Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9936 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9936 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Sauta Elio, nato a Messina il 16/10/1960

avverso l’ordinanza del 07/10/2013 del Tribunale di Messina ;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’indagato l’avv. Alberto Gullino, che ha concluso associandosi alla
richiesta del P.G.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Messina, in accoglimento
dell’appello proposto dal P.M. ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. ed in riforma
del provvedimento originario del 09/07/2013 del Giudice per le indagini
preliminari dello stesso Tribunale, disponeva la sostituzione della misura degli

Data Udienza: 13/02/2014

arresti domiciliari con quella più grave della custodia cautelare in carcere nei
confronti di Elio Sauta in relazione ai reati di cui agli artt. 416 cod. pen. (capo 1)
dell’imputazione), 61 b. 2, 81, 110 e 479 cod. pen. (così riqualificato taluni dei
fatti inizialmente contestati in termini di peculato continuato: capi 1-4, 6-8, 1011, 13, 16-30, 35-68, 38 bis-39), per avere – nella veste di presidente
dell’ARAM, destinataria dell’erogazione da parte della Regione Sicilia di
finanziamenti per l’organizzazione di corsi di formazione e di aggiornamento
professionale – fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla

percepimento di denaro pubblico a seguito della presentazione di progetti di corsi
e del successivo deposito di falsa documentazione di spesa; nonché per avere
concorso nella consumazione dei relativi anzidetti reati fine.
Rilevava il Tribunale come gli elementi acquisiti durante le indagini avessero
dimostrato la sussistenza tanto di un attuale e concreto pericolo di reiterazione
delittuosa, quanto di un rischio di inquinamento probatorio, a fronte dei quali del
tutto inadeguata appariva la misura degli arresti domiciliari, originariamente
applicata all’indagato dal G.i.p., che doveva, perciò, essere sostituita con la più
severa misura della custodia cautelare in carcere, comunque proporzionata alla
eccezionale gravità dei fatti accertati.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Sauta, con atto sottoscritto
dal suo difensore avv. Alberto Gullino, il quale ha dedotto i seguenti tre motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 191, 405, 406 e 407 cod. proc.
pen., e vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, per avere il
Tribunale erroneamente disatteso l’eccezione difensiva di inutilizzabilità degli
esiti delle indagini, in quanto svolte in un periodo “non coperto” dal
provvedimento di proroga del termine di durata della fase delle investigazioni,
adottato sulla base di una richiesta del P.M. presentata non tempestivamente.
2.2. Violazione di legge, in relazione a tutte le norme di diritto penale
sostanziale oggetto di addebito, nonché agli artt. 273 e 274 cod. proc. pen., e
vizio di motivazione, per avere il Tribunale siciliano disposto la sostituzione di
quella misura in relazione ad una serie di reati per i quali le carte del
procedimento avevano escluso la presenza dei gravi indizi di colpevolezza a
carico dell’indagato ovvero avevano, al più, dimostrato la configurabilità di altri e
meno gravi illeciti.
2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen., e
vizio di motivazione, per avere il Tribunale messinese utilizzato mere formule di
stile, vuote di contenuto, per sostenere la sussistenza delle due indicate esigenze
di cautela, la seconda delle quali, quella concernente il supposto rischio di

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v

commissione di una pluralità di reati di truffa aggravata, commessi mediante il

inquinamento delle prove, riferibile invero ad altro indagato e che, comunque,
non era stato neppure riconosciuta dal Giudice che aveva adottato il
provvedimento genetico delle misure.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
Dalla documentazione in atti emerge che, con ordinanza adottata il
22/01/2014, il Tribunale di Messina – dinanzi al quale pende il giudizio nella fase
dibattimentale – ha disposto la revoca della misura degli arresti domiciliari

preventive sottese al trattamento cautelare”: trattasi di circostanza
procedimentale sopravvenuta che ha fatto venir meno l’interesse dell’indagato a
coltivare il ricorso per cassazione avverso il provvedimento con il quale il
Tribunale dell’appello aveva ordinato nei suoi riguardi l’applicazione della misura
della custodia in carcere in luogo di quella degli arresti domiciliari che non è più
in atto.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento ed a quello di una somma in favore della
cassa delle ammende, tenuto conto che la sopravvenuta carenza di interesse è
dovuta ad un fatto non imputabile al ricorrente.
Ritiene il Collegio che, nel peculiare caso di specie, debba essere pure esclusa
l’operatività dell’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen. che, come noto, prevede la
trasmissione, a cura della cancelleria, al P.M. per l’esecuzione del provvedimento
cautelare divenuto definitivo in conseguenza della decisione adottata dalla Corte
di cassazione.
Ed infatti, se, di norma, alla declaratoria di rigetto o di inammissibilità del
ricorso per cassazione presentato dall’indagato avverso l’ordinanza del Tribunale
di accoglimento dell’appello presentato ex art. 310 cod. proc. pen. dal P.M.,
dovrebbe conseguire la messa in esecuzione di quel provvedimento (che, nelle
more, era rimasta sospesa, giusta la statuizione contenuta nel comma 3 di tale
articolo), all’applicazione di tale disciplina osta, nella fattispecie, la circostanza
che la conclusione del procedimento incidentale di impugnazione e la
conseguente definitività dell’ordinanza emessa dal Tribunale della libertà nei
confronti dell’odierno ricorrente riguardano una misura cautelare applicata al
prevenuto oltre sei mesi fa nella fase delle indagini preliminari, rispetto alla
quale devono considerarsi prevalenti, in una lettura costituzionalmente orientata,
gli effetti del provvedimento, emesso nella successiva fase del giudizio
dibattimentale, con il quale il Giudice del merito ha ordinato la rimessione in
libertà dello stesso imputato sulla base della riconosciuta, sopravvenuta, totale

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le

applicata al Sauta per la sopravvenuta “cessazione di tutte le esigenze

cessazione di ogni esigenza di cautela (nella stessa ottica, sia pur con riferimento
ad una situazione procedimentale differente, Sez. 6, n. 2319/14 del 19/12/2013,
Ragosta, non mass.).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e non eseguibile l’o rdinanza impugnata.

Così deciso il 13/02/2014

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