Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 997 del 18/07/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 997 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DE BERARDINIS SILVANA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MAZZOTTA CARMINE N. IL 14/08/1973
avverso la sentenza n. 1333/2010 CORTE APPELLO di LECCE, del
03/06/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVANA DE
BERARDINIS;

Data Udienza: 18/07/2014

RILEVATO IN FATTO:
-che con l’impugnata sentenza fu confermata la condanna di MAZZOTTA Carmine
alla pena di mesi tre di reclusione per il reato di cui all’art. 495 c.p., consistito,
secondo l’acclusa, nell’aver dichiarato, in occasione di un controllo di polizia, di
chiamarsi Mazzotta Francesco;
-che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa
dell’imputato, denunciando vizio di motivazione in ordine:
2) alla mancata esclusione della contestata recidiva;
CONSIDERATO IN DIRITTO:
-che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto:
a) con riguardo al primo motivo, basato soltanto, nell’essenziale, sul rilievo che
nell’impugnata sentenza, a sostegno della ritenuta presenza dell’elemento
soggettivo del reato, si afferma che l’imputato avrebbe fornito nome e cognome
diversi da quelli effettivi, laddove, secondo la stessa formulazione del capo
d’imputazione, la diversità era limitata al solo nome di battesimo, vale osservare
che tale doglianza si appalesa del tutto pretestuosa, siccome basata su quello che,
all’evidenza, appare soltanto frutto di un “lapsus calami”, ove lo si confronti con
l’intera motivazione dell’impugnata sentenza, dalla cui lettura risulta chiaro come
‘la corte di merito abbia tenuto ben presente che la falsità addebitata all’imputato
non riguardava il cognome ma solo il nome di battesimo, senza che ciò potesse,
tuttavia, in alcun modo escludere la configurabilità del reato, anche sotto il profilo
soggettivo, attesa la riconoscibile finalità perseguita dall’imputato (e realizzabile
anche con la sola sostituzione del proprio nome di battesimo con altro diverso), di
nascondere, almeno al momento, il suo status di pregiudicato, dalla cui verifica
sarebbe derivato il pericolo di dover subire più approfonditi accertamenti;
b) con riguardo al secondo motivo, a parte il rilievo che dalla non contestata sintesi
dei motivi d’appello contenuta nell’impugnata sentenza non risulta che fosse stata
esplicitamente richiesta la esclusione della recidiva, facendosi in essa menzione
soltanto della richiesta di riduzione della pena ai minimi edittali (a proposito della
quale si osserva, peraltro, dalla corte d’appello, che la pena era già stata
determinata erroneamente in misura inferiore al minimo edittale, quale stabilito
nella nuova formulazione dell’art. 495 c.p. introdotta dal D.L. n. 92/2008 conv. con
modif. in legge n. 125/2008), vale comunque osservare che nel ricorso non
risultano in alcun illustrate le specifiche ragioni (dato per ammesso che vi fossero

1) al confermato giudizio di colpevolezza;

state), sulla base delle quali sarebbe stata sollecitata al giudice d’appello l’esclusione
della recidiva, di tal che, mancando il ricorso, sotto questo profilo, del requisito della
c.d. “autosufficienza”, viene a mancare anche la condizione per la eventuale
riconoscibilità, da parte di questa Corte, della segnalata carenza motivazionale;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo
di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento nonché al versamento della somma di euro mille alla cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 luglio 2014
L’estensore

stimasi equo fissare in euro mille;

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