Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9919 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9919 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
YUSUF MD Ahsan, n. in Bangladesh 21.6.1973
alias
SANY Mohammad, n. Dhaka (Bgd) 21.6.1975
avverso l’ordinanza n. 125/13 MAE della Corte di Appello di Roma del 26/11/2013
esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G., dott. Roberto Aniello che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza sopra indicata la Corte di Appello di Roma ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere, ai fini della consegna alle autorità della Repubblica Slovacca, nei confronti del cittadino bengalese Sany Mohammad, n. Dhaka (Bgd) il 21.6.1975 alias Yusuf Md
Ahsan, n. in Bangladesh il 21.6.1973 – già detenuto presso la Casa Circondariale di Frosinone
per precedente e distinto mandato d’arresto europeo – in esecuzione di quello da ultimo emesso in data 10/01/2012 dal Giudice Istruttore del Tribunale Distrettuale di Bratislava in relazione
ai reati di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nonché a plurimi episodi di favoreggiamento della medesima.
Premesso che il Sany era stato tratto in arresto il 05/10/2013 in forza della ricezione di un primo MAE emesso in data 02/12/2009 dall’autorità giudiziaria slovacca, con conseguente convalida intervenuta il giorno 07/10/2013, la Corte ha esaminato il successivo mandato europeo
e la documentazione integrativa trasmessa, rilevando che esso aveva ad oggetto il coinvolgimento dell’arrestato in un’associazione volta a favorire l’ingresso illegale nel territorio della
Unione Europea, con transito precipuo dalla Slovacchia, di migranti provenienti dall’Asia (India,
Pakistan, Afghanistan e Bangladesh), nonché la diretta sua partecipazione a plurimi episodi di

Data Udienza: 28/01/2014

favoreggiamento dell’immigrazione clandestina occorsi tra la fine dell’anno 2004 e l’inizio del
2005.

2. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione l’interessato deducendo la violazione dell’art. 13 legge n. 69 del 2005 per avere la Corte territoriale convalidato l’arresto in
data 26/11/2013 a seguito di MAE pervenuto tramite Ministero della Giustizia in data 8/11/
2013 e quindi oltre il termine di legge di quarantotto ore.
Deduce, inoltre, il ricorrente la mancata traduzione dell’ordinanza di convalida del MAE in una
lingua a lui comprensibile, essendo stato assistito nel corso della procedura da un interprete di
lingua indiana e non bengalese, come invece espressamente richiesto nel corso dell’udienza del
28/11/2013; il mancato intervento di un traduttore nella propria lingua gli ha impedito di comprendere il senso degli avvenimenti e di esprimere al meglio le proprie ragioni, con conseguente compromissione dei suoi diritti di difesa e violazione della normativa interna ed internazionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato e come tale va dichiarato inammissibile.
3.1 Come agevolmente si ricava dall’esposizione delle cadenze della procedura di consegna
tuttora in corso, il ricorrente era stato tratto in arresto una prima volta in data 05/10/2013 a
seguito di un primo MAE emesso dall’autorità giudiziaria slovacca, la misura venendo debitamente e tempestivamente convalidata ai sensi dell’art. 13 della legge n. 69 del 2005.
All’arrivo di un secondo MAE emesso dall’autorità giudiziaria slovacca, il Sany alias Yusuf Md
Ahsan si trovava dunque già in stato di detenzione, talché che non v’è stato bisogno di un nuovo arresto ad opera della polizia giudiziaria ex art. 11 e di conseguenza non v’è stata necessità
di procedere ad alcuna convalida ai sensi dell’art. 13 della legge citata.
3.2 Con riferimento, invece, alla mancata assistenza di un interprete che il ricorrente avrebbe
patito durante la procedura fin qui svoltasi, si deve rilevare che dagli atti del procedimento
emerge che all’udienza del 30/11/2013 svoltasi dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, l’interprete che assisteva il Sany, sig. Paul Mandi, espressamente interpellato al riguardo, confermava di avere interloquito con lui in lingua indiana (hindi) già durante quella del 7/10/2013,
senza che egli avesse nulla da obiettare o che palesasse incomprensioni.
Risulta, dunque, irrilevante la circostanza che il ricorrente non sia stato assistito da interprete
di lingua bengali, che rappresenta la sua lingua madre, avuto riguardo al fatto che egli ha avuto piena assistenza da parte di un interprete che parlava una lingua comunque da lui compresa.
A tale riguardo vale ricordare che l’art. 3 par. 7 della Direttiva 2010/64/UE del 20 ottobre 2010
sul diritto dell’imputato all’interpretazione ed alla traduzione degli atti nei procedimenti penali il cui termine di attuazione nell’ordinamento interno è spirato il 27 ottobre 2013 – nel contemplare una deroga all’obbligo per gli Stati di provvedere ad una traduzione scritta degli atti processuali fondamentali stabilito dall’art. 2, stabilisce che ‘è possibile fornire una traduzione orale

o un riassunto orale di documenti fondamentali, anziché una traduzione scritta, a condizione
che tale traduzione orale o riassunto orale non pregiudichi l’equità del procedimento’.

Rilevando da un lato la compiuta identificazione dell’arrestato, la sufficiente descrizione dei
reati per cui era stata emessa la misura restrittiva nel Paese richiedente, la corrispondenza di
essi alle figure di cui agli artt. 416 cod. pen. e 12 d. Igs. n. 286 del 1998, l’assenza di cause
ostative alla consegna, il rispetto della condizione inerente l’entità della pena di cui all’art. 7
legge n. 69 del 2005 ed apprezzando dall’altro la personalità del Sany, la specificità dei fatti
oggetto della procedura nonché l’adeguatezza della cautela invocata dal Procuratore Generale,
la Corte ha pertanto disposto l’applicazione della misura cautelare in carcere.

Tuttavia sia nel formulare l’obbligo di carattere generale che nel contemplare la deroga, la Direttiva mai fa riferimento, esplicito o implicito, alla lingua madre dell’interessato, mirando al
concreto obiettivo che egli venga immediatamente ed esaurientemente informato sul significato e sui possibili sviluppi della procedura giudiziaria a suo carico e che ciò avvenga in una
qualsiasi lingua – diversa da quella in cui la procedura stessa si sta svolgendo in ipotesi a lui
sconosciuta – purché al medesimo comprensibile.

4. Alla dichiarazione d’inammissibilità segue, pertanto, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima
equo determinare nella misura di 500,00 (cinquecento) Euro.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di € 500,00 in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli
adempimenti di cui all’art. 94-1/ter disp. att. cod. proc. pen.
Roma, 28/01/014

P. Q. M.

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