Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9923 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9923 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALARCO DOMENICO SALVATORE MARIO N. IL 24/04/1987
avverso l’ordinanza n. 776/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 12/09/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
4ette/sentite le conclusioni del PG Dott.
u-s E- p p E tri9 E

Uditi difensor Avv.;

cAt.,._

LA—

Data Udienza: 30/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 4-12 settembre 2013 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato
l’appello proposto da Calarco Domenico Salvatore Marco avverso l’ordinanza emessa dal
G.i.p. presso quel Tribunale in data 18 luglio 2013, che rigettava la richiesta di sostituzione

2. Avverso l’ordinanza pronunziata dal Tribunale in sede di appello hanno proposto
ricorso per cassazione i difensori del Calarco, deducendo vizi motivazionali e di
violazione di legge con riferimento agli artt. 275-303 c.p.p., per avere il Tribunale
erroneamente ritenuto la carenza di interesse alla declaratoria di inefficacia della misura
cautelare per taluni reati-fine, ed omesso, inoltre, ogni valutazione in ordine all’effetto
deterrente del lungo periodo di detenzione patito dall’indagato, tenuto conto della sua
giovane età e dell’impossibilità di reiterare la condotta, dato che il provvedimento
cautelare originario ha disarticolato il sodalizio criminoso e che l’invocato provvedimento
degli arresti domiciliari in un luogo lontano da quello di contestazione degli addebiti
consente di salvaguardare le residue esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

4. Congrua deve ritenersi, nell’iter motivazionale dell’impugnato provvedimento, la
giustificazione offerta riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari, desunte
dall’evidenziato rischio di reiterazione delle gravi condotte oggetto degli addebiti
cautelari, che in ragione della loro entità e della specifica rilevanza che hanno assunto sia
nel settore del traffico di stupefacenti, che in quello relativo al commercio di armi da
fuoco, hanno coerentemente indotto il Tribunale a ritenere adeguata la misura cautelare in
essere rispetto al grado di pericolosità oggetto di prognosi in sede cautelare.
Pur sinteticamente esposto, tale apprezzamento viene delineato, in punto di fatto,
attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, rispetto alle
quali il ricorrente non ha offerto significativi elementi di novità a seguito del

della misura della custodia cautelare in carcere con altra di natura meno afflittiva.

provvedimento di rigetto dell’appello cautelare, né ha individuato passaggi o punti della
decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo sviluppato
nell’impugnata ordinanza, ma ha sostanzialmente contrapposto una lettura alternativa
delle medesime risultanze processuali, sollecitando una rivalutazione di profili di merito
già puntualmente vagliati dinanzi al G.i.p., ovvero in sede di appello cautelare.
Al riguardo v’è da osservare, peraltro, che l’ordinamento non conferisce a questa

indagate, ne’ alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive degli
indagati, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute
adeguate, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del
giudice cui è stata richiesta l’applicazione delle misura cautelare e del tribunale chiamato a
pronunciarsi sulle connesse questioni de libertate. Il controllo di legittimità, pertanto, è
circoscritto esclusivamente alla verifica dell’atto impugnato, al fine di verificare che il testo
di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro di carattere
negativo, la cui contestuale presenza, come avvenuto nel caso in esame, rende l’atto per ciò
stesso insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo
hanno determinato; 2) l’assenza nel testo di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (da ultimo, v. Sez. 3, n.
40873 del 21/10/2010, dep. 18/11/2010, Rv. 248698).

5. V’è da osservare, poi, riguardo alla prospettata violazione dell’art. 303 c.p.p., che il
Tribunale ha fatto buon governo del quadro di principii che regolano la materia,
escludendo qualsiasi interesse dell’appellante alla declaratoria di perdita di efficacia della
misura con riferimento ai capi per i quali il termine sarebbe già decorso, poiché, secondo il
pacifico insegnamento di questa Suprema Corte, nell’ipotesi in cui la restrizione dello
“status libertatis” debba protrarsi per altro reato più grave, l’imputato non ha interesse ad
ottenere un provvedimento di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di fase
della custodia cautelare in ordine al reato meno grave, salvo che prospetti l’esistenza di un
interesse concreto ed attuale all’adozione di tale pronuncia (Sez. 6, n. 2721 del 08/01/2009,
dep. 21/01/2009, Rv. 242587), situazione, questa, non prospettata nel caso di specie.

2

Suprema Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende

6. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo
quantificare nella misura di euro mille.
La Cancelleria provvederà all’espletamento degli incombenti di cui all’art. 94, comma

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Manda
alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att., c.p.p. .

Così deciso in Roma, lì, 30 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

1-ter, disp. att., c.p.p.

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