norma, ma il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 comprende anche l’errore di sussunzione del fatto nell’ipotesi normativa. Allo scopo di identificare tale vizio, sovente inteso come falsa applicazione di legge, è indispensabile, così come in ogni altro caso di dedotta falsa applicazione di legge, che si parta dalla ricostruzione della fattispecie concreta così come effettuata dai giudici di merito; altrimenti si trasmoderebbe nella revisione dell’accertamento di fatto di competenza di detti giudici. Fermi i dati fattuali di partenza: rispetto ad essi può essere verificata in sede di legittimità la corretta riconduzione alla fattispecie astratta.

4.5. Non sono nemmeno fondate le censure riferite alla necessità di tener conto nell’interpretazione della norma in esame della sua correlazione con il diritto alla salute e con l’assolutezza che lo distingue.

Invero, secondo l’orientamento prevalso in giurisprudenza ed oramai consolidato, il disposto della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 va interpretato, in ragione dei criteri ermeneutici letterale, sistematico e teleologico, nel senso che il beneficio stesso va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano valori di rischio per esposizione a polveri d’amianto superiori a quelli consentiti dal D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, artt. 24 e 31. La lettura dell’intero L. n. 257 del 1992, art. 13 attesta infatti una volontà di parametrare i benefici da riconoscere ai lavoratori ivi contemplati all’entità del rischio di esposizione; e pertanto la maggiorazione in discorso deve essere riconosciuta a coloro che, per essere stati occupati situazioni di rischio più elevato, risultavano maggiormente esposti al rischio di detto materiale.

5.- Tale conclusione è stata ripetutamente avallata anche dalla giurisprudenza costituzionale la quale è intervenuta plurime volte sulla normativa in materia certificandone la totale legittimità (tra le altre, Corte Cost. sentenza n. 5/2000, 127/2002, 376/2008), anche in considerazione del fatto che una interpretazione diversa sarebbe finita per legittimare un notevole “sforamento” di ogni pur attendibile previsione di spesa.

6.- Infine per quanto riguarda le censure sollevate sotto il profilo dell’effettività del riconoscimento del diritto sul piano processuale, deve rilevarsi che neppure esse colgono nel segno; posto che, proprio al fine di non rendere impossibile il riconoscimento di tale beneficio, gravando il lavoratore di una probatio diabolica, questa Corte ha pure affermato che sotto il profilo probatorio non è necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a quantificare con esattezza la frequenza e la durata dell’esposizione, potendo ritenersi sufficiente, qualora ciò non sia possibile, avuto riguardo al tempo trascorso e al mutamento delle condizioni di lavoro, che si accerti, anche a mezzo di consulenza tecnica, la rilevante probabilità di esposizione del lavoratore al rischio morbigeno, attraverso un giudizio di pericolosità dell’ambiente di lavoro, con un margine di approssimazione di ampiezza tale da indicare la presenza di un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia indicata dalla legge (Cass. Sez. L, Sentenza n. 16119 del 01/08/2005, Sez. L, Sentenza n. 19456 del 20/09/2007).

7. In conclusione la sentenza impugnata appare rispondente alle norme di legge ed alla loro interpretazione secondo la giurisprudenza di questa Corte e si sottrae pertanto alle censure sollevate contro di essa con il ricorso il quale va quindi rigettato.

8. Le spese del giudizio di legittimità possono compensarsi per l’alternarsi degli esiti dei vari giudizi di merito e delle ctu, attestanti una fattispecie concreta di non agevole ricostruzione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2017

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