Sentenza Sentenza Corte Costituzionale n. 70 del 05/04/2018

Corte Costituzionale, 05/04/2018, (ud. 21/02/2018, dep.05/04/2018),  n. 70

Fatto

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 12-15 maggio 2015 e depositato in cancelleria il 15 maggio 2015 (reg. ric. n. 53 del 2015), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Marche 9 marzo 2015, n. 7 (Modifiche alla legge regionale 16 luglio 2007, n. 8 «Disciplina delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e dell’articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e modifica alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”»), in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 9 della direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (versione codificata) e dell’art. 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

2.- La legge regionale impugnata ha aggiunto il comma 2-bis all’art. 2 della legge della Regione Marche 16 luglio 2007, n. 8 (Disciplina delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e dell’articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e modifica alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”) e, in riferimento all’obbligo di indicare le circostanze di tempo e di luogo della deroga ai divieti di caccia, ha previsto che è comunque consentito il prelievo dello storno in prossimità di nuclei di vegetazione produttivi sparsi, a tutela della specificità delle coltivazioni regionali.

L’Avvocatura generale dello Stato ha rappresentato che, in base all’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2009/147/CE, la facoltà degli Stati membri di derogare al divieto di catturare e uccidere uccelli selvatici è subordinata alla sussistenza di ragioni espressamente tipizzate, quali la tutela della salute, la sicurezza pubblica, la prevenzione di gravi danni alle colture, e all’assenza di altre soluzioni soddisfacenti, e la deroga deve specificare le specie di uccelli che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti o i metodi di cattura e uccisione autorizzati, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere applicate, l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni richieste sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, metodi e impianti possono essere impiegati, da quali persone ed entro quali limiti, nonché i controlli che verranno effettuati.

In attuazione della citata direttiva, l’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 ha disciplinato le deroghe, attribuendone l’esercizio alle Regioni e alle Province autonome, che devono disporle con atto amministrativo, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, in via eccezionale e per periodi di tempo limitati, previa analisi puntuale dei presupposti e previa indicazione della sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa sovranazionale.

Secondo la difesa dello Stato, la legge regionale impugnata, subordinando il prelievo dello storno ad una condizione generica e priva di specifiche limitazioni spaziali e temporali (è richiesta soltanto la prossimità a nuclei vegetazionali produttivi sparsi e la tutela della specificità delle coltivazioni regionali), avrebbe privato la deroga del carattere eccezionale e temporaneo attribuitole dalla normativa nazionale e comunitaria, per trasformarla in un rimedio di carattere continuativo e stabile nel tempo; inoltre, l’individuazione della condizione di esercizio della deroga nella legge, invece che nell’atto amministrativo, avrebbe determinato l’elusione dell’obbligo di motivazione e l’elisione del potere di annullamento governativo previsto dall’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992.

3.- Si è costituita la Regione Marche deducendo che la novella legislativa impugnata sarebbe in linea con le prescrizioni normative nazionali e sovranazionali, poiché essa, aggiungendo il comma 2-bis all’art. 2 della legge reg. Marche n. 8 del 2007, si sarebbe limitata a specificare le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo del prelievo venatorio in deroga, individuando una specifica condizione (la prossimità ai nuclei vegetazionali produttivi sparsi) per la cacciabilità di un tipo di uccello (lo storno), in funzione di una precisa esigenza (la tutela della specificità delle coltivazioni regionali).

A parere della difesa regionale, la disciplina legislativa andrebbe valutata complessivamente, tenendo conto del fatto che il comma 3 dell’art. 2 della legge reg. Marche n. 8 del 2007 continua a demandare alla Giunta regionale la competenza ad adottare, in via amministrativa, i provvedimenti di deroga, così assicurando il rispetto delle prescrizioni poste dal legislatore statale e, pertanto, la questione di legittimità costituzionale dovrebbe essere dichiarata inammissibile, per inesatta ricostruzione del quadro normativo, ovvero non fondata.

4.- L’Avvocatura generale dello Stato in data 10 maggio 2016 ha depositato una memoria in replica alla difesa della Regione, ribadendo le proprie ragioni e precisando, in riferimento al quadro normativo, di aver richiamato, nel ricorso introduttivo, la legge reg. Marche n. 8 del 2007, ma di ritenerla irrilevante poiché la novella di cui alla legge reg. Marche n. 7 del 2015 non vi avrebbe dato attuazione, come sostenuto dalla resistente, ma avrebbe inciso autonomamente sulla disciplina del prelievo venatorio, rendendo stabile e continuativa la deroga.

La difesa statale, inoltre, ha rappresentato che, nelle more del giudizio di costituzionalità, è sopravvenuta la legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali), che ha novellato l’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992, introducendo il comma 6-bis, a norma del quale le Regioni, nell’individuare le condizioni di rischio e le circostanze di luogo per il rilascio dell’autorizzazione al prelievo venatorio dello storno, lo consentono in prossimità di nuclei vegetazionali produttivi sparsi e per la tutela della specificità delle coltivazioni regionali.

Secondo il ricorrente, però, la somiglianza di contenuto tra la novella nazionale e la legge regionale censurata non avrebbe incidenza sul giudizio di costituzionalità, poiché la norma impugnata avrebbe avuto applicazione fino all’emanazione della legge statale che ne ha riprodotto, in parte, il contenuto e comunque la coincidenza delle fattispecie disciplinate dalla legge regionale e dalla norma statale sopravvenuta sarebbe solo parziale.

5.- La Regione Marche il 30 gennaio 2018 ha depositato una memoria con cui ha insistito sull’inammissibilità della questione, precisando che dai lavori preparatori della legge regionale Marche n. 7 del 2015 (depositati quali allegati alla stessa memoria) emergerebbe chiaramente la natura meramente attuativa della disposizione impugnata e la necessità della sua introduzione per rispondere all’istanza concorde degli agricoltori e delle associazioni venatorie.

In ogni caso, la disposizione sarebbe coerente con l’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2009/147/CE, che individua tra le finalità della deroga la necessità della prevenzione di gravi danni alle colture, e con l’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 221 del 2015, ha tenore analogo alla previsione censurata, consentendo alle Regioni, in sede di rilascio dei provvedimenti di deroga e in riferimento alle condizioni di rischio e alle circostanze di luogo del prelievo, di autorizzare quello dello storno in prossimità di nuclei vegetazionali produttivi sparsi, per la tutela delle specificità delle coltivazioni regionali.

Infine, la Regione ha rappresentato di aver dato attuazione alla legge impugnata sempre previa adozione dei provvedimenti di autorizzazione della Giunta, allegati in copia alla memoria, nel rispetto di tutte le condizioni prescritte dal legislatore nazionale e sovranazionale, e ha insistito nelle conclusioni già rassegnate.

Diritto

Considerato in diritto

1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione Marche 9 marzo 2015, n. 7 (Modifiche alla legge regionale 16 luglio 2007, n. 8 «Disciplina delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e dell’articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e modifica alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”»), per violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 9 della direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (versione codificata) e all’art. 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

La norma regionale, all’espresso fine di indicare le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo del prelievo venatorio in deroga dello storno, stabilisce che esso è consentito in prossimità di nuclei vegetazionali produttivi sparsi, a tutela della specificità delle coltivazioni regionali.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la natura generalizzata della deroga consentirebbe il prelievo dello storno senza limitazioni di spazio e di tempo così che essa, da istituto giuridico dal carattere eccezionale e temporaneo, sarebbe diventata stabile e continuativa nel tempo, ponendosi in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria.

Inoltre, l’introduzione della deroga attraverso la legge, in luogo del provvedimento amministrativo prescritto dall’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992, avrebbe determinato l’elusione dell’obbligo di motivare l’autorizzazione e l’elisione del potere di annullamento di essa attribuito al Consiglio dei ministri.

2.- La questione è fondata con riferimento a entrambi i parametri.

La tutela degli uccelli selvatici è assicurata nel nostro ordinamento dalla direttiva 2009/147/CE, che ha avuto attuazione con la legge n. 157 del 1992; l’art. 19-bis di tale legge stabilisce specifiche deroghe al divieto di catturare e uccidere uccelli selvatici (“prelievo venatorio”).

La norma nazionale demanda alle Regioni l’esercizio delle deroghe, imponendo però che l’autorizzazione al prelievo venatorio sia disposta con atto amministrativo e prevedendo il contenuto minimo del provvedimento, nel senso che esso deve specificare le ragioni che giustificano la sua adozione, l’assenza di diverse soluzioni soddisfacenti e le modalità e condizioni di esercizio della deroga.

La scelta dello strumento amministrativo consente di motivare in ordine alla ricorrenza delle specifiche condizioni a cui il legislatore statale subordina l’esercizio della deroga, quale strumento di carattere eccezionale e temporaneo, mentre la previsione dell’autorizzazione nella legge regionale impugnata determina l’assorbimento dell’obbligo di motivazione e finisce con il trasformare la stessa deroga in un rimedio stabile e permanente (sentenze n. 260 del 2017, n. 160 e n. 20 del 2012, e n. 250 del 2008).

3.- Inoltre, la disciplina nazionale prevede una speciale procedura di diffida ed annullamento governativo delle delibere regionali sul prelievo delle specie interessate che sono in contrasto con le prescrizioni della legge statale.

É ben vero che la disciplina regionale, oggetto di impugnazione, rimette comunque ad una delibera della Giunta la decisione circa la contingente necessità del prelievo e la fissazione dei tempi e degli ambiti, nella specie la prossimità dei nuclei di vegetazione produttivi sparsi, a tutela delle specificità delle coltivazioni regionali, ma la interposizione della legge regionale rispetto a quella statale viola la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Non ha pregio la difesa della Regione secondo cui la legge impugnata si sarebbe limitata ad individuare una particolare condizione, cioè la prossimità ai nuclei vegetazionali produttivi sparsi, per la cacciabilità dello storno in funzione della precisa esigenza consistente nella specificità delle coltivazioni regionali, poiché la norma in questione recita che «è comunque consentito il prelievo in deroga dello storno (Sturnus vulgaris) praticato in prossimità di nuclei vegetazionali produttivi sparsi, a tutela della specificità delle coltivazioni regionali».

Ora, nello stabilire che la cacciabilità dello storno è “comunque” consentita seppure in determinati ambiti, la norma in questione prescinde da un provvedimento di deroga ad hoc e quindi elide il potere di annullamento governativo del provvedimento di deroga, in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria, con conseguente violazione anche dell’art. 117, primo comma, Cost.

PQM

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Marche 9 marzo 2015, n. 7 (Modifiche alla legge regionale 16 luglio 2007, n. 8 «Disciplina delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e dell’articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e modifica alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”»).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2018.

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 05 APR. 2018.

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