Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9992 del 13/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9992 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
OTERI FRANCESCA N. IL 20/09/1947
avverso la sentenza n. 1791/2012 TRIBUNALE di CATANIA, del
28/02/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 13/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Il Tribunale di Catania ha condannato l’imputata alla pena di € 4.000,00 di
ammenda, concesse le circostanze attenuanti generiche, per il reato di cui agli artt. 5,
lettera g), e 6 della legge n. 283 del 1962, per avere detenuto per la somministrazione
hamburger contenenti additivi chimici vietati, in quanto donavano agli stessi hamburger
l’aspetto della carne fresca.
2.

– Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore,

depenalizzazione della fattispecie incriminatrice ad opera del decreto legislativo n. 179
del 2009.
Si chiede, in secondo luogo, l’assoluzione, in mancanza di prova del fatto.
In terzo luogo si contesta la quantificazione della pena, chiedendo che la stessa
sia determinata nel minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – L’impugnazione – che deve essere qualificata come ricorso per cassazione,
ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., perché proposta contro sentenza non
appellabile, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., in quanto recante condanna
alla sola pena dell’ammenda — è inammissibile.
La prima censura della ricorrente è manifestamente infondata. Infatti – come
questa Corte ha più volte affermato – la legge contenente la disciplina igienica della
produzione e della vendita di alimenti e bevande non ha subito alcun effetto abrogativo
a seguito dell’emanazione dei decreti abrogativi delle leggi pubblicate anteriormente al
1 gennaio 1970 (cosiddetti decreti “taglialeggi”: d.lgs. n. 179 del 2009; d.lgs. n. 212
del 2010; d.lgs. n. 213 del 2010), attuativi della delega conferita con legge 28 novembre
2005, n. 246, in materia di semplificazione legislativa (ex multis, sez. 3, 23 ottobre
2013, n. 46183, rv. 257634; sez. 3, 19 gennaio 2011, n. 9276, rv. 249783).
Con il secondo e il terzo motivo di doglianza, la ricorrente non formula censure
relative a lacune o vizi logici della motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a
genericamente contestare nel merito la valutazione dei fatti e la determinazione della
pena, sulla base di mere affermazioni. E ciò, a fronte di una motivazione che risulta del
tutto adeguata su entrambi tali profili, perché evidenzia che la presenza dell’additivo
chimico vietato è stata accertata sulla base di analisi chimiche sui campioni di carne
prelevati ed evidenzia, altresì, la piena consapevolezza dell’imputata relativamente a
tale elemento, e giunge alla congrua determinazione della pena, sulla basi della
valutazione della gravità del reato e della capacità a delinquere dell’imputata s

un’impugnazione qualificata come appello, deducendo, in primo luogo, l’avvenuta

t

4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 1.000,00.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2015.

P.Q.M.

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