Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9975 del 13/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9975 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
NOCELLA LIANA N. IL 01/06/1967
avverso la sentenza n. 5089/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
10/03/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 13/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. — La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Tivoli,
con la quale l’imputata era stata condannata, per il reato di cui all’art. 44, comma 1,
lettera b) , del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione alla realizzazione di opere edilizie
abusive (fatti accertati il 30 maggio 2006, con lavori in corso di esecuzione).
2. – Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo, con un primo motivo di doglianza, la mancanza e la manifesta

d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che non si era proceduto al sequestro
preventivo delle opere proprio perché le stesse erano state ritenute ultimate nelle loro
parti essenziali già prima dell’accertamento dei fatti.
In secondo luogo, si lamenta l’eccessività della pena, per la mancata
considerazione della modestia del fatto e dell’incensuratezza dell’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su censure formulate in modo
generico.
La ricorrente non contesta la responsabilità penale, ma si limita ad asserire – ai
fini della prescrizione – che le opere sarebbero state ultimate prima dell’accertamento
del reato, senza adeguatamente contrastare le conformi motivazioni delle sentenze di
primo e secondo grado, dalle quali emerge che le fotografie in atti dimostravano con
chiarezza che l’attività edilizia era ancora in corso. E correttamente la Corte d’appello
ha evidenziato che, non essendo intervenuto il sequestro, la permanenza delle violazioni
continua ad operare fino alla pronuncia della sentenza di primo grado (3 febbraio 2011),
non risultando provato il completamento definitivo delle opere, né l’acquisizione degli
altri nullaosta e adempimenti in data diversa, ma comunque successiva all’accertamento
(così richiamando i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità
in materia: ex multis, sez. 3, 6 maggio 2014, n. 29974, rv. 260498).
Quanto alla pena, la stessa ricorrente si limita ad asserire che il fatto sarebbe
modesto, senza operare alcun concreto riferimento all’effettiva consistenza delle opere
realizzate e in diretto contrasto con quanto accertato sul punto nelle sentenze di primo
e secondo grado.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma

illogicità della motivazione, quanto alla prescrizione del reato. In particolare, la Corte

dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2015.

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