Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9932 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9932 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Capone Carmelo, nato a Messina il 17/09/1960

avverso l’ordinanza del 08/08/2013 del Tribunale di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’indagato l’avv. Alberto Gullino, che ha concluso chiedendo
l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Messina, adito ai sensi dell’art.
322 cod. proc. pen., confermava il decreto del 09/07/2013 con il quale il Giudice
per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto l’applicazione
della misura del sequestro preventivo per equivalente delle somme di denaro,

Data Udienza: 13/02/2014

fino alla concorrenza di euro 146.000,00, esistenti su conti correnti riconducibili
a Carmelo Capone in relazione ai reati di cui agli artt. 61 n. 2, 81 e 640 bis cod.
pen. (capi 43), 44), così riqualificato il fatto inizialmente contestato in termini di
peculato continuato, 45), 46), 47) e 48), per avere – nella veste di legale
rappresentante dell’A.N.CO.L., Associazione Nazionale delle Comunità di Lavoro,
beneficiaria dell’erogazione da parte della Regione Sicilia di finanziamenti per
l’organizzazione di corsi di formazione e di aggiornamento professionale concorso nella commissione una pluralità di reati di truffa aggravata, mediante il

e del successivo deposito di falsa documentazione di spesa.
Rilevava il Tribunale come gli elementi acquisiti durante le indagini avessero
dimostrato la sussistenza sia del fumus commissi delicti, desumibili da quegli
stessi elementi che avevano integrato i gravi indizi di colpevolezza a carico del
Capone ai fini dell’applicazione della misura cautelare personale, che del
periculum in mora, coincidente con la confiscabilità di quelle somme ai sensi del
combinato disposto degli artt. 640 quater e 322 ter cod. pen.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Capone, con atto sottoscritto
dai suoi difensori avv. Alberto Gullino e avv. Marcello Scurria, il quale ha dedotto
i seguenti tre motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 191, 405, 406 e 407 cod. proc.
pen., per avere il Tribunale erroneamente disatteso l’eccezione difensiva di
inutilizzabilità degli esiti delle indagini, in quanto svolte in un periodo “non
coperto” dal provvedimento di proroga del termine di durata della fase delle
investigazioni, adottato sulla base di una richiesta del P.M. presentata non
tempestivamente.
2.2. Violazione di legge, in relazione a tutte le norme di diritto penale
sostanziale oggetto di addebito, nonché agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen., per
avere il Tribunale siciliano confermato il provvedimento genetico della misura
reale, senza considerare che le condotte contestate non avevano alcun aspetto di
fraudolenza, che la non congruità dei prezzi praticati per le locazioni era stata
solo presunta dal ‘conflitto di interessi’ riconosciuto in capo al Capone, che
l’asserita fittizietà dei costi di noleggio dell’attrezzatura era stata evinta dalla
mera incongruità di spese effettivamente sostenute, e che i fatti accertati
avrebbero, al più, potuto integrare gli estremi del diverso reato di cui all’art. 316
ter cod. pen.

2.3. Violazione di legge, in relazione a tutte le norme di diritto penale
sostanziale oggetto di addebito, nonché agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen., per
avere il Tribunale messinese violato il principio della domanda cautelare, avendo

2

percepimento di denaro pubblico a seguito della presentazione di progetti di corsi

disposto il sequestro preventivo sulla base di una motivazione afferente al reato
di peculato, di cui lo stesso Collegio aveva escluso, nel caso di specie, la
ricorrenza.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.

3.1. Il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato, avendo il
Tribunale del riesame correttamente giustificato il rigetto della eccezione
difensiva di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti, congruamente

iscritta la notitia criminis a carico del prevenuto, era solo quello previsto dall’art.
640 bis cod. pen. e non anche quello di cui all’art. 416 cod. pen., frutto di un
successivo aggiornamento della iscrizione, talchè bene aveva fatto il P.M. a
presentare la richiesta di proroga del primo termine di durata delle indagini il
15/12/2012, considerando anche il periodo aggiuntivo di sospensione di
quarantacinque giorni di durata feriale.
D’altro canto il ricorrente ha omesso di fornire la prova della fondatezza del
suo assunto posto che, una diversa riferibilità cronologica di quella seconda
iscrizione nel registro ex art. 335 cod. proc. pen., lungi dall’essere dimostrabile
con la mera fotocopia della copertina del fascicolo procedimentale, sarebbe stata
riscontrabile solo con una formale attestazione rilasciata dalla segreteria della
Procura della Repubblica.

3.2. La gran parte delle doglianze formulate dal ricorrente con il secondo
motivo è stata avanzata per fare valere asseriti vizi di motivazione del
provvedimento gravato, e, dunque, sono state presentate per ragioni diverse da
quelle consentite, tenuto conto che l’art. 325 cod. proc. pen. stabilisce che contro
i provvedimenti in materia di sequestro preventivo gli interessati possano
proporre il ricorso per cassazione esclusivamente per violazione di legge.
E’ esclusa, dunque, la sindacabilità della contraddittorietà ed illogicità
manifesta della motivazione, in altre parole, il controllo di legittimità non si
estende all’adeguatezza delle linee argomentative ed alla congruenza logica del
discorso giustificativo della decisione: sindacato, nel caso di specie, sollecitato
dal ricorrente, il quale – lamentando la “manifesta illogicità” del ragionamento
seguito dal Tribunale (v. pag. 3 del ricorso), “il vizio di illogicità” ovvero
“l’erroneità ed illogicità” di talune affermazioni dei Giudici di merito, nonché “il
ragionamento (che) finisce con l’avvitarsi su se stesso” (v. pag. 4 del ricorso), ed
ancora “l’obbligo di dare giustificazione tecnica e logica” (v. pag. 5 del ricorso) –

3

i
c/

osservando come, tenuto conto che il reato per il quale era stata originariamente

ha, in pratica, chiesto un’inammissibile rivalutazione degli elementi di prova
acquisiti, la cui capacità dimostrativa era stata già verificata dai giudici di merito.
Manifestamente infondata appare, invece, l’unica reale violazione di legge
denunciata dal ricorrente con il secondo motivo del suo atto di impugnazione,
quello concernente l’esatta qualificazione giuridica dei fatti accertati, avendo il
Tribunale del riesame fatto buon governo del pacifico principio desumibile dalla
giurisprudenza di questa Corte – secondo il quale il reato di indebita percezione
di erogazioni a danno dello Stato o di enti pubblici si distingue da quello di truffa

ha natura fraudolenta, in quanto la presentazione delle dichiarazioni o documenti
attestanti cose non vere costituisce “fatto” strutturalmente diverso dagli artifici e
raggiri, e per l’assenza della induzione in errore (così, tra le tante, Sez. 2, n.
46064 del 19/10/2012, Santannera, Rv. 254354; cfr. anche Corte cost. n. 95 del
2004) – evidenziando come il Capone non si fosse limitato alla presentazione di
documentazione mendace, ma avesse pure concorso a creare una situazione
apparente di costi sostenuti, necessaria per dissimulare la reale situazione di
conflitto di interessi e di antieconomicità delle operazioni, sì da indurre in errore i
funzionari della Regione addetti ai controlli ed ottenere così indebitamente le
somme a titolo di finanziamenti pubblici (v., in particolare, pagg. 9-10 ord.
impugn.).

3.3. Il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato, in quanto è del
tutto irrilevante il riferimento, contenuto solo nel provvedimento genetico della
misura reale adottato dal G.i.p., all’art. 322 ter cod. pen., sul quale si sono
concentrate le doglianze del ricorrente: avendo il Tribunale del riesame, nel
confermare quel decreto, riqualificato giuridicamente taluni dei fatti per i quali vi
erano i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato (e, dunque, il

fumus

commissi delicti ai fini che qui interessano), già contestati in termini di peculato,
come altrettante ipotesi di truffa aggravata, con conseguente applicazione
dell’art. 640 quater cod. pen.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della cassa
delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo indicato nel
dispositivo che segue.

P.Q.M.

4

aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, perché la condotta non

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso il 13/02/2014

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