Sentenza Sentenza n. 1719 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2019, (ud. 18/09/2018, dep. 23/01/2019), n.1719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in Roma, via delle Cave

42 presso l’avv. Maria Laviensi, rappresentato e difeso dall’avv.

Ameriga Petrucci, per procura in calce al ricorso, (p.e.c.

avvamerigapetrucci.legalmail.it; fax n. 0972/723866);

– ricorrente –

nei confronti di:

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato (fax n. 06/96514000; p.e.c. ags

m2.mailcert.avvocaturadistato.it) dalla quale è, rappresentato e

difeso ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 499/2016 della Corte di appello di Potenza

emessa il 16 novembre 2016 e depositata il 22 dicembre 2016, R.G. n.

514/15;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons.

Bisogni Giacinto.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. S.B., cittadino ivoriano, nato a Toumoudi, nella regione di Belier, il (OMISSIS), ha chiesto alla Commissione territoriale di Crotone per la protezione internazionale il riconoscimento del diritto allo status di rifugiato o, subordinatamente, alla protezione sussidiaria o umanitaria. Il richiedente ha esposto di essere stato costretto a lasciare la Costa d’Avorio in quanto temeva di essere vittima di violenza da parte dello sposo imposto dalla famiglia alla ragazza con cui aveva intrapreso una relazione, timore che si era aggravato quando aveva saputo che il suo rivale si era unito a un gruppo armato insurrezionale. La Commissione territoriale ha respinto il ricorso.

2. Il sig. S.B. ha quindi adito il Tribunale di Potenza che, con ordinanza del 7 ottobre 2015, ha ritenuto infondata la sua domanda di protezione internazionale.

3. La Corte di Appello ha confermato la decisione di primo grado escludendo l’esistenza di una persecuzione ai danni del richiedente idonea a giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria ha ritenuto che la stessa narrazione del ricorrente relativa alla sua situazione personale non ha un qualche collegamento con la situazione di conflitto interno in Costa d’Avorio denunciata dal ricorrente per la presenza di una attività terroristica di vaste proporzioni territoriali e di intensità ma che, all’esame delle informazioni di fonte attendibile internazionale, non appare tale da integrare una situazione di violenza indiscriminata così importante da rendere superflua ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’individualizzazione della prospettazione del rischio di grave danno alla persona.

Infine quanto alla domanda di protezione umanitaria, respinta dal Tribunale in relazione alla scarsa credibilità del richiedente e alla assenza dei presupposti per la sua concessione, la Corte di appello ha rilevato che il ricorrente non ha specificato quali siano le gravi ragioni che giustificherebbero la richiesta di protezione.

4. Avverso la sentenza della Corte d’appello il ricorrente propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi: a) violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per essere la motivazione della sentenza meramente apparente, affetta da contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perplessa e obiettivamente incomprensibile; b) violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di fatti decisivi; c) violazione e/o errata applicazione delle seguenti norme di diritto: art. 1 Convenzione di Ginevra del 1951; art. 25 dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo Onu del 1948; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; artt. 2,10 e 32 Cost.; d) diniego della protezione umanitaria – violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

5. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza della Corte di appello per aver reso una motivazione del tutto apodittica sulla insussistenza delle ipotesi previste dal D.Lgs n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nonchè per aver ignorato le deduzioni e allegazioni relative alla esistenza di un conflitto armato in Costa d’Avorio, come si desume dal rapporto di Amnesty International per l’anno 2016/2017, riportato nel testo del ricorso, e per non aver valutato il nesso che lega la sua vicenda personale (minacce provenienti da un aderente alle formazioni militarizzate ribelli) con la situazione generale del paese.

6. Con il secondo motivo il ricorrente censura l’omesso esame delle richieste istruttorie e della memoria prodotta in sede di audizione davanti alla Commissione territoriale.

7. Con il terzo motivo di ricorso si contesta la decisione della Corte di appello perchè non ha effettuato la valutazione di credibilità del richiedente asilo in base ai criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, richiamati ripetutamente dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n. 16202/2012). Inoltre il ricorrente lamenta il mancato approfondimento che i giudici del merito avrebbero dovuto compiere, con la richiesta di chiarimenti alla parte o con l’acquisizione, d’ufficio, di informazioni circa la situazione dedotta a sostegno della richiesta di protezione internazionale, sia per quanto riguarda la situazione di violenza indiscriminata esistente in Costa d’Avorio, sia con riferimento alla sua vicenda personale che si inserisce nel grave conflitto interetnico che ha insanguinato per anni il paese. In questa prospettiva il ricorrente lamenta anche di non essere stato ascoltato nel corso del giudizio di merito, nonostante la sua richiesta finalizzata proprio all’intento di spiegare l’esatta portata della sua decisione di lasciare il paese. Il ricorrente censura la decisione della Corte di appello per non aver valutato attentamente la sua vicenda personale puntualmente descritta nella memoria consegnata alla Commissione territoriale. Egli infatti, come si è accennato, non ha potuto portare avanti la relazione con la persona cui era legato e che lo avrebbe scelto come suo compagno di vita a causa della ostilità, derivante dalla diversità di etnia, della famiglia della ragazza, la quale doveva subire un matrimonio imposto, secondo una prassi largamente diffusa in Costa d’Avorio di coartazione della volontà delle donne. L’insistenza della ragazza nel voler comunque proseguire la relazione lo aveva esposto alle minacce di morte del “promesso sposo” rese particolarmente temibili dalla adesione di quest’ultimo a un gruppo insurrezionale militarizzato.

8. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza della Corte distrettuale perchè ha sostanzialmente omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria sul presupposto del mancato riconoscimento delle condizioni legittimanti la tutela maggiore oltre che sull’erronea e immotivata convinzione della mancanza di collegamento tra la situazione personale del ricorrente e la situazione del suo paese di provenienza. Il ricorrente si riferisce in particolare alla violazione, che incontrerebbe il ricorrente rientrando in patria, dei propri diritti più direttamente legati alla sua sfera personale e fa riferimento anche alla compromissione, a causa delle condizioni del suo paese, di beni primari quali la salute e l’alimentazione. Rileva che la Corte di appello ha recepito una qualificazione della protezione umanitaria contrastante con quella affermata dalla giurisprudenza di legittimità che definisce la protezione umanitaria come una misura residuale che presenta caratteristiche e presupposti non coincidenti con quelli riguardanti le misure di protezione maggiori e che si basa sul riscontro di una situazione di vulnerabilità del richiedente. Tale situazione non è stata valutata dalla Corte di appello che ha motivato la sua decisione di rigetto della domanda di protezione umanitaria su un acritico recepimento della motivazione di primo grado e su affermazioni incomprensibili e non pertinenti rispetto al caso in esame.

Diritto

RITENUTO

CHE:

9. Il primo motivo di ricorso è infondato. Sull’art. 14, lett. a) e b), la motivazione, implicita nel richiamo normativo compiuto dalla Corte di appello, appare idonea a giustificare l’esclusione, nella domanda di protezione del ricorrente, del riferimento alle due specifiche individuazioni dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria. Contrariamente poi all’assunto del ricorrente la Corte di appello non ha ignorato la descrizione della Costa d’Avorio contenuta nel rapporto di Amnesty International, che ha ampiamente riportato nella motivazione, ma ha escluso, con una valutazione di merito non sindacabile in questo giudizio, che essa sia qualificabile come conflitto interno produttivo di una situazione di violenza indiscriminata. Ha ritenuto, per altro verso, che il profilo di rischio derivante dalla situazione descritta nel rapporto non sia stato adeguatamente individualizzato con riferimento alla situazione personale del ricorrente.

10. Il secondo motivo è inammissibile perchè non risponde ai requisiti richiesti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. civ. S.U. n. 8053 del 7 aprile 2014). Inoltre il motivo di ricorso è privo di autosufficienza rispetto alla individuazione degli elementi di interesse per il giudizio asseritamente non valutati dalla Corte di appello.

11. Il terzo motivo di ricorso va esaminato unitamente al quarto motivo relativamente ai profili di rilevanza della vicenda personale del ricorrente, pur precisando che la decisione della Corte di appello non è basata su una valutazione di inattendibilità della narrazione del ricorrente. Quanto invece alla mancata acquisizione di informazioni circa la situazione generale della Costa d’Avorio va ribadito che la Corte di appello ha attribuito rilevanza e attendibilità alla relazione di Amnesty International, di cui ha riportato ampi brani nella motivazione, ma ha escluso l’esistenza di un nesso, fra la situazione descritta nel report e la situazione personale del ricorrente, tale da potersi considerare rilevante ai fini della concessione della protezione sussidiaria. Si tratta anche qui di una valutazione di merito espressa con motivazione coerente e non sindacabile in questo giudizio.

12. Il quarto motivo è inammissibile perchè il ricorrente non censura la ratio decidendi di indeterminatezza delle ragioni addotte a sostegno della richiesta di protezione umanitaria e anzi fa riferimento nuovamente alla situazione di violenza esistente in Costa d’Avorio, che come si è detto è stata ampiamente valutata dalla Corte di appello, e a circostanze ulteriori e del tutto generiche – e che non risulta abbiano costituito l’oggetto della domanda del ricorrente e del contraddittorio nel corso del giudizio di merito – quali la inalienabilità del diritto alla salute e all’alimentazione. Anche sotto il profilo della vicenda personale descritta dal richiedente asilo deve rilevarsi come la situazione di vulnerabilità è identificabile, nella vicenda narrata sin davanti alla Commissione territoriale, in una condizione di costrizione personale che non riguarda direttamente il ricorrente ma semmai la donna con cui avrebbe intrapreso una relazione, condizione cui la stessa, secondo la narrazione del ricorrente, non ha potuto o voluto sottrarsi mentre la minaccia riferita dal ricorrente è dipesa dalla possibilità, contrastata dal promesso sposo, di una relazione clandestina cui il ricorrente ben avrebbe potuto e potrebbe sottrarsi. Tali considerazioni portano ad escludere che, anche sotto questo profilo, la Corte di appello non abbia valutato esaustivamente la domanda pervenendo così ad escludere una condizione di vulnerabilità a carico del ricorrente nel caso del suo rientro in Costa d’Avorio.

13. Il ricorso per cassazione va pertanto respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, restando esclusa l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, per essere il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 2.050 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello che sarebbe dovuto a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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