Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9979 del 13/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9979 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
D’ANDRIA ANNA N. IL 13/10/1963
avverso la sentenza n. 1110/2013 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 26/01/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 13/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – La Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di
Taranto, con la quale l’imputata era stata condannata alla pena di un mese di arresto
ed euro 16.000,00 di ammenda, con doppi benefici e demolizione del manufatto
costruito, per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001,
per aver realizzato, in mancanza di permesso di costruire, una vasca da destinare a
piscina e una tettoia in legno (il 29 ottobre 2010).

cassazione, deducendo, con unico motivo di doglianza, la mancanza e la manifesta
illogicità della motivazione, nonché l’erronea applicazione della disposizione
incriminatrice, per la mancata considerazione dei motivi di appello. Non si sarebbe
considerato, inoltre, che l’imputata aveva avviato una pratica di sanatoria dei lavori in
questione, che non costituivano vere e proprie modificazioni incidenti sul territorio, ma
semplici opere di manutenzione, che non avevano alterato la sagoma dell’edificio, né i
volumi e le superfici delle unità immobiliari e non avevano comportato cambio di
destinazione d’uso o di categoria edilizia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su censure formulate in modo
generico.
La ricorrente non precisa, infatti, quali sarebbero i motivi di appello non presi in
considerazione, né quale sarebbe la valenza dell’esame degli stessi ai fini della decisione
della Corte di secondo grado. Del resto, la responsabilità penale è stata ritenuta
pacificamente sussistente sulla base della deposizione dell’ufficiale della polizia
municipale che aveva proceduto all’accertamento. Né la stessa ricorrente ha dedotto
che le opere sarebbero state oggetto di sanatoria, essendosi anzi limitata a mere
indimostrate asserzioni circa la pretesa pendenza del relativo procedimento, non
concluso, presso l’amministrazione. E le opere in questione non possono rientrare nella
categoria della manutenzione, perché nulla hanno a che vedere con la rinnovazione o
sostituzione di parti di edifici preesistenti o con la realizzazione di impianti igienicosanitari. Si tratta, infatti, di opere stabili, che non hanno la caratteristica della
pertinenza al manufatto già esistente e che sono idonee ad alterare in modo significativo
l’assetto del territorio, in quanto costituiscono nuovi volumi e superfici di notevoli
dimensioni, del tutto esterni rispetto alla sagoma dell’edificio preesistente. E da tali
elementi si desume – secondo la corretta valutazione dei giudici di primo e secondo
grado – anche la sussistenza dell’elemento psicologico in capo all’imputata.

2. – Avverso la sentenza l’imputata ha proposto personalmente ricorso per

4. – Non può essere dichiarata la prescrizione del reato (commesso il 29 ottobre
2010), per il quale il relativo termine quinquennale complessivo sarebbe scaduto il 29
ottobre 2015 (ovvero in un momento successivo la pronuncia della sentenza
impugnata). A fronte di un ricorso inammissibile, quale quello in esame, trova infatti
applicazione il principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall’inammissibilità

dei motivi, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex
multiS, sez. 3, 8 ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22
marzo 2005, n. 4).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2015.

del ricorso per cassazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza

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