Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9914 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9914 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Fumo Vincenzo

nato il giorno 24 febbraio

1988 avverso l’ordinanza 15-18 luglio 2013 del Tribunale del riesame di Salerno.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale
Roberto Aniello che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Fumo Vincenzo ricorre, personalmente, avverso l’ordinanza 15-18 luglio
2013 del Tribunale di Salerno che, accolto il riesame per i capi “Z2, Z7, Z8” ha
rigettato nel resto, qualificando la condotta del capo Z4 come tentativo e
confermando quanto al capo Z3 e per il reato associativo.
Il Fumo quindi per la gravata ordinanza è gravemente attinto per il reato
associativo nonché per i capi Z 3 e Z 4, sebbene quest’ultimo diversamente
qualificato come tentativo.

Data Udienza: 28/01/2014

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2. La difesa ha eccepito la nullità dell’ordinanza di custodia cautelare in
carcere in quanto motivata in modo solo apparente e tale da far comprendere che
il giudice non avesse esercitato alcun vaglio critico sì da rimettere la decisione
all’organo dell’accusa.
3. Il Tribunale ha condiviso l’asserzione difensiva sull’assenza complessiva
cautela, testualmente rilevando:
a) che il G.I.P., per ogni capo d’imputazione satellite, tranne che per il capo
Z8, si limita a riprodurre i dati di Polizia pur opportunamente selezionandoli;
b) che, pertanto simile tecnica motivazionale, alquanto sbrigativa, non è
solo discutibile, come può ritenersi nel caso del capo Z12 in ragione del breve
commento al materiale riprodotto, ma, come negli altri casi sopra esaminati, è
nulla anche perché l’ordinanza, per il resto, riporta, verosimilmente attraverso la
“tecnica del copia è incolla informatico”, alcuni passaggi della richiesta del pubblico
ministero (a sua volta mutuata dall’informativa di reato) e, nella parte introduttiva,
espone una serie di massime giurisprudenziali in tema di associazione a delinquere
finalizzata allo spaccio e di utilizzabilità delle intercettazioni, buone per ogni
situazione;
c) che, in conclusione il G.I.P., esclusa la richiamata eccezione del capo Z8,
non ha assolto all’onere di cui all’art. 292 n. 2 c.p.p. perché non ci si può spingere
fino a sostenere che la mera riproduzione dei brogliacci o dei passaggi delle
informative, ricorrendo alla solita tecnica del copia e incolla, possa valere alla
stregua di una motivazione.
4. Su tali premesse l’ordinanza impugnata, aderendo ad un orientamento
giurisprudenziale (si citano: Cass. 2.2.2011 n. 15416 e Cass. n. 6322 del 2007),
ha stabilito che, pur in caso di rilevata nullità, il tribunale del riesame possa e
debba esercitare

il potere di integrazione/surrogazione dell’apparato

argomentativo, normativamente impostogli ex art. 309,

comma 9, c.p.p.,

esprimendo per la prima volta le ragioni giustificative della misura cautelare
adottata.
4.1. In particolare il Tribunale del riesame, dopo aver spiegato di essersi
uniformato a tale interpretazione «anche in un’ottica di salvezza del

di un vero e proprio percorso motivazionale riconducibile al primo giudice della

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provvedimento e nel rispetto delle ragioni di tutela sociale » ha integrato la
motivazione inadeguata e/o assente del G.I.P. .

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è composto di tre motivi.
Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed

riesame creato “ex novo” e “contra legem” una giustificazione alla decisione
cautelare a fronte della inesistente motivazione che ha connotato l’ordinanza di
custodia cautelare in carcere del G.I.P.
2. Con un secondo motivo si lamenta che, sia nel dispositivo, che nella
motivazione che l’ha preceduto, nulla sarebbe detto circa il reato associativo
(accordo associativo, permanenza e stabilità del vincolo, consapevolezza di
partecipazione, apporto causale,rapporti con gli esponenti del sodalizio); inoltre si
evidenzia ancora come i rapporti tra Fumo, Ciaglia, Corsini e Di Giacomo siano
stati spiegati dal ricorrente in termini non delinquenzialI e che il collaboratore di
giustizia Ciro De Simone non ha parlato del Fumo.
3. Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge in relazione agli
artt. 274 e 275 cod. proc. pen..
4. Ritiene la Corte che tutti e tre i motivi debbano essere respinti per i
profili di infondatezza ed inammissibilità che li connotano.
4.1. Quanto alla prima doglianza, ritiene il Collegio, pur non ignorando la
recente decisione di questa stessa sezione (c.c. 24 maggio 2012, dep. 02 luglio
2012, n. 25631, Piscopo ed altri, Rv. 254161, secondo cui il potere dovere del
tribunale del riesame, di integrazione delle insufficienze motivazionali del
provvedimento impugnato non opera, oltre che nel caso di carenza grafica, anche
quando l’apparato argomentativo, nel recepire integralmente il contenuto di altro
atto del procedimento, o nel rinviare a questo, si sia limitato all’impiego di mere
clausole di stile o all’uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna delle
ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto dell’atto recepito o richiamato o
comunque lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni), che debba
essere evidenziato che la fattispecie in allora decisa riguardava una ordinanza
applicativa di misura coercitiva personale, costituita dalla

copia di parti di

erronea applicazione della legge in punto di motivazione avendo il Tribunale del

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motivazioni di ordinanze emesse nell’ambito di differenti vicende giudiziarie e
dall’integrale contenuto della richiesta del pubblico ministero, senza che si fosse
neppure provveduto alle modifiche formali rese necessarie dal mutamento del
tipo di atto e dell’autorità procedente.
4.2. Situazione ben diversa da quella oggi da esaminare nella quale

giustificazioni ha fatto uso di alcuni opportuni accorgimenti nel senso che:
a) ha esposto, non solo trascrivendolo ma selezionandolo utilmente, il
materiale -rilevante e funzionale- ai fini della formulazione del giudizio di gravità
indiziaria;
b) ha accompagnato ad esso, come strumento di conforme interpretazione,
brani adesivi e commentati delle indagini di Polizia giudiziaria;
c) ha correlato gli esiti delle intercettazioni ed il loro ragionevole tenore,
interpretato unitariamente, con le altre sinergiche emergenze processuali;
d) ha operato, per le parti non oggetto di uno specifico approfondimento,
una valutazione sintetica che risulta incompatibile con la negazione della grave
realtà indiziaria ritenuta.
4.3. In tale quadro e nella specie, appare quindi corretto il potere di
integrazione e/o di surroga esercitato nell’ordinanza gravata ( cfr.: cass. pen. sez.
2, 7967/2012 Rv. 252222, Sez. 6, 8590/2006 Rv. 233499 Pupuleku; massime
conformi dal 1996 al 2004: 2950/1996 Rv. 206213; 4325/1996 Rv. 206494,
5502/1996 Rv. 203777, 5560/1996 Rv. 204041, 4753/1998 Rv.
211887, 11466/2001 Rv. 218752, 15729/2002 Rv. 21297, 35080/2002 Rv.
22636, 36611/2003 Rv. 226028, 35993/2004 Rv. 229763), senza aderire al più
radicale orientamento giurisprudenziale il quale nega al tribunale del riesame,
laddove si ravvisi difetto di motivazione, il potere di annullare il provvedimento
cautelare impugnato -dovendosi attribuire al solo giudice di legittimità il potere di
pronunciare il relativo annullamento per tale vizio- con la naturale conseguenza di
ritenere doverosa e corretta l’azione del Tribunale di “provvedere integrativamente
ad un’autonoma valutazione del quadro indiziario già conosciuto dal giudice delle
indagini preliminari”,

l’ordinanza di custodia cautelare in carcere del G.I.P., pur nella stringatezza delle

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4.4. Invero la ricezione integrale del contenuto della richiesta del P.M.
nell’ordinanza del G.I.P., laddove avvenuto, non implica di per sè la nullità di
questa, quando risulti che il giudice abbia comunque esercitato un vaglio critico
oppure, come nella specie, quando non emerga che il giudice abbia recepito del
tutto acriticamente l’atto incorporato (cfr in termini: Sez. IV, n. 4181/2008,

quale ha affermato che “in caso di ritrascrizione integrale dei contenuti dell’atto di
riferimento” deve ritenersi effettuato un vaglio consapevole del giudice sul
contenuto del provvedimento di riferimento; Sez. II, n. 6966/2011 P.M. in proc.
Giampapa e altro, Rv. 249681; Sez. II, n. 13385/2011, Soldano, Rv. 249682; Sez.
I, n. 14830/2012, P.M. in proc. Faye, Rv. 252274.).
4.5. Il primo motivo di impugnazione va quindi rigettato.
5. Con il secondo motivo, come già anticipato, si lamenta violazione di
legge e vizio di motivazione in punto di affermazione dei gravi indizi di
colpevolezza per il reato associativo.
5.1. Il motivo non ha pregio laddove lo si confronti con la diffusa ed
articolata motivazione del Tribunale il quale ha dato ragionevole conto di tutti gli
elementi idonei a concretizzare nella specie i gravi indizi di colpevolezza in
relazione alle accuse prospettate.
5.2. E’ invero noto, per ciò che attiene alla dedotta insussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza, sostenuta nella specie con argomentazioni che tendono a
contestare la idoneità e la coerenza del tessuto motivazionale su cui si fonda
l’ordinanza impugnata, che, in tema di difetto di motivazione, il sindacato di
legittimità sulla giustificazione del provvedimento impugnato è limitato alla mera
verifica di un coerente e logico apparato argomentativo, nella specie ampiamente
sufficiente.
5.3. Ne deriva che il vizio logico della motivazione, anche sotto il profilo del
travisamento del fatto, deve essere riscontrato e specificamente individuato tra
le diverse proposizioni contenute nel testo della motivazione stessa, senza alcuna
possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali, essendo impedito al
giudice della legittimità compiere una “rilettura” degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione , per sovrapporre la propria valutazione in ordine alla

Benincasa, Rv. 238674; Sez. II, n. 39383/2008, D’Amore e altro, Rv. 241868, la

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affidabilità delle fonti di prova e la propria interpretazione delle risultanze
processuali (cfr. ex plurimis: cass. pen. sez. 5, 46124/2008 Rv. 241997; cass.
pen. sez. 2, 42851/2002 Rv. 223411).
5.4. Nella specie, infatti, il Tribunale del riesame ha analiticamente preso in
considerazione le diverse circostanze ascritte in via di accusa all’indagato

soggettive per l’assunta misura cautelare personale.
5.5. Anche il secondo motivo va quindi rigettato.
6. Con il terzo motivo si prospetta vizio di motivazione sulla sussistenza
delle esigenze cautelari, contestandosi tra l’altro il valore negativo attribuito
all’esercizio della facoltà di non rispondere (art.64.3 lettera b) cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 208 e 503 C.P.P.).
6.1. Pure tale ultimo motivo è infondato, pur rilevandosi come sia stato
scorrettamente utilizzato da parte della gravata ordinanza, ai fini del giudizio di
pericolosità, l’avvenuto esercizio della facoltà di non rispondere
6.2. Giova in proposito comunque ricordare che in tema di misure cautelari
personali, l’esercizio, da parte dell’indagato della facoltà di non rispondere o di
non collaborare, non consente di desumere alcuna prognosi sfavorevole in ordine
al pericolo di commissione di altri reati, o altra conseguenza negativa diversa
dall’impossibilità di accedere ad eventuali benefici che possono legittimamente
derivare dalla collaborazione (cass. pen. sez. 6, 38139/2008 Rv. 241321).
6.3. Nella specie peraltro, e questo salva la decisione da un annullamento
con rinvio sul punto, tale considerazione è stata utilizzata, dall’estensore del
provvedimento, “ad abundantiam”, come è rilevabile in modo manifesto dalla
locuzione usata in premessa a tale valutazione: «…Per di più l’indagato, che si è
avvalso della facoltà di non rispondere..» e dalla consistente validità degli altri
elementi soppesati ai fini del giudizio.
7. In conclusione, il ricorso risulta infondato, valutata la conformità del
provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e
coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata. 12=3:13=14
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ritenendo in proposito ragionevolmente realizzate le condizioni oggettive e

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il giorno 28 gennaio 2014.

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