Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9932 del 03/12/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9932 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAKHNATI SAID N. IL 13/03/1983
avverso la sentenza n. 3363/2014 CORTE APPELLO di TORINO, del
03/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
Udito il Procuratore Gngrale in person del Dott. Ti)
11;*
che ha concluso per \,

Udito, per la parte civile, l’Avv

y

it i difensor Avv.

Data Udienza: 03/12/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 9 aprile 2014 il GUP presso il Tribunale di Torino, all’esito del
giudizio abbreviato, aveva dichiarato Lakhanati Said colpevole del delitto di cui
all’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990, così riqualificando il delitto
contestato, per avere venduto, offerto, o comunque detenuto al fine di farne
commercio sostanze stupefacenti del tipo eroina per una quantità di gr. 188,
nonché una quantità imprecisata di sostanza stupefacente contenuta in ovuli, di
cui alla tabella I dell’art. 14, “ingurgitata” al momento dell’arresto e che per le

confezionamento frazionato (n. 10 involucri in cellophane contenenti eroina, un
panetto di eroina del peso di gr. 174, un numero imprecisato di ovuli) ovvero per
le altre circostanze dell’azione, meglio precisate nel capo di imputazione,
apparivano destinate ad un uso non esclusivamente personale e, ritenuta la
recidiva, ridotta la pena per il rito, lo aveva condannato alla pena di anni tre e
mesi quattro di reclusione ed euro 10.000,00 di multa.
2. Con sentenza del 3 novembre 2014, la Corte di Appello di Torino, in parziale
riforma della sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Torino, ha ridotto la
pena inflitta all’imputato ad anni due e mesi due e giorni venti di reclusione ed
euro 5.000,00 di multa, confermando nel resto.
3. Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto, tramite il proprio difensore,
ricorso per cassazione, lamentando la violazione del divieto di reformatio in pejus
di cui all’art. 597, comma 3, c.p.p. La difesa ha sostenuto che, nel rideterminare
il trattamento sanzionatorio per tener conto delle novelle legislative che hanno
riguardato la fattispecie prevista dall’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del
1990, la Corte di Appello, pur irrogando una pena inferiore a quella irrogata dal
giudice di prime cure, ha considerato una pena base decisamente superiore al
minimo di legge vigente. Per tale motivo, la sentenza impugnata violerebbe il
divieto di reformatio in pejus, poiché nella rideterminazione del trattamento
sanzionatorio la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere in considerazione il
fatto che, il giudice di prime cure aveva calcolato la pena muovendo dal minimo
edittale allora previsto. Secondo la giurisprudenza di legittimità, invero,
integrerebbe una violazione del divieto di reformatio in pejus, la decisione del
giudice di appello che, in presenza dell’impugnazione del solo imputato, pur
determinando la pena complessiva in misura inferiore a quella inflitta in primo
grado, abbia fissato la pena base in misura più elevata di quella applicata nel
precedente grado di giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Non sussisteil vizio di reformatio in pejus lamentato nel motivo di ricorso.
Invero, già in riferimento ad una precedente modifica del minimo edittale

2

modalità di presentazione, avuto riguardo al peso complessivo, al

previsto per il reato di cui all’art. 73, D.P.R. n. 309 del 1990, operata dall’art. 4bis della L. n. 49 del 2006, questa Corte aveva affermato che non viola il divieto
di “reformatio in pejus” il giudice di appello che, applicato dal primo giudice il
minimo edittale secondo la previgente disposizione, abbia tenuto conto della
riduzione per novella legislativa di quel parametro, applicando tuttavia una pena
superiore al minimo stabilito dalla nuova disciplina (in tal senso Sez. 6, n. 45926
del 22/10/2015, Pauletto, Rv. 265066; Sez. 6, n. 45896 del 16/10/2013, Foddi,
Rv. 258161; Sez. 4, n. 48334 del 25/11/2009, Tondi e altro, Rv. 245739).

certamente considerato il minimo edittale allora vigente, ritenendo tale pena
congrua alla luce dei criteri ex art. 133 cod. pen., ma nulla impedisce alla Corte
di appello, in applicazione della normativa sopravvenuta più favorevole, di
ragguagliare tale pena ad un livello non coincidente con quello minimo, purché
inferiore alla pena fissata dal giudice di prime cure. La sentenza delle Sezioni
unite citata nel ricorso (Sez. U, n. 40910 del 27/9/2005, William Morales, Rv.
232066) non prende infatti in considerazione i casi in cui la legge sopravvenuta
preveda un più mite trattamento sanzionatorio, ma si limita ad affermare
unicamente il vincolo del giudice di appello a mantenersi, in mancanza di
impugnazione del pubblico ministero, nel limite minimo di pena fissato dal primo
giudice, immutati restando i parametri sanzionatori previsti dalla legge. Infatti,
allorché valuta come congrua una pena coincidente con il minimo edittale, il
giudice si limita a ritenere la misura di questa adeguata al caso concreto, non
esprimendo neppure implicitamente alcuna indicazione circa il fatto che la pena
da irrogare, nella fattispecie considerata, debba necessariamente essere
ragguagliata in assoluto alla misura minima fissato dal legislatore.
Pertanto, il ricorso è infondato e perciò deve essere rigettato, con conseguente
condanna ex art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2015

Il consigliere estensore

Il Presidente

2. Orbene, nel caso in esame, nel determinare la pena il Tribunale aveva

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