Sentenza Sentenza Corte di appello n. 9419 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/05/2020, (ud. 11/10/2019, dep. 22/05/2020), n.9419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 653-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.L., B.R., elettivamente domiciliati in ROMA

VIA DELLE QUATTRO FONTANE 20, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE CERULLI IRELLI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PIER LUIGI NOVELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 46/2012 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 01/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/10/2019 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 46/35/12, depositata il primo ottobre 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale (CTR) della Toscana rigettò, previa riunione, gli appelli principali, separatamente proposti dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dei signori B.R. e B.L., accogliendo invece gli appelli incidentali proposti dai suddetti contribuenti nei confronti dell’ente impositore, avverso le otto sentenze rese dalla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Grosseto, che avevano accolto i ricorsi separatamente proposti da ciascun contribuente avverso avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2001, 2002, 2003 e 2004, con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato, con metodo sintetico, ai fini IRPEF e relative addizionali i redditi dichiarati da ciascun contribuente in relazione a ciascun anno d’imposta.

L’accertamento traeva origine dalla richiesta di chiarimenti in ordine alla capacità di spesa, secondo l’Ufficio evidenziata dall’acquisto di un fabbricato per l’importo di Euro 173.944,00 e di quote possedute dal padre Ba.La. nella società Azienda Agricola Ba.La. S.a.s. di L.B. & C., per Euro 962.000,00 rispettivamente nell’anno 2003 e 2004, per i quali i contribuenti avevano addotto che non vi era stata alcuna corresponsione di denaro, diversamente da quanto dichiarato nei rispettivi atti, avendo inteso le parti, il genitore Ba.La. ed i figli B.R., B.L. e b.l., quest’ultima estranea all’accertamento, attraverso le fittizie cessioni dei detti beni a titolo oneroso, disporre in vita del Ba.La. le quote del suo patrimonio in favore dei figli in violazione delle norme in tema di successione e di donazione.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resistono i contribuenti con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo l’Amministrazione finanziaria ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e seguenti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando l’erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui ha affermato che – occorrendo la prova dell’effettivo pagamento delle transazioni perchè possa operare la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, nella sua formulazione applicabile ratione temporis, ed avendo l’Ufficio unicamente dedotto l’avvenuta corresponsione di denaro sulla base delle qualificazione dei rispettivi atti come atti di vendita, nei quali si dava atto che il prezzo come corrispettivo delle cessioni era già stato corrisposto in favore della parte venditrice – la legittimità dell’accertamento non poteva basarsi su un’unica inferenza presuntiva, per giunta contestata, potendo secondo la CTR, il quadro probatorio “dirsi perfezionato con l’assunzione di più elementi autonomi gravi precisi e concordanti”.

In tal modo argomentando, secondo parte ricorrente, la pronuncia impugnata avrebbe di fatto comportato l’inversione dell’onere probatorio, poichè la CTR avrebbe dovuto valutare se la prova contraria offerta dal contribuente fosse idonea a superare la presunzione di cui al citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38.

2. Con il secondo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per quanto concerne la valutazione della prova della simulazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando come la pronuncia impugnata, ignorando del tutto i limiti probatori eccepiti dall’Ufficio, riguardo all’atto definito “di sistemazione patrimoniale” del 24 maggio 2000 tra i membri della famiglia B. ed alla scrittura privata del (OMISSIS), trattandosi di scritture private non autenticate e prive di data certa che, in primis, avrebbero dovuto costituire invece, secondo i contribuenti, conferma della natura simulata dei due succitati negozi di vendita, abbia poi in maniera del tutto apodittica, condividendo sul punto la decisione di primo grado che di fatto si sostanziava nel generico riferimento alla “copiosa” documentazione prodotta, ritenuto quest’ultima idonea a sorreggere l’assunto dei contribuenti in ordine alla natura simulata degli atti qualificati come di vendita.

3. Con il terzo motivo, infine, la ricorrente Amministrazione finanziaria deduce, in subordine, nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 52, 53, in combinato disposto con l’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella parte in cui la pronuncia impugnata ha accolto gli appelli incidentali dei contribuenti limitati alla disciplina delle spese di lite, assumendo il difetto d’interesse all’impugnazione dei relativi capi delle sentenze di primo grado, atteso che anche in ordine alla regolamentazione delle spese di lite le parti private erano risultate vittoriose.

4. Con il primo motivo la ricorrente Amministrazione finanziaria lamenta l’erroneità in diritto della sentenza impugnata sul presupposto che la ratio decidendi di detta pronuncia sia da cogliere esclusivamente nell’affermazione secondo cui “l’unica presunzione dedotta dall’Ufficio negli atti di rettifica comporti l’inversione dell’onere della prova in capo agli odierni appellanti”, avendo ancora osservato la CTR che la legittimità dell’accertamento non poteva basarsi su un’unica inferenza presuntiva, per giunta contestata, potendo il quadro probatorio “dirsi perfezionato con l’assunzione di più elementi autonomi gravi precisi e concordanti”.

4.1. Detta statuizione è senz’altro in sè erronea in diritto, contrastando con il principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo il quale, “in materia di accertamento dell’imposta sui redditi ed alla fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, la sottoscrizione di un atto pubblico (nella specie: compravendita) contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici, che l’ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l’accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto a quello ignoto, restando poi sempre consentita, a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anzichè quella onerosa apparente” (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, ord. 16 settembre 2010, n. 19637; Cass. sez. 5, 17 marzo 2006, n. 5991; Cass. sez. 5, 2002, n. 8665, queste ultime pur richiamate dalla stessa decisione impugnata).

4.2. Sennonchè la formulazione del motivo quale addotto dall’Amministrazione ricorrente estrapola detta affermazione dall’intero contesto espositivo della pronuncia impugnata, dal quale si rileva che la CTR ha altresì affermato che parte ricorrente “ha dato prova che il contratto” (recte ciascun contratto) “è simulato, dissimulando una scrittura privata, che nessun prezzo è stato effettivamente pagato, e che le sistemazioni patrimoniali effettuate a favore dei figli hanno carattere di liberalità e da finanziamenti effettuati alla società prima della cessione prima della cessione delle quote”.

4.3. Si tratta di accertamento in fatto che la ricorrente Agenzia delle Entrate ha inteso censurare con il secondo motivo di ricorso in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento alla valutazione della prova della simulazione.

4.4. Non vi è dubbio, quindi, che la stessa Amministrazione ricorrente abbia considerato la statuizione qui in esame come espressiva di concorrente ratio decidendi oltre a quella oggetto di censura con il primo motivo di ricorso.

5. Tuttavia il secondo motivo, che si riferisce alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua formulazione anteriore alla riforma di detta norma apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, è inammissibile.

5.1. Trova, infatti, applicazione, ratione temporis, nel presente giudizio, per effetto della disposizione di cui al citato decreto, art. 54, comma 3, come convertito nella summenzionata legge, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riferita al motivo di ricorso per cassazione avente ad oggetto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, avendo ad oggetto il ricorso per cassazione l’impugnazione di sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana pubblicata in data 1 ottobre 2012, oltre dunque il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della citata L. n. 134 del 2012, dovendosi quindi ritenere venuta meno, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053), la possibilità di censura della decisione di merito in relazione alla lacuna motivazionale che si sostanzi nell’insufficiente o contraddittoria motivazione.

5.2. A ciò consegue che l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito, che l’ha condotto a ritenere simulati i due negozi in oggetto, per avere ciascuno di essi causa gratuita, in luogo di quella onerosa apparente, è ormai definitivo.

6. Ciò comporta, a sua volta, che la statuizione in diritto, pur erronea, resa dalla CTR così come riportata e censurata dall’Amministrazione con il primo motivo di ricorso, va corretta, secondo quanto previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 2, nel senso della riaffermazione del principio di diritto espresso dalle succitate pronunce di questa Corte (Cass. n. 19637/10; Cass. n. 5991/06 e Cass. n. 8665/02) come sopra trascritto, essendo il dispositivo comunque conforme a diritto, per effetto dell’intangibilità dell’accertamento in fatto compiuto dalla CTR sulla causa gratuita dei due negozi in luogo di quella onerosa apparente, essendo stata in proposito ritenuta la prova contraria offerta dai ricorrenti idonea al superamento della presunzione fondata sul disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38.

7. Il terzo motivo è infondato.

Non ricorre, infatti, la dedotta carenza d’interesse all’impugnazione quanto al motivo di appello incidentale dei contribuenti sul governo delle spese quale operato dal giudice di prime cure, essendosi i contribuenti doluti della liquidazione disposta dalla CTP in misura inferiore ai minimi tariffari allora vigenti. Nè la censura investe in sè la legittimità della liquidazione delle spese come complessivamente operata dalla CTR per il doppio grado di giudizio.

8. Il ricorso dell’Amministrazione finanziaria va pertanto rigettato.

9. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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