Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9977 del 13/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9977 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PARENTE ALESSIO N. IL 10/04/1978
avverso la sentenza n. 5970/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
06/02/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 13/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – La Corte d’appello di Roma ha – per la parte che qui rileva – confermato la
sentenza del Tribunale di Cassino, con la quale l’imputato era stato condannato alla
pena di un anno a sei mesi di reclusione, per il reato di cui agli articoli 81, secondo
comma, cod. pen., e 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, per essersi avvalso di una serie di
fatture per operazioni inesistenti, indicando nelle dichiarazioni dei redditi relative agli
anni dal 2003 al 2005 elementi passivi fittizi. La Corte d’appello ha dichiarato non

dichiarazioni dei redditi per gli anni 2003 e 2004 e ha rideterminato la pena quanto alla
residua annualità in un anno e quattro mesi di reclusione.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo vizi di motivazione in relazione alla determinazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
Nel rideterminare la pena, la Corte d’appello si è limitata a escludere gli aumenti
per la continuazione in relazione alle violazioni relative alle annualità per le quali ha
dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, considerate quali reatisatellite. Del resto, con l’atto d’appello l’imputato non aveva proposto alcuna doglianza
relativa alla pena, cosicché i giudici di secondo grado non erano comunque tenuti ad
adempiere ad alcun particolare onere motivazionale sul punto.
Non può essere dichiarata la prescrizione del residuo reato, per il quale il relativo
termine sarebbe scaduto il 30 aprile 2014 (ovvero in un momento successivo la
pronuncia della sentenza impugnata). A fronte di un ricorso inammissibile, quale quello
in esame, trova infatti applicazione il principio, costantemente enunciato dalla
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione, è
preclusa dall’inammissibilità del ricorso per cassazione, anche dovuta alla genericità o
alla manifesta infondatezza dei motivi, che non consente il formarsi di un valido rapporto
di impugnazione (ex multis, sez. 3, 8 ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008,
n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del

doversi procedere per intervenuta prescrizione quanto alle condotte attinenti alle

versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2015.

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