Sentenza Sentenza Corte di appello n. 13825 del 09/06/2010

Cassazione civile sez. III, 09/06/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 09/06/2010), n.13825

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1684/2006 proposto da:

B.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo studio dell’avvocato

MASTROBUONO Sebastiano, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MOZE SERGIO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G. (OMISSIS);

– intimato controricorrente –

sul ricorso 5971/2006 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

MICHELANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato MANFREDONIA MASSIMO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DEL ZOTTO

GIANCARLO giusta delega a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO

MASSIMO 60, presso lo studio dell’avvocato MASTROBUONO SEBASTIANO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MOZE SERGIO

giusta delega a margine del ricorso principale;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 411/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

Sezione Prima Civile, emessa il 29/4/2005, depositata il 10/06/2005,

R.G.N. 378/C/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato SERGIO MOZE;

udito l’Avvocato MASSIMO MANFREDONIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso previa riunione dei ricorsi, rigetto

di entrambi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.G. conveniva in giudizio la moglie B. M., da cui era separato, rivendicando beni immobili e titoli azionari fittiziamente ad essa intestati.

La B., con separata citazione, chiedeva in restituzione i terreni detenuti e goduti dal marito sine titulo. Questi ne eccepiva la proprietà; comunque chiedeva il pagamento del valore degli incrementi apportati sui beni della moglie.

Il Tribunale rigettava le domande di rivendica del C. ed accoglieva quelle della B., condannandola a pagare, per migliorie, anche sulla comune casa coniugale di (OMISSIS), Euro 106.898,83, con rivalutazione ed interessi dalla domanda.

Con sentenza del 2 luglio 2005 la Corte di appello di Trieste confermava la sentenza di primo grado sulle seguenti considerazioni:

1) il Tribunale aveva correttamente ritenuto sfornita di prova la domanda del C. di proprietà delle azioni IMAT, simulatamente o per patto fiduciario intestate alla B., perchè fondata soltanto sulle dichiarazioni rese dal teste R., direttore della s.p.a. Imat, che ha riferito la versione fornitagli dal C., secondo la quale questi voleva intestare le azioni di detta società alla moglie per ragioni fiscali, senza però aggiungere che il danaro era proprio, ed infatti, per anni, il C. aveva utilizzato terreni non suoi mettendoli a frutto, e perciò il suo appello doveva esser respinto; 2) anche l’appello della B. sulla ritenuta proprietà esclusiva al C. del danaro occorso per le migliorie sulla casa comune di (OMISSIS) era infondato perchè, confermato dalla B. che gli assegni per il pagamento dei lavori erano stati tratti sul c/c del marito, su cui la stessa aveva la delega, i documenti dalla medesima prodotti in appello attestavano che nel maggio del 1984 erano stati pagati dalla società Imat dividendi per L. 126 milioni, versati su detto conto corrente – e su cui nel febbraio 1985 il sostituto di imposta aveva pagato il tributo – mentre la delega conferita dalla B. al marito nel 1985 per riscuotere il dividendo in pagamento nel maggio del medesimo anno non aveva valore probatorio perchè proveniente dalla stessa che lo invocava a suo favore, ed inoltre i lavori furono pagati almeno un anno dopo, sì che la B. doveva dimostrare altresì di non aver prelevato da detto conto corrente la somma versata, tanto più che il C. aveva provato di aver sborsato di suo circa L. 200 milioni nel 1985, mentre il costo totale del restauro, per stessa ammissione della B., a tale epoca era superiore a L. 300 milioni.

Ricorre per cassazione B.M., cui resiste C. G. che ha altresì proposto ricorso incidentale, cui resiste la B..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., vanno riuniti i ricorsi.

1.1 – Va preliminarmente esaminato il ricorso incidentale.

Con esso il C. deduce: “Violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione art. 360 c.p.c., n. 5, sulla negata titolarità delle azioni Imat”.

Erroneamente la Corte di merito ha disatteso la testimonianza del R.. Se i terreni della B. sono divenuti fruttiferi per il lavoro impiegatovi dal C., con quale danaro la B. poteva aver acquistato le azioni Imat?. Quindi la prova dell’intestazione fittizia era stata fornita.

Il motivo, pur volendolo ritenere ammissibile, è infondato, avendo la Corte di merito a pag. 13, ultime righe, e a pag. 14, prime righe, evidenziato che il C. “ebbe, per anni, a godere dei terreni della moglie, sicchè di certo ebbe a farli fruttare, ma di certo ciò fu possibile perchè poteva usare di beni non suoi”. Di conseguenza è immune da vizi logici la motivazione secondo cui il C., per comprare azioni alla B., ben poteva aver investito la parte dei frutti dei terreni di costei, ad essa legittimamente spettante.

2.- Con un unico motivo la ricorrente principale ricorre per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sul punto dell'”esecuzione dei lavori nella casa di Pordenone e delle prove del loro pagamento”.

Pacifica l’entità dei lavori stimata dal C.T.U. in L. 330 milioni, ciascuna delle parti doveva pagare L. 165.000.000. La valutazione delle prove del loro pagamento è erronea in diritto e contradittoriamente motivata. Infatti il conto corrente da cui sono stati tratti gli assegni per pagare i lavori era intestato al C. e su di esso la B. aveva soltanto la delega di gestione e Banca si era rifiutata di fornirle la copia del conto quando, essendo stato chiuso dal C., era venuta meno la delega e quindi non vi era più legittimazione a chiedere la documentazione del conto.

Il documento – prosegue la B. – del maggio 1984, proveniente dalla Imat, conferma che su detto conto sono state versate L. 126 milioni, di sua spettanza, mentre per il 1985 è stata prodotta una lettera della Imat che, detratta l’imposta, afferma che per il 1983 gli utili a favore della B. erano del medesimo importo e con lettera del 1985 questa aveva delegato la Imat a versarle su detto conto.

Provato che l’importo di L. 126 milioni era stato versato sul conto del C., non spettava – adduce ancora la medesima ricorrente- come erroneamente ritenuto dalla Corte, alla B. provare che non aveva utilizzato tale importo, ma al C., che aveva la disponibilità dell’estratto conto, provare tale eventuale circostanza, e quindi, non avendo fornito tale prova, e non avendo contestato di aver ricevuto la delega nel 1985 anche per la riscossione dei dividendi del 1983, manca la prova che il C. non abbia utilizzato dette somme per pagare i lavori della casa comune. Perciò, pacifico il versamento di L. 126 milioni sul conto corrente del C., induttivamente potevano ritenersi versate anche le ulteriori L. 126 milioni, e comunque di L. 165 milioni a carico di ciascuno, almeno L. 126 milioni dovevano ritenersi pagate dalla B. che perciò restava tutt’al più debitrice del residuo.

Il motivo è fondato nei limiti di seguito indicati.

Infatti, ribadito (Cass. 13906/2005, 11866/2007) che la delega ad operare su un conto corrente altrui ha il limitato effetto di vincolare la banca ad eseguire le operazioni per conto del delegante, senza incidenza sul rapporto tra delegante e delegato, spetta al delegante, per il principio della “vicinanza alla prova” (Cass. 11316/2003), provare che il delegato ha prelevato dal conto intestato al delegante delle somme.

Nella fattispecie, avendo la B. provato che la IMAT ha versato sul conto del C. L. 126 milioni quali utili di azioni della predetta, spettava perciò al C. provare che la stessa le aveva poi prelevate dal conto o che egli le aveva spese nell’esclusivo interesse della moglie. Non avendo il C. fornito la prova di tale fatto estintivo, la somma spettante alla B., versata sul conto del C. dalla Imat, va scomputata dal debito della B. per i lavori pagati dal C. sulla casa coniugale. Quanto invece all’ulteriore importo di L. 126 milioni per i dividendi dell’anno 1985 la motivazione della sentenza impugnata che ha escluso la sufficienza della prova per non univocità delle circostanze addotte dalla B. è immune da vizi logici e giuridici e perciò la censura su tale punto va respinta.

Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al profilo di censura accolto e mantenuta ferma nel resto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può esser decisa nel merito detraendo dalla somma che la B. è stata condannata a pagare al C. (Euro 106.898,83) l’importo di Lit.

126 milioni, previa conversione di tale importo in Euro (Euro 65.073,57).

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Accoglie per quanto di ragione il ricorso principale e rigetta l’incidentale. Cassa l’impugnata sentenza, in relazione alla censura accolta, e, decidendo nel merito, condanna B.M. al pagamento, in favore di C. G., della complessiva somma di Euro 41.825,26 oltre rivalutazione e interessi dalla domanda. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2010

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