Sentenza Sentenza Corte di appello n. 1609 del 20/01/2017

Cassazione civile, sez. II, 20/01/2017, (ud. 14/12/2016, dep.20/01/2017),  n. 1609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23833-2012 proposto da:

B.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IPPOLITO NIEVO 61, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO ADAMO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORENZO PRES0T

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO

VII 474, presso lo studio dell’avvocato ORLANDO GUIDO, rappresentato

e difeso dall’avvocato MARIAROSA PLATANIA giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 399/2012 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 22/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Lorenzo Presot per la ricorrente e l’Avvocato Paola

Pezzoji per delega dell’Avvocato Platania per il controricorrente;

udito il P.m. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 13 agosto 2003, C.G. conveniva in giudizio Ce.Al. e B.C. davanti al Tribunale di Gorizia, chiedendo la loro condanna a risarcire il danno subito per la negligente conduzione dell’incarico professionale affidatogli.

Si costituiva la sola B.C., la quale chiedeva il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Gorizia, con sentenza depositata il 28 luglio 2009, rigettava la domanda attrice.

Proponeva appello C.G., con atto notificato il 16 dicembre 2009, chiedendo la riforma della sentenza impugnata.

Si costituiva, tardivamente, la sola B.C..

La Corte di Appello di Trieste, con sentenza n. 399/12, accoglieva l’appello nei confronti di Ce.Al..

B.C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.

C.G. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente.

Questi evidenzia che la copia notificatagli reca in calce la sola sottoscrizione dell’avv. Presot, e non anche dell’avv. Adamo, e che il primo non è iscritto all’albo speciale degli avvocati cassazionisti.

Sostiene che se l’avv. Adamo non ha sottoscritto l’originale del ricorso, lo stesso è inammissibile ai sensi dell’art. 365 c.p.c., ma se anche fosse stato sottoscritto l’originale, l’impugnazione sarebbe del pari inammissibile, in quanto la copia non contiene elementi atti a dimostrare la provenienza dell’atto da un difensore munito di procura speciale.

L’eccezione è priva di fondamento.

Ed, infatti, la copia notificata del ricorso, sebbene rechi in calce la sola sottoscrizione dell’avv. Presot, reca altresì l’autenticazione della firma della parte che ha rilasciato la procura speciale, sia ad opera dell’avv. Presot che dell’avv. Adamo, difensore quest’ultimo pacificamente iscritto all’albo speciale.

Costituisce orientamento costante nella giurisprudenza di questa Corte, quello per il quale è ammissibile il ricorso per cassazione qualora l’avvocato, pur non avendone firmato il testo, abbia sottoscritto il mandato ad litem, apposto in calce affatto, per autenticare la firma del mandante, valendo tale sottoscrizione anche a far proprio il ricorso precedentemente esteso, al quale fa logico e necessario riferimento (così ex multis Cass. n. 18491/2013; Cass. n. 17359/2003; Cass. n. 6225/2005).

Ne consegue che la sottoscrizione per autentica della firma del mandante da parte dell’avv. Adamo esclude la sussistenza della dedotta inammissibilità.

2. Con un unico motivo di ricorso B.C. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e ss., nonchè la carenza e l’illogicità della motivazione, poichè la corte territoriale aveva disposto la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio intercorsi fra la medesima ricorrente ed il resistente, nonostante quest’ultimo fosse risultato integralmente soccombente.

La doglianza è infondata.

Nel sistema di regolamento delle spese processuali previgente alla sostituzione dell’art. 92 c.p.c., comma 2 ad opera della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2 applicabile, per effetto della proroga disposta dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39-quater convertito, con modif., nella L. 23 febbraio 2006, n. 51, del termine inizialmente fissato al 1 gennaio 2006, ai procedimenti instaurati successivamente alla data del 1 marzo 2006 (fra cui non rientra, quindi, quello in questione, introdotto con atto di citazione notificato il 13 agosto 2003), trova applicazione il principio secondo il quale l’avvenuta compensazione delle spese è sindacabile, in sede di legittimità, nei soli casi di violazione di legge, come nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le stesse siano state poste a carico della parte totalmente vittoriosa.

Al contrario, la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, sia quando vi sia una soccombenza reciproca, sia ove sussistano (come nella specie) giusti motivi, che il giudice non è tenuto a specificare, e la relativa statuizione non è censurabile in Cassazione.

In particolare, l’esistenza di ragioni che giustifichino la compensazione per giusti motivi va posta in relazione e deve essere integrata con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, delle quali deve ritenersi che il magistrato abbia tenuto conto in concreto nel loro complesso, stante l’inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese (Cass., Sez. 6 – L, ordinanza n. 1997 del 4 febbraio 2015, Rv. 634612; Cass., Sez. 5, n. 20457 del 6 ottobre 2011, Rv. 619315; Cass., Sez. 1, n. 24495 del 17 novembre 2006, Rv. 595203; Cass., Sez. 3, n. 17457 dcl 31 luglio 2006, Rv. 592070).

Nella presente controversia, il giudice di secondo grado ha, peraltro, espressamente indicato la ragione della compensazione, motivandola con l’oggettiva incertezza sull’esito della lite per la scusabile confusione dei ruoli dei due professionisti da parte del cliente”, con ciò chiaramente ponendo in evidenza la difficoltà di accertamento dei fatti di causa e, soprattutto, dell’ampiezza dell’oggetto dell’incarico conferito dal resistente all’avvocato B..

3. Ne consegue il rigetto del ricorso.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Si dà atto che la sentenza è stata redatta con la collaborazione dell’Assistente di Studio Dott. Ca.Da..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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