Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9970 del 13/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9970 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BRESCIANI PRIMO ALEX N. IL 27/09/1975
avverso la sentenza n. 3701/2012 GIP TRIBUNALE di NOVARA, del
22/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 13/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., il Gip del Tribunale ha
applicato all’imputato la pena da questo richiesta, per il reato di cui agli artt. 81, secondo
comma, cod. pen. e 2 del d.l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 638 del 1983, a lui contestato perché, con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso, nella sua veste di legale rappresentante dì una società, aveva
omesso di versare le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei

dì euro 672,64.
2. — Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo che: 1) la fattispecie sarebbe stata depenalizzata dall’art. 2 della
legge di delegazione n. 67 del 18 aprile 2014, con riferimento a tutte le ipotesi — come
quella di specie — in cui l’omesso versamento non ecceda il limite complessivo di €
10.000,00 annui; 2) all’udienza non sarebbe stato presente il difensore di fiducia, che
aveva rinunciato precedentemente al mandato, ma il difensore d’ufficio, senza che dagli
atti risultasse come quest’ultimo era stato reperito e avvisato; 3) non sarebbe stato
applicato l’indulto.
Con memoria depositata in prossimità della camera di consiglio davanti a questa
Corte, la difesa ha chiesto l’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., nel frattempo entrato
in vigore, sostenendo l’esiguità dell’omissione contributiva posta in essere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – Come già osservato da questa Corte (ex plurimis, sez. fer., 31 luglio 2014,
n. 38080), l’omesso versamento delle ritenute previdenziali operate dal datore di lavoro
sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti costituisce reato anche a seguito della
depenalizzazione, per omessi versamenti fino a diecimila euro annui, prospettata
dall’art. 2, comma 2, lettera c), della legge n. 67 del 2014, costituendo quest’ultima
mera norma di delegazione, non ancora attuata con decreto legislativo (il testo risulta
ancora in corso di esame). Ne deriva la manifesta infondatezza del primo motivo di
doglianza.
3.2. – Il secondo motivo, relativo ad una pretesa violazione del diritto di difesa è
formulato in modo non specifico. Il ricorrente non contesta, infatti, il dato – che emerge
dall’intestazione della sentenza impugnata – della presenza in udienza del difensore
d’ufficio avv. Brusorio, limitandosi ad asserire, senza alcun riferimento agli atti di causa,

lavoratori dipendenti relative alle mensilità tra l’aprile e il giugno 2009, per l’ammontare

che non sarebbe possibile accertare come questo era stato il reperito e avvisato; profili
entrambi irrilevanti in vista della sua effettiva presenza in udienza.
3.3. – Resta da esaminare la questione — sollevata con memoria pervenuta a
questa Corte il 5 giugno 2015 — dell’applicabilità, nella fattispecie, della causa di non
punibilità ora prevista dall’art. 131 bis cod. pen., introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015.
La natura sostanziale dell’istituto di nuova introduzione implica la possibilità di applicare
la nuova disposizione anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in

2, comma 4, cod. pen. Può anche ritenersi che la questione della particolare tenuità del
fatto sia proponibile anche nel giudizio di legittimità, tenendo conto di quanto disposto
dall’art. 609, comma 2, cod. proc. pen.: si tratta, nel caso di specie, di questione che
non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, non essendo ancora entrata in
vigore la relativa disciplina. L’applicabilità dell’art. 131

bis cod. pen. presuppone,

tuttavia, valutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei soggetti
interessati. Da ciò consegue che, nel giudizio di legittimità, dovrà preventivamente
verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto,
procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all’annullamento della sentenza
impugnata con rinvio al giudice del merito affinché valuti se dichiarare il fatto non
punibile. E la causa di non punibilità potrà ritenersi sussistente solo in presenza del
duplice requisito della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del
comportamento, dovendosi desumere la particolare tenuità dell’offesa dalle modalità
della condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri
indicati dall’art. 133 cod. pen., ovvero: natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed
ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona
offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa (sez. 3, 8 aprile 2015, n. 15449,
rv. 263308; sez. 3, 22 aprile 2015, n. 21474, rv. 263693).
Nel caso di specie, dei menzionati presupposti, risulta espressamente richiamato
solo quello della modestia del danno (mancato versamento di meno di 700,00 euro
complessivi), da solo insufficiente per il riconoscimento della causa di non punibilità di
cui all’art. 131 bis cod. pen., introdotta dal d.lgs. n. 28 del 2015.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.

vigore, per la retroattività della legge più favorevole, secondo quanto stabilito dall’art.

pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2015.

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