Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9957 del 04/02/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9957 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Papa Vincenzo, nato a Mondragone il 30/04/1960

avverso la sentenza del 25/11/2014 della Corte di appello di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Delia Cardia, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile;
udito il difensore della parte civile, l’avv. Mariastella Bergamo, in sostituzione
dell’avv. Giuseppe Vitiello, che ha concluso chiedendo la declaratoria di
inammissibilità o di rigetto del ricorso.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25 novembre 2014, la Corte di appello di Napoli
riformava parzialmente la sentenza del 5 marzo 2009 del Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere, Sezione distaccata di Marcianise, che aveva dichiarato

Data Udienza: 04/02/2016

Vincenzo Papa responsabile del delitto di esercizio abusivo della professione di
avvocato, riducendo la pena inflitta, avendo dichiarato l’estinzione per
prescrizione dei reati commessi sino al 2006, e confermando nel resto.
Era stato accertato in sede di merito che l’imputato aveva esercitato la
professione forense in vari procedimenti giudiziari (segnatamente, facendosi
nominare difensore e autenticando la sottoscrizione in calce all’atto di nomina in
processi penali e civili, depositando in processi penali note difensive e richieste di
rinvio dell’udienza per legittimo impedimento o in procedure esecutive istanze di

nell’apposito albo.
Con l’appello, non contestata la materialità dei fatti, era stato sostenuto
dall’imputato che l’attività svolta, in quanto strumentalmente connessa ad atti
tipici della professione forense, non potesse integrare la fattispecie penale di cui
all’art. 348 cod. pen., difettando l’esercizio organizzato e continuato della
professione, e che in ogni caso era carente l’elemento psicologico, non essendo
stato l’imputato informato della reiezione dell’iscrizione all’albo.
L’imputato aveva infine chiesto un più mite trattamento sanzionatorio.
I Giudici dell’appello rigettavano le suddette richieste, rilevando che
l’esercizio della professione forense in procedimenti penali e civili era provata per
tabulas ed evidenziando, con riferimento al dolo, che era stato accertato, sulla
base della documentazione acquisita, che l’imputato avesse avuto precisa
contezza della mancata iscrizione all’albo.
La Corte di appello riteneva infine l’imputato non meritevole della
concessione delle circostanze ex art. 62 bis cod. pen. e di altri benefici e che la

pena inflitta era congrua ed adeguata alla entità degli addebiti e alla personalità
dell’imputato.

2. Avverso la suddetta sentenza ricorre per cassazione l’imputato con tre
atti, i cui motivi sono di seguito enunciati, secondo le previsioni dell’art. 173
disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo atto, presentato dall’avv. Benini, si denuncia:
— la erronea applicazione dell’art. 348 cod. pen., in quanto l’imputato
avrebbe compiuto solo occasionali atti legati alla professione forense, gratuiti e
senza organizzazione;
— la carenza ed illogicità della motivazione con riferimento al mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche;
— il vizio della motivazione in ordine alla dosimetria della pena;
Con il secondo atto, presentato personalmente dall’imputato, si deduce
altresì:

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sospensione, atti di reclamo e opposizione al precetto), senza essere iscritto

— la violazione dell’art. 348 cod. pen. e la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione, avendo la Corte di appello ritenuto,
erroneamente e con motivazione viziata, la penale responsabilità dell’imputato in
presenza di atti occasionali e senza un contesto di professionalità e senza
motivare sulla tipicità degli atti in relazione alla professione forense, versandosi
in attività stragiudiziale;
— la violazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle diniego delle

— la violazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione al complessivo trattamento
sanzionatorio, non avendo la Corte adita motivato al riguardo, tenuto conto della
entità della pena base inflitta e di quella applicata a titolo di aumento per la
continuazione.
Con un terzo atto di impugnazione, presentato personalmente, si denuncia:
— la violazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 546 cod. proc. pen.: la
motivazione della sentenza impugnata risulterebbe superficiale e non aver
fornito risposta alle censure difensive; non avrebbe inoltre accertato la effettiva
conoscenza del processo da parte dell’imputato contumace, con conseguente
nullità per difetto di notificazione ovvero per notificazione illegittima; l’imputato
risulterebbe essere stato assistito da difensore inibito all’esercizio della
professione forense; le dichiarazioni delle parti offese non sarebbero state
apprezzate con rigore; non riputerebbe sussistente il dolo del reato di calunnia,
che è diretto e postula la certezza della convinzione della colpevolezza;
erroneamente sarebbe stata ritenuta la recidiva reiterata infraquinquennale;
— la violazione degli artt. 96 e 97 cod. proc. pen., in relazione alla sentenza
Corte cost. n. 148 del 2005: sarebbe stato violato il diritto di difesa in quanto era
stato nominato come suo difensore un avvocato sospeso e in via di radiazione e
non sarebbe stato riconosciuto il rinvio del procedimento;
— l’inefficacia probatoria dell’accertamento eseguito e della sentenza per
difetto e nullità delle notifiche: le notificazioni risulterebbero essere state
effettuate alla sorella non convivente dell’imputato; vi sarebbe stata confusione
tra la configurabilità del reato con l’effettivo destinatario;
— la invalidazione ed annullamento della sentenza per la mancata verifica
delle circostanze e le forme di manifestazione del reato;
— la illogicità e contraddittorietà della motivazione perché fondata su un
quadro aleatorio e meramente presuntivo, relativamente alla mancata iscrizione
all’albo.

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circostanze attenuanti generiche;

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.

2. Manifestamente infondata è la censura relativa alla erronea applicazione
dell’art. 348 cod. pen.
Il principio invocato dal ricorrente (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011, Cani,

configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione in presenza del
compimento di atti, che, pur di competenza di una determinata professione, non
siano attribuiti ad essa in via esclusiva. In tal caso, il Supremo Consesso ha
ritenuto dirimenti le modalità con cui tali atti siano realizzati: le stesse, per
continuatività, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, devono creare le
oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente
abilitato.
Le Sezioni Unite nella medesima sentenza hanno invece ribadito che
concreta esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell’art. 348 cod.
pen., il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e
gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata
professione.
E tale è il caso in esame, nel quale l’imputato ha posto in essere atti tipici —
come in premessa indicati— della professione forense, ad essa attribuiti in via
esclusiva e quindi riservati a chi legittimamente tale professione può esercitare.

3. Manifestamente infondata, oltre che aspecifica, è la critica all’apparato
motivazionale della sentenza in ordine alla prova della penale responsabilità
dell’imputato.
Il ricorrente infatti non si confronta con la motivazione della sentenza
impugnata, reiterando le medesime censure del gravame di appello.
Va sul punto evidenziato che in sede di appello l’imputato aveva contestato
soltanto due profili sul punto: il compimento di atti tipici della professione
forense in modo continuativo e professionale e la sussistenza dell’elemento
soggettivo.
Sul primo aspetto, la Corte di appello risponde del tutto adeguatamente,
evidenziando che si era in presenza di atti tipici svolti in procedimenti penali e
civili (la affermazione difensiva che si sia trattato di «attività stragiudiziale»,
oltre che smentita dalla tipologia degli atti compiuti ed acquisiti agli atti, risulta
solo labialmente affermata in questa sede).

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Rv. 251819) è stato invero affermato dalle Sezioni Unite in relazione alla

In ordine alla seconda questione, la sentenza impugnata dimostra in modo
ineccepibile l’effettiva e piena conoscenza da parte dell’imputato della mancata
iscrizione all’albo, enumerando i numerosi atti nei quali lo stesso imputato, prima
del compimento degli atti oggetto di addebito, si era lamentato (anche in
apposite denunce penali) della mancata iscrizione.

4. Sul trattamento sanzionatorio, parimenti manifestamente infondate sono
le critiche del ricorrente, considerata tra l’altro la genericità del relativo motivo di

In ordine alle invocate circostanze attenuanti generiche, in appello erano
stati infatti richiamati dal ricorrente soltanto i parametri ex art. 133 cod. proc.
pen., evidenziando la sua incensuratezza. Sul punto, la Corte adita ha esposto
una motivazione congrua e priva di manifesti vizi logici, oltre che rispettosa dei
criteri direttivi indicati dal codice penale per giustificarne il diniego, evidenziando
la ricorrenza di fattori negativi, quali le modalità della condotta, la negativa
personalità dell’imputato, e la mancanza di «concreti» elementi attenuanti.
In ordine alla dosimetria della pena e ai benefici invocati, la sentenza
impugnata, tenuto conto anche in tal caso della assoluta genericità dei relativi
motivi di appello, risulta parimenti incensurabile in questa sede, in quanto la
motivazione sul punto è del tutto rispondente ai criteri di adeguatezza e logicità
del discorso giustificativo e fa corretta applicazione dei criteri direttivi previsti dal
codice penale.

5. Del tutto generiche e per alcuni versi non pertinenti (si fa riferimento al
dolo della calunnia, alla recidiva infraquinquennale e altre questioni del tutto
estranee al procedimento in esame) sono le critiche versate nell’atto di ricorso
depositato il 26 marzo 2015.
Il ricorrente non sostiene la richiesta di annullamento con la illustrazione
delle questioni specifiche da sottoporre a verifica, limitandosi a mere
enunciazioni di principio (tra le tante, Sez. 3, n. 16851 del 02/03/2010, Cecco,
Rv. 246980).
Generica è anche la denuncia di nullità, ad avviso del ricorrente, verificatosi
nel corso del giudizio, in ordine alle quali tuttavia non ha fornito alcuna
indicazione e documentazione a sostegno del suo assunto.

6.

Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere dichiarato

inammissibile.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, perché
contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma, 1, cod.

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appello.

proc. pen., con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione)
preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art.
129 cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data
successiva alla pronunzia della sentenza di appello (Sez. U, n. 23428 del
22/03/2005, Bracale, Rv. 231164).
Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del
procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non
emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di euro 1.500 a titolo

Il ricorrente deve essere altresì condannato alla rifusione delle spese di
questa fase in favore della parte civile, liquidate come indicato nel dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500 in favore della Cassa delle
ammende, nonché a rifondere alla parte civile, Consiglio dell’Ordine degli
avvocati di Napoli, le spese sostenute nel presente grado di giudizio, che liquida
in euro 3.500, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.
Così deciso il 04/02/2016

di sanzione pecuniaria.

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