Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9978 del 13/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9978 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GRAZIANI MARIA TERESA N. IL 10/07/1963
avverso la sentenza n. 5965/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
10/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 13/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di
Frosinone, con la quale l’imputata era stata condannata alla pena di un anno di
reclusione, per il reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere omesso
di versare, nel termine di legge, l’Iva relativa al periodo di imposta 2005, risultante
della dichiarazione, per un ammontare di euro 539.671,00.
2. – Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per

penale, perché il fatto sarebbe stato commesso nel 2005, ovvero in un momento
precedente all’entrata in vigore della fattispecie incriminatrice (4 agosto 2006); 2) la
mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla valutazione della
deposizione del dipendente dell’Agenzia delle entrate, relativamente al rigetto oggetto
dell’istanza di compensazione del debito di imposta; adottato con provvedimento non
notificato all’imputata; 3) la mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto
alla determinazione della pena e al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – Il primo motivo di impugnazione è manifestamente infondato.
Quanto al tempus commissi delicti, deve rilevarsi che le sezioni unite di questa
Corte hanno, con la sentenza 28 marzo 2013, n. 37424, risolto il dubbio sollevato dalla
terza sezione di questa stessa Corte relativamente alla questione se l’art.

10-ter del

d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, introdotto dall’art. 35, comma 7, del d.l. 4 luglio 2006, n.
223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ed entrato in
vigore il 4 luglio 2006, si applichi anche agli omessi versamenti dell’Iva per l’anno 2005,
da effettuarsi nel corso del 2005, e non versati alla scadenza del 27 dicembre 2006,
prevista dal citato art. 10 ter, oppure se in tale ipotesi l’illecito debba ritenersi comunque
consumato alle singole scadenze del 2005 e sia quindi punibile con le sole sanzioni
amministrative previste dall’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Le sezioni unite
hanno ritenuto di adottare la prima delle due soluzioni, escludendo che l’illecito potesse
ritenersi consumato alle singole scadenze del 2005 e fosse, dunque, punibile con le sole
sanzioni amministrative previste dalla normativa previgente. La mancata effettuazione
del pagamento al 27 dicembre 2006 denota, infatti, un disvalore ulteriore rispetto al
semplice omesso pagamento alle singole scadenze del 2005, che induce a ritenere che
non vi sia continuità fra la disciplina amministrativa sanzionatoria e la disciplina penale.
In altri termini, la condotta omissiva propria, che ha ad oggetto il versamento

cassazione, deducendo: 1) la violazione del principio di irretroattività della norma

dell’imposta afferente all’intero anno, si protrae fino alla scadenza del richiamato
termine, che coincide con la data dì commissione del reato, a nulla rilevando il già
verificatosi inadempimento agli effetti fiscali: il rapporto fra i due illeciti deve essere
ricostruito in termini, non di specialità, ma piuttosto di progressione. Infatti, la
fattispecie penale – secondo l’indirizzo di politica criminale adottato in generale dal
d.lgs. n. 74 del 2000 (su cui v. in particolare Corte cost., sent. n. 49 del 2002) costituisce in sostanza una violazione molto più grave di quella amministrativa e, pur

periodico non si possono evidentemente determinare i presupposti del reato), la
arricchisce di elementi essenziali (dichiarazione annuale, soglia, termine allungato) che
non sono complessivamente riconducibili al paradigma della specialità (che, ove
operante, comporterebbe ovviamente l’applicazione del solo illecito penale), in quanto
recano decisivi segmenti comportamentali (in riferimento alla presentazione della
dichiarazione annuale IVA e al protrarsi della condotta omissiva), che si collocano
temporalmente in un momento successivo al compimento dell’illecito amministrativo (v.
ancora sez. un. n. 37424 del 2013). A tale pronuncia ha fatto seguito una serie di altre
sentenze, tutte in senso conforme (ex plurimis, sez. 3, 24 giugno 2014, n. 8352, rv.
263126).
Ne deriva, quanto al caso in esame, la manifesta infondatezza della censura del
ricorrente – che non ha minimamente preso in considerazione la consolidata
giurisprudenza di questa Corte sul punto – perché il reato si è consumato il 27 dicembre
2006, ovvero in un momento successivo all’entrata in vigore della disposizione
incriminatrice.
3.2. – Del tutto generico è il secondo motivo di doglianza, perché con lo stesso
non si muovono puntuali contestazioni alle motivazioni delle sentenze di primo e
secondo grado, dalle quali emerge con chiarezza che non vi sono contraddizioni nella
deposizione del funzionario dell’Agenzia delle entrate circa la ritenuta impossibilità di
compensazione del debito tributario con corrispondenti crediti – de resto, meramente
asseriti dalla ricorrente – mancandone del tutto i presupposti.
3.3. – Parimenti generico è il terzo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio
e al diniego delle circostanze attenuanti generiche. A tali fini la Corte d’appello ha,
infatti, correttamente valorizzato la non irrilevante gravità del reato, che ha cagionato
un danno erariale per una cifra considerevole.
4. – Non può essere dichiarata la prescrizione del reato (commesso il 27 dicembre
2006), per il quale il relativo termine sarebbe scaduto il 27 giugno 2014 (ovvero in un

Prìt.

contenendo necessariamente quest’ultima (senza almeno una violazione del termine

momento successivo la pronuncia della sentenza impugnata). A fronte di un ricorso
inammissibile, quale quello in esame, trova infatti applicazione il principio,
costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la possibilità
di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.,
ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall’inammissibilità del ricorso per cassazione,
anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che non consente
il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex multis, sez. 3, 8 ottobre 2009, n.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in € 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2015.

42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).

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