Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9959 del 14/11/2014

Penale Sent. Sez. 1 Num. 9959 Anno 2015
Presidente: CAIAZZO LUIGI PIETRO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
B.B.
avverso la sentenza n. 3155/2012 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
25/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FILIPPO CASA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 2-.01 7,2,1te Pt N i EL-L-0
che ha concluso per -e

,

Data Udienza: 14/11/2014

,

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 4.7.2011, il Tribunale di Verona condannava, insieme ad altri
imputati, A.A. e B.B. alla pena di due anni di reclusione
ciascuno in relazione al reato di associazione per delinquere, finalizzato a commettere plurimi
delitti contro la fede pubblica, con particolare riguardo ai documenti necessari per il regolare
soggiorno sul territorio nazionale di cittadini stranieri extracomunitari, nonché a delitti di

1.1.

Quanto alla posizione del A.A., il primo Giudice valorizzava: la

deposizione del teste XX sul reperimento di assegni rubati che l’imputato, poi, era solito
consegnare al correo YY; gli esiti della perquisizione domiciliare, sfociata nel
rinvenimento di assegni originali fotocopiati, due computer e targhe di auto; numerose
conversazioni telefoniche con il predetto YY, aventi ad oggetto la creazione di buste paga e
nulla osta identici agli originali, che il A.A. avrebbe potuto predisporre grazie agli
strumenti informatici da lui posseduti.
1.2. Riguardo alla posizione del B.B., comprovavano la sua partecipazione
all’associazione criminale, in primo luogo, i rapporti con il YY e il XX, su cui aveva
riferito il Maresciallo DE LUCA; in secondo luogo, gli esiti della perquisizione costituiti dal
rinvenimento di assegni, documenti, sim card, nonché di cinque badge bianchi con tessera
magnetica utilizzabili per la clonazione di carte di credito.
Entrambi gli imputati, infine, risultavano coinvolti nell’organizzazione di un’attività
illecita non meglio precisata.
1.3. Il Tribunale illustrava, poi, gli elementi in base ai quali ritenere sussistente
l’associazione per delinquere, costituiti: da un vincolo tendenzialmente permanente,
dimostrato dai rapporti intercorsi tra gli imputati, caratterizzati da confidenza e stabilità; dalla
programmazione di un numero indeterminato di reati, ampiamente ricavabile dalle
conversazioni intercettate; dall’esistenza di una minima struttura organizzata, desumibile, tra
l’altro, dalla disponibilità di programmi informatici.
2. Con decisione del 25.11.2013, la Corte di Appello di Venezia dichiarava inammissibile
per tardività l’appello proposto dal B.B., confermando la pronuncia di condanna del
Tribunale di Verona nei confronti del A.A..
2.1. Quanto alla posizione del B.B., la Corte veneta rilevava che la notifica
dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado era stata, dapprima, tentata, senza
esito per irreperibilità del destinatario, presso il domicilio dichiarato dall’imputato di
Desenzano, via Pascoli 9, poi, ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p., presso il difensore avv.
Francesca TOFFALI in data 13.10.2011, mentre l’appello risultava depositato in data 26.5.2012
da altro difensore.
Sulla doglianza espressa dall’appellante circa l’omessa notifica dell’estratto
contumaciale al difensore di fiducia avv. FRANCHI, precisava la Corte territoriale che, avendo
1

ricettazione di telefoni cellulari compendio di furto e di assegni bancari e circolari.

l’imputato, contestualmente al deposito dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello
Stato effettuato all’udienza dibattimentale del 15.10.2009, nominato come difensore di fiducia
l’avv. TOFFALI, a partire dalla data di ammissione al beneficio soltanto dalla predetta legale
doveva considerarsi assistito e, pertanto, correttamente doveva considerarsi eseguita presso lo
studio di costei la notifica in questione.
2.2. In merito alla posizione del A.A., la Corte di Venezia condivideva, nella
sostanza, il percorso valutativo e argomentativo svolto dal primo Giudice, arricchendolo di

YY a far data dal 14.1.2006 per il confezionamento di buste paga e nulla osta falsi,
nonché ai già menzionati esiti della perquisizione domiciliare eseguita a carico di esso
appellante e alla testimonianza del XX a proposito della condotta di ricettazione di
assegni rubati e carte di credito clonate.
3. Ha proposto personalmente ricorso per cassazione B.B., deducendo
“violazione di norma processuale a pena di inammissibilità”.
Assume il ricorrente che la disciplina prevista dall’art. 80 del D.P.R. n. 115/2002, citata
dalla Corte d’Appello, non poteva trovare applicazione, nel caso di specie, in quanto essa limita
la facoltà dell’imputato di effettuare più di una nomina di difensore al momento
dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, mentre, nel suo caso, per quanto gli
constava, il beneficio richiesto non era stato concesso.
Pertanto, in difetto di notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado
presso lo studio dell’avv. Felice FRANCHI, non aveva mai avuto inizio la decorrenza del termine
per proporre appello e, conseguentemente, doveva considerarsi illegittima la declaratoria di
inammissibilità pronunciata dalla Corte di merito.
In via subordinata, il ricorrente denuncia la carenza di motivazione della sentenza
impugnata, anche in ragione della dedotta inutilizzabilità degli atti acquisiti senza che egli
avesse chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato.
4. Ha proposto ricorso per cassazione anche A.A., per il tramite del
difensore di fiducia.
4.1. Con il primo motivo, si deduce “mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione ex art. 606, lett. e), c.p.p.”.
Il tenore delle conversazioni intercettate non dimostrava l’appartenenza del ricorrente
all’associazione contestata, avendo egli intrattenuto contatti solo con il NIANG, i contenuti dei
quali dovevano considerarsi tutt’altro che pacifici in un’ottica associativa.
Inoltre, la lettura delle conversazioni data dai Giudici di merito non collimava con la
tipologia di oggetti rinvenuti nella disponibilità del ricorrente, oggetti che, inoltre, nulla di
significativo dicevano in relazione al reato associativo contestato.
Era stata, tra l’altro, omessa l’effettuazione di una perizia sui PC sequestrati presso
l’abitazione dell’imputato, che, invece, si sarebbe rivelata significativa della capacità di costui

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riferimenti al contenuto inequivoco di undici conversazioni, intrattenute con il coimputato

di provvedere alla falsificazione di cui era accusato tramite gli strumenti informatici in suo
possesso.
Quanto alla deposizione del teste XX, essa appariva disarticolata, confusa e poco
puntuale in relazione alla posizione del A.A..

4.2. Con il secondo motivo, si denuncia “erronea applicazione della legge penale”.
Contraddittorio era il ragionamento della Corte di Appello laddove attribuiva al
A.A. il ruolo di materiale riproduttore dei falsi documenti attraverso propri strumenti

file informatici riproducenti timbri di enti pubblici e materiale idoneo a soddisfare nel tempo le
richieste più varie in tema di falsificazione di documenti.
Nel passare in rassegna gli elementi costitutivi del reato associativo, la Corte ne
elencava alcuni che non avevano trovato alcun riscontro nella realtà, come ad esempio, i
contatti tra i correi, che avvenivano, di volta in volta, tra non più di due soggetti, come
dimostravano i contatti intercorsi tra il A.A. e il solo YY.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del B.B. va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
2. Emerge dal frontespizio e dal corpo della sentenza di primo grado, emessa dal
Tribunale di Verona in composizione collegiale il 4.7.2011, che unico difensore di fiducia del
B.B. era l’avvocato Francesca TOFFALI del foro scaligero, di cui sono riportate le
rassegnate conclusioni nella quinta pagina della decisione (“Il difensore avv. Toffali difensore di
B.B. chiede: l’assoluzione per non aver commesso il fatto o perché il fatto non
costituisce reato, in subordine assoluzione perché il fatto non sussiste”).
La Corte territoriale, a sua volta, dà atto a pag. 8 della sentenza che l’avv. TOFFALI fu
nominata dall’imputato alla prima udienza dibattimentale del 15.10.2009, contestualmente alla
presentazione dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sicché a partire dalla
sua ammissione al beneficio – che la difesa ricorrente contesta immotivatamente – il
B.B. era giocoforza assistito, a mente dell’art. 80 D.P.R. n. 115/2002, dal predetto
legale quale unico difensore di fiducia.
Nessun diritto, pertanto, sussisteva in capo all’avv. Felice FRANCHI

– comparso nel

giudizio di appello al fianco dell’avv. Valeria COMINOTTI quale difensore dell’imputato rispetto alla notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, che
correttamente è stata eseguita, ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p., presso l’unico difensore
di fiducia avv. TOFFALI.
In ogni caso, lo svolgimento da parte del legale, in ipotesi non avvisato, delle attività
difensive nel corso del giudizio di impugnazione – attività che l’avv. FRANCHI risulta aver
svolto – sanerebbe l’eventuale vizio e precluderebbe ogni censura (Sez. 1, n. 51447 del
9/10/2013, Bleve ed altro, Rv. 257485).
3

informatici, quando allo stesso tempo individuava nel coimputato BONFANTE il possessore di

3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma, equa al caso, di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
4.

E’, invece, fondato il ricorso proposto nell’interesse di A.A.,

condannato per il reato di associazione per delinquere (capo E della rubrica).
Giova, al riguardo, rammentare che sia il codice penale (artt. 416 e 416 bis) che il t.u.
delle leggi sugli stupefacenti (art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) non recano nozioni

l’individuazione del concetto.
Elemento essenziale dei reati previsti dalle norme suindicate è l’accordo associativo, il
quale crea un vincolo permanente a causa della consapevolezza di ciascun associato di far
parte del sodalizio e di partecipare, con contributo causale, alla realizzazione di un duraturo
programma criminale. Tale essendo la caratteristica del delitto, ne discende a corollario la
secondarietà degli elementi organizzativi che sì pongono a substrato del sodalizio, elementi la
cui sussistenza è richiesta nella misura in cui dimostrano che l’accordo può dirsi seriamente
contratto, nel senso cioè che l’assoluta mancanza di un supporto strumentale priva il delitto del
requisito dell’offensività (Sez. 6, n. 10725 del 25.9.1998, Villani 3 e altri, Rv. 211743).
Va, inoltre, ricordato che il dolo del delitto di partecipazione, semplice o qualificata, ad
una associazione per delinquere non consiste soltanto nella coscienza e volontà di apportare
quel contributo richiesto dalla norma incriminatrice, ma, trattandosi di un reato a concorso
necessario ed a dolo specifico, nella consapevolezza, anche, di partecipare e di contribuire
attivamente con esso alla vita di un’associazione, nella quale i singoli associati, con pari
coscienza e volontà, fanno convergere i loro contributi, come parte di un tutto, alla
realizzazione del programma comune, divenuto, così, “causa comune” (civilisticamente intesa)
dell’agire del singolo e dell’ente.
Va, ancora, precisato che, naturalmente, non è necessaria la conoscenza reciproca di
tutti gli associati, poiché quel che conta è la consapevolezza e volontà di partecipare, assieme
ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società
criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (Sez. 1, n. 7462 del 22.4.1985,
Arslan, Rv. 170231).
4.1. La Corte territoriale non si è attenuta agli enunciati criteri nel ritenere comprovata
la partecipazione del ricorrente al contestato sodalizio criminoso esclusivamente in base ai
contatti, certamente di natura illecita, intrattenuti con un unico compartecipe, YY,
ancorché rivestente un ruolo apicale.
Non ha spiegato, infatti, la Corte le ragioni per le quali i contatti “binari” accertati tra il
A.A. e il correo rivelassero la consapevolezza da parte del ricorrente della sua
intraneità a un gruppo criminale e non fossero, ad esempio e diversamente, dimostrativi della
mera eventuale compartecipazione a un reato continuato di contraffazione di documenti.

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definitorie dell’associazione che intendono reprimere, ma rimandano all’interprete per

4.2. Per tale carenza motivazionale la sentenza impugnata deve essere annullata, con
rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia, che dovrà colmare
l’evidenziata lacuna.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.A. e rinvia per

Dichiara inammissibile il ricorso di B.B. e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2014

Il Presidente

nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.

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