Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9913 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9913 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAIRO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PUCCIO ANTONIO N. IL 10/09/1957
PUCCIO GIOVANNI N. IL 26/07/1948
AIELLO ANTONIETTA N. IL 08/02/1958
DE FAZIO ANNA MARIA N. IL 25/11/1964
MERCURIO MARIAGRAZIA N. IL 12/05/1969
PUCCIO GIUSEPPE N. IL 01/07/1976
IANNONA CATERINA N. IL 02/03/1976
PUCCIO GIUSEPPE FRANCESCO N. IL 11/06/1984
avverso il decreto n. 33/2013 CORTE APPELLO di CATANZARO, del
11/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO CAIRO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 24/11/2015

Sulle conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del dott. Antonio Gialanella,
sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa ‘Corte, il quale ha
concluso, come da requisitoria del 22-12-2014, chiedendo il rigetto dei ricorsi con
ogni consequenziale statuizione ex art 616 cod. proc. pen..

1. La Corte d’appello di Catanzaro con decreto in data 11.10-20.11.2013 rigettava i
ricorsi proposti da Puccio Giovanni, proposto) e dai terzi interessati Puccio Antonio,
Aiello Antonietta, De Fazio Anna Maria, Mercurio Maria Grazia Puccio Giuseppe,
Iannone Caterina, Puccio Giuseppe Francesco avverso il decreto di confisca adottato
ai sensi degli artt. 16 e ss. d. Igs 6 settembre 2011, n. 159 dal Tribunale di Crotone
con ordinanza 5-2-2013. Il Tribunale di Crotone, in funzione di giudice della
prevenzione, aveva accolto la richiesta della competente Procura della Repubblica di
confisca di una serie di beni intestati ai fratelli Puccio Giovanni e Puccio Antonio e/o
comunque nella loro diretta o indiretta disponibilità, attraverso terzi intestatari,
familiari o prestanome.
Premetteva, pur a fronte della non accertata pericolosità di Puccio Antonio, la certa
condizione soggettiva di pericolosità in capo al Puccio Giovanni, già colpito da misura
di prevenzione personale e patrimoniale e da condanna per il delitto di cui all’art.
416 bis cod. pen.. Riteneva una vera e propria simbiosi imprenditoriale tra i due
fratelli, sicché la pericolosità del primo finiva per fungere da presupposto per
l’ablazione dei beni di entrambi tenuto conto della precipua comunanza di interessi
economici ed imprenditoriali che ne faceva un centro di imputazione unico, riferibile a
Giovanni Puccio ed alla sua certa indole mafiosa.
Il decreto della Corte d’appello evidenzia come la decisione di confisca si era
fondata sullo scrutinio del requisito di pericolosità personale, ritenuto in capo al
Puccio Giovanni. Detto elemento era di tale pregnanza da costituire fondamento
anche per la confisca dei beni del Puccio Antonio. In particolare la ritenuta
‘attualità della pericolosità del Puccio Giovanni legittimava l’intervento patrimoniale
allargato e la confisca dei beni nei termini disposti. La Corte d’appello esaminava i
motivi di ricorso sviluppati nell’interesse dei ricorrenti e confermava la correttezza
del giudizio svolto dal giudice di primo grado. Dopo uno scrutinio analitico sulle
finalità delle cessioni societarie e sui rapporti tra i requisiti di
proporzione/sproporzione tra le condizioni reddituale gl incrementi patrimoniali
esplicitava le ragioni che inducevano a ritenere corretta la prima valutazione,
annotando, tra l’altro, una serie di profili per i quali riteneva sussistenti profili di
preclusione ad un nuovo esame nel merito su talune vicende d’ablazione già
che ne
scrutinate in precedenti e distinti giudizi ed in assenza di novum
legittimasse una rivisitazione.
2. Ricorrono per cassazione a mezzo dei difensori di fiducia Puccio Giovanni, ed i
terzi interessati, Aiello Antonietta, De Fazio Anna Maria, Mercurio Maria Grazia,
Puccio Giuseppe, Iannone Caterina, Puccio Giuseppe Francesco e deducono:
– violazione dell’art 24 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 dolendosi
dell’insussistenza dei presupposti di legge per applicare la confisca dei beni.
Premettono gli istanti che l’art 2-ter I. 575/65 prevedeva un nesso di pertinenzialità
tra il patrimonio e l’attività illecita. L’art 24 del decreto legislativo 6 settembre
2011, n. 159, al contrario, si fonda sul requisito di sproporzione analogamente a

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RITENUTO IN FATTO

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quanto accade per l’art 12-sexies d.l. 306/1992 e risulta sconnesso da ogni forma
di collegamento con l’attività illecita.
Mentre, tuttavia, la misura di cui all’art. 12-sexies d.l. 306/1992 avrebbe una
credibilità perché legata all’accertamento di un fatto reato; ciò non accade per la
misura di prevenzione.
Qui per operare una lettura costituzionalmente corretta del sistema normativo
occorre, tuttavia, ritenere che i due requisiti della pericolosità e della sproporzione
debbano interagire.
Detta relazione non può intendersi nel solo senso della cd. connessione causale,
poiché si finirebbe in questa prospettiva per sovrapporre l’ipotesi in esame (quella
cioè dei beni sproporzionati) a quella anche normativamente prevista del
collegamento di essi con attività illecita o di reimpiego. Detto requisito piuttosto va
intesto come un collegamento di carattere temporale tra l’accumulazione illecita
ed i fatti a fondamento del giudizio di pericolosità. Da ciò dovrebbero essere
esclusi proprio i beni che esulino dal perimetro indicato e che siano acquisiti in
epoca anteriore a detto segmento temporale. La Corte d’appello nel caso di specie
ha seguito un ragionamento diverso. Ha applicato la confisca a prescindere da ogni
collegamento cronologico tra gli acquisti dei beni ed i fatti indicativi di pericolosità.
Era tanto evidente il dato, che si era applicata la confisca su beni acquisiti circa
trenta anni prima dei fatti (cioè negli anni 1984, 1986 e 1991). La difesa aveva, poi,
dimostrato una serie di elementi attraverso la consulenza di parte (dr. Palasciano)
e nessuno dei temi affrontati nell’elaborato era stato partitamene esaminato dai
giudici dell’appello. La Corte si era, del resto, limitata ad esaminare solo alcuni beni,
come se fosse sufficiente una spiegazione esemplificativa ed a campione
della
ritenuta illiceità dei trasferimenti. Non aveva, di converso, motivato su ciascun
cespite, come avrebbe dovuto e secondo consolidati indirizzi giurisprudenziali.
Aveva, ancora, errato nell’affermare l’illiceità dei trasferimenti e delle intestazioni dei
beni a terzi, operazioni che avrebbero avuto unico scopo di evitare che le strutture
societarie incorressero in divieti di accesso a pubblici appalti. Il dato era stato
frutto di un travisamento netto della prospettazione a discarico. Lo scopo era
quello di evitare le preclusioni dell’art 67 comma 1 e 2 decreto legislativo 6
settembre 2011, n. 159. Quando, infatti, alla società I.I.E. era stato negato il
certificato antimafia
Borrelli Carmine aveva trasferito le quote ai terzi odierni
ricorrenti (Aiello, De Fazio, Mercurio, coniugi
di Giovanni, Antonio e Gregorio
Puccio). Il prezzo era stato al valore di euro 78.000 e non vi era, né intestazione
fittizia, né scopo elusivo. Ricorreva, di converso, la sola volontà di esercitare
l’attività in ossequio alle prescrizioni in materia di misure di prevenzione. Se vi
fossero stati scopi elusivi non si sarebbero designati prossimi congiunti come aventi
causa.
Quanto alle società non vi era stata alcuna motivazione sull’epoca in cui le stesse
erano state inquinate da fonti illecite. Ciò proprio in ragione della verifica di
correlazione temporale indicata. I giudici non avevano, infatti, distinto tra beni
acquisiti eventualmente in epoca in cui la società operava lecitamente da quelli
acquisiti ex post. Del resto alcuna prova vi era che le strutture fossero nate come
compagini illecite.
In questo senso si sono anche richiamate le osservazioni del Procuratore generale
nel procedimento, poi conclusosi con la sentenza del 19 giugno 2013 di questa
Corte, relative ad altra misura di prevenzione.

3. Con separato ricorso a mezzo dei difensori di fiducia Puccio Antonio deduce vizi e
motivazioni esattamente sovrapponibili a quelle già descritte ed articolate
nell’interesse di Puccio Giovanni e degli altri terzi interessati.
4. Il Procuratore generale con memoria scritta ha chiesto il rigetto dei ricorsi con
ogni consequenziale statuizione ex art. 616 cod. proc. pen.
5. Nell’interesse di Puccio Giovanni e dei terzi interessati, Aiello Antonietta, De Fazio
Anna Maria, Mercurio Maria Grazia, Puccio Giuseppe, Iannone Caterina, Puccio
Giuseppe Francesco, in data 19-11-2015, è stata depositata memoria difensiva. Si è
introdotta l’assoluzione di Puccio Giovanni e dei terzi stessi nel procedimento penale
n. 4220/08 celebrato innanzi al Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di
Catanzaro. Premessa l’autonomia tra procedimento di prevenzione e penale si è
sottolineato che le vicende a fondamento dei due giudizi erano identiche e che sulla
scorta di una perizia tecnico-contabile il Giudice per l’udienza preliminare aveva
assolto da tutti i capi di imputazione. Aveva escluso manovre di fittizia intestazione
in relazione alla società IIE, alla SERIT e CESIT ed aveva escluso le imputazioni di
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Si è, dunque, indicata la scorrettezza della decisione nella parte in cui aveva
ritenuto ai fini del giudizio di proporzione di non prendere in considerazione i
redditi sottratti all’imposizione fiscale.
– violazione degli artt. 2 cod. pen. e 24 decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
La violazione si sarebbe intesa riflettendo sull’orientamento giurisprudenziale che
ha ritenuto la confisca misura di carattere sanzionatorio e, dunque, sottoposta al
regime di cui all’ad 2 cod. pen. (irretroattività della norma sfavorevole). Si afferma
che i giudici dell’appello abbiano erroneamente legato la decisione al tema della
pericolosità e non operato riferimento alla questione posta dalla difesa e relativa al
presupposto di sproporzione nei termini neo introdotti dall’art. 24 del d. Igs
159/2011, che aveva carattere peggiorativo.
Del resto questa Corte suprema aveva chiarito che, sganciata l’applicazione della
confisca di prevenzione dal requisito di pericolosità sociale attuale, essa assumeva
carattere sanzionatorio ad ogni effetto ed era da assoggettare alla disciplina
dell’art. 200 cod. pen.
Nel caso di specie la confisca era stata disposta senza dimostrazione della attuale
pericolosità sociale del Puccio e senza alcuna acquisizione sulla correlazione tra
pericolosità ed accumulazione dei beni.
– violazione dell’art 19 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
Le censure sono state spiegate anche avverso l’argomento secondo cui i beni
intestati ai terzi interessati sarebbero nella disponibilità del Puccio. L’onere di prova
sul punto grava sul Pubblico Ministero e si sarebbero dovute spiegare le ragioni della
intervenuta interposizione fittizia. Non si sarebbe potuta inferire la disponibilità
dalla sola
circostanza che il terzo non era stato in grado di dimostrare la
provenienza del denaro servito per l’acquisto. Sul punto si era operato attraverso
una doppia presunzione. Il primo passaggio era relativo alla mancanza di prova del
denaro utilizzato per l’acquisto dei beni e in questa direzione si era presunto che
derivasse dal Puccio. Il secondo passaggio si era
articolato nella ulteriore
presunzione che i beni fossero fittiziamente intestati ai formali titolari e nella
disponibilità reale del Puccio. I terzi erano stati trattati nel decreto in maniera
assolutamente sovrapponibile ai prossimi congiunti, soggetti per i quali, di converso,
sarebbe stato legittimo ragionare per presunzioni.

reimpiego non essendo stata provata la fattispecie delittuosa presupposta e da cui
si assumeva derivasse il denaro oggetto delle separate imputazioni.

OSSERVA IN DIRITTO

1.1.Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in definitiva, che la Corte d’appello non
aveva spiegato le ragioni per le quali la ritenuta pericolosità non dovesse interagire
con l’illecito arricchimento. Sarebbe stato confiscabile solo il patrimonio formatosi in
corrispondenza temporale con i fatti dimostrativi di pericolosità.
Deve premettersi che questa Corte (Sez. 5, sentenza n. 39005 del 19.06.2013 c.c.
dep. 20.09.2013) si è pronunciata su altro decreto emesso dalla Corte d’appello di
Catanzaro il 16-12-2011 con cui era stato confermato il provvedimento emesso dal
Tribunale di Crotone il 15-1-2009. In quel decisum si era ritenuta la pericolosità del
Puccio Giovanni, indiziato di essere referente della famiglia mafiosa dei Maesano ed
era stata ordinata la confisca di una serie di beni mobili ed immobili.
Si era, altresì, dedotto in quel giudizio come la Corte di merito fosse incorsa in una
violazione di legge ed avesse applicato retroattivamente la previsione di cui all’ad 2bis comma 6-bis della legge 31 maggio 1965, n. 575, introdotto con la legge 24
luglio 2008, n. 125 modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, che autorizzava
l’applicazione della misura patrimoniale a prescindere dalla sussistenza del requisito
di pericolosità personale attuale.
La Corte osservava come il problema dell’applicazione retroattiva fosse superato
dalla motivazione addotta dai giudici di merito. Si era, infatti, chiarito che,
intervenuta condanna per il delitto di cui all’alt 416 bis cod. pen. e svolta
motivazione coerente sull’appartenenza del proposto ad un’associazione di tipo
mafioso, non fosse richiesta altra argomentazione sul tema di attualità della
pericolosità, in quanto insito quel requisito nella stabilità del legame con il gruppo.
Sul tema di correlazione temporale tra l’epoca di acquisizione dei beni e la
pericolosità del proposto si osservava che il requisito in parola non fosse un
elemento costitutivo per l’adozione delle misure di prevenzione patrimoniali.
Correttamente il Procuratore generale nella articolata e compiuta requisitoria scritta
annota sul punto come questa Corte abbia affermato che sia necessario tra
l’acquisizione dei beni e la condizione di appartenenza una correlazione che escluda
iato temporale di dimensioni tali da scardinare gli stessi presupposti strutturali di
operatività dell’intervento in rem (Sez. II, n. 3809 del 15.1.2013). La regola è stata
più volte ribadita e si è annotato come il principio secondo cui la reciproca autonomia
tra la misura personale e patrimoniale consente di applicare la confisca, prescindendo
dalla verifica di pericolosità attuale, richiede la condizione che sia accertata la
pericolosità stessa al momento dell’acquisizione del bene (Sez 1, n. 41452 del 17-72013 c.c. (dep. 7-10-2013) rv. 257535, Lamberti; Sez 1, n. 32398 del 21-3-2014 cc.
(dep. 22-7-2014) rv 260281 Cirillo). Affermata la necessità di un nesso di cd.
correlazione temporale la giurisprudenza di questa Corte ha anche avuto modo di
precisare che esso non va riferito alle risultanze del processo penale, ma al quadro
indiziario posto a base del procedimento di prevenzione, il cui perimetro cronologico
ben può essere diverso da quello del giudizio penale (Cass. Sez 1, 4-7-2007 Richichi
e Vadala,; Sez 1 5-610-2006,n. 35481, Gashi).
Diventa, dunque, come correttamente osservato nella requisitoria del Procuratore
generale, indefettibile un accertamento incidentale intorno alla datazione della

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1.11 ricorso è infondato.

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pericolosità personale del soggetto al quale le attività oggetto di intervento
patrimoniale si riferiscono.
Quanto alla valenza dimostrativa dell’indizio reale si è annotato come se il bene non
è proporzionato alle capacità reddituali lecite del proposto e costui non abbia allegato
un’apprezzabile giustificazione delle vicende relative alla sua acquisizione segue la
dimostrazione indiziaria sufficiente che anche la res, pur acquisita in epoca diversa
dalla consumazione dei fatti che risultano manifestazione di pericolosità, possa
essere iscritta nel contesto di un’esperienza esistenziale illecita che giustifica
l’ablazione (Sez. 2, 3809 del 15-01-2013 cc rv 25451, Castello ed altri).
Sul tema della correlazione temporale, del resto, le S.U. di questa Corte (S.U. 26-62014, dep. 2-2-2015, Spinelli) hanno riaffermato il principio esposto richiamando
proprio il concetto di una condizione esistenziale unitaria di pericolosità.
Ciò posto ed alla luce dei temi premessi il ricorso, che li sviluppa correttamente in
punto giuridico, difetta, tuttavia, dei requisiti di necessaria specificità e concretezza.
Al di là, infatti, di una generica contestazione sul requisito di pericolosità del
Puccio Giovanni non è addotto alcun dato che in concreto dia conto di elementi
idonei a far ritenere superabile il giudizio espresso sulla pericolosità di costui, tra
l’altro già ampiamente scrutinata in precedenti giudizi e nello stesso procedimento
de quo. La Corte d’appello si è soffermata sul requisito specifico e sulla storia
personale del Puccio stesso e ne ha delineato una figura di primo rilievo nel
contesto ndranghetistico territoriale di riferimento.
Gli stessi temi di doglianza articolati in ricorso non tracciano un punto concreto -in
relazione ai singoli beni, per i quali si articolano i temi hídoglianza- in cui farebbe
difetto il requisito di correlazione temporale tra pericolosità del soggetto e
acquisizione del bene.
Attraverso il ricorso si finisce, cioè, per invocare un intervento del giudice di
legittimità che rinnovi il giudizio di merito e ne rivaluti in fatto gli esiti cui sono
pervenuti i primi decidenti. Si tratterebbe di un nuovo scrutinio degli elementi
dimostrativi già delibati e posti a fondamento della decisione di confisca.
Non hanno sorte distinta i profili di doglianza ulteriore, anche contenuti nel primo
motivo di ricorso, nella parte in cui deducono il mancato accertamento della
provenienza illecita e la necessità che il giudizio da operare, ai fini dell’ablazione,
debba essere compiuto in relazione ad ogni singolo bene. Premessa la correttezza
astratta del ragionamento nei ricorsi proposti non è enucleato alcun elemento che
possa dirsi assistito dal requisito di correlazione tra la dedotta doglianza ed i motivi
posti a fondamento della decisione.
che il
Si richiama, infatti, la consulenza redatta dal Palasciano per annotare
provvedimento impugnato si sofferma su alcune soltanto delle operazioni negoziali
pur avendo obbligo i giudici del merito di dare conto con espressa motivazione
della provenienza illecita di ciascun cespite.
Ebbene il tema così costruito rimette ancora una volta / in ragione della mancanza di
specificità e della sua strutturale genericità, la Corte di legittimità nella condizione
di non poter operare uno scrutinio concreto ed esattamente delimitato sulla
questione posta. Imporrebbe in altri termini, in difetto delle indicazioni essenziali, di
selezionare per ciascun bene il percorso seguito nella tesi a carico e quello
opposto a confutazione. Ciò per delineare nel merito quale sia la soluzione
preferibile a livello valutativo. Si intende come la prospettiva sconti un doppio
profilo di criticità. Il primo è che si richiamerebbe la Corte a svolgere il ruolo del
giudice di merito, imponendo un accesso diretto agli atti ed una “ricerca” di dati
informativi da attivare in sostanza ex officio. Il secondo è che si finirebbe per

Segue. I profili di doglianza relativi alla ritenuta mafiosità dell’impresa. Il tema di
doglianza si appunta sulla parte di motivazione in cui si afferma che i giudici della
Corte d’appello avrebbero erroneamente ritenuto che la natura mafiosa dell’impresa
legittimasse una valutazione di illiceità di tutte le acquisizioni patrimoniali comunque
riferibili al proposto ed ai familiari.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di osservare che dell’impresa cd.
mafiosa va sottoposto a confisca tutto il complesso delle quote e dei beni aziendali,
là dove l’impresa abbia avuto la possibilità di espandersi e di produrre reddito,
proprio attraverso l’uso distorto dell’attività e dei beni stessi. Le entrate accumulate
nell’esercizio dell’attività e reimpiegate per lo sviluppo aziendale, dunque, assumono
connotazioni di illiceità cd. derivata che ne condiziona irrimediabilmente la natura.
Nello sviluppo di questo tracciato si è escluso che si possa disporre la confisca di
una sola quota ideale, riconducibile all’utilizzo di risorse illecite, non potendosi
distinguere in ragione del carattere unitario del bene, l’apporto lecito da quello
illecito, specie quando il consolidamento e l’espansione siano stati agevolati
dall’organizzazione criminale (Sez. 5, n. 16311 del 23-01-2014, cc. (dep 14-4-2014)
rv 259871, Di Vincenzo).
Ciò posto anche il tema di doglianza in esame, a parte il difetto di specifica
correlazione con i motivi della decisione impugnata, risulta espresso genericamente
e senza l’enucleazione di punti specifici e l’indicazione dei beni aziendali in relazione
ai quali si appunterebbe il profilo di critica articolato. E’ nella parte indicata,
pertanto, inammissibile.
Segue. I trasferimenti societari. Sul tema il motivo di ricorso annota come i
trasferimenti societari della famiglia Puccio fossero stati dettati dall’esigenza di non
incorrere nei divieti o nelle decadenze di legge (art 67 commi 1 e 2 decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159).
Non sarebbe stata coerente, dunque, la scelta di un prossimo congiunto come
soggetto da interporre per realizzare una finalità elusiva. Ciò a fronte della
presunzione normativa di cui all’art 2 comma 3 I. 575/1965 (ora art 26 comma 2
decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159).
Ebbene la ricostruzione operata sulla finalità elusiva e di cui il provvedimento
impugnato dà conto è ampiamente documentata e motivata. Né vale introdurre una
lettura della presunzione normativa che finirebbe per rivelarsi illogica, in assenza di
elementi concreti che in fatto possano dar conto che il trasferimento operato non
avesse finalità elusive. Invero, la presunzione stessa si fonda su una massima di
esperienza secondo cui determinati trasferimenti -che si risolvono nella cornice
familiare- sono attuazione proprio di meccanismi elusivi. Ciò accade sfruttando
proprio quei rapporti di fiducia e di stretta simbiosi, che continuano a garantire
ampiamente, pur a fronte delle formali cessioni, la disponibilità “indiretta” dei beni.
Introdurre un profilo di critica sul punto e ritenere che proprio l’esistenza della
presunzione escluderebbe la finalità elusiva (per palese inidoneità alla
concretizzazione di quell’obiettivo), nel caso concreto, senza indicare quale altro fine
razionalmente si dovesse perseguire con il trasferimento stesso, significa
disapplicare, da un lato, la presunzione di legge e, dall’altro, opporre una spiegazione
priva di confronto con i dati concreti. Il motivo di doglianza in parte qua, dunque,
richiamando lo scopo di non decadere da autorizzazioni o di poter continuare a
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rinnovare una valutazione del dato dimostrativo attraverso un terzo scrutinio di
merito che è tipica attività inammissibile nel giudizio di legittimità.

1.2. Con il secondo motivo dei ricorsi presentati si lamenta che i giudici di merito
avrebbero disatteso il principio di irretroattività della disciplina della confisca di
prevenzione. Sul punto occorre richiamare come la giurisprudenza di questa Corte
(Sez. 1, sentenza n. 44327 del 18/07/2013 Cc. (dep. 31/10/2013 ) Rv. 257638)
abbia chiarito che la previsione contenuta nell’art. 2 bis, comma sesto bis, legge n.
575 del 1965 (secondo cui le misure di prevenzione patrimoniali possono essere
disposte anche disgiuntamente da quelle personali) non fa mutare la natura giuridica
della confisca di prevenzione, che non è sottoposta al principio di irretroattività, e
che, ai sensi dell’art. 200 cod. pen., può essere applicata anche ai fatti precedenti
alla entrata in vigore della legge citata. La questione d’altro canto è stata
(Sez. U, sentenza n. 4880 del
affrontata anche recentemente
26/06/2014 Cc. (dep. 02/02/2015) Rv. 262602) e si è confermato che le indicate
modifiche non hanno inciso sulla natura preventiva della confisca emessa nell’ambito
del procedimento di prevenzione, sicché rimane tuttora valida l’assimilazione
dell’istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l’applicabilità, in caso di successioni di
leggi nel tempo, della previsione di cui all’art. 200 cod. pen.
Va, pertanto, respinta la doglianza.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la conclusione cui sono giunti i giudici
intestatari dei beni sarebbero, in
della Corte d’appello secondo cui i soggetti
definitiva, terzi interposti, là dove il patrimonio
risalirebbe alla disponibilità del
Puccio Giovanni.
Va premesso che lo statuto dimostrativo del requisito di disponibilità dei beni in
capo al proposto è diversificato per le ipotesi in cui i beni siano intestati a soggetti
che fanno parte del nucleo familiare e quelli che possono definirsi terzi in senso
stretto.
La prima categoria include il coniuge, i figli ed i conviventi del proposto nel
quinquennio.
La seconda i terzi estranei a detta categoria soggettiva. Per costoro, avulsi dal
legame individuato dalla norma, non opera la presunzione relativa di disponibilità in
capo ai soggetti che compongono la prima categoria.
quanto dedotto,
risulta
Il provvedimento impugnato, contrariamente a
adeguatamente motivato sul punto ed è immune da vizi censurabili in questa sede
di legittimità.
Né il ricorso indica un punto specifico della motivazione in cui il vizio denunciato
risulta annidarsi.
Piuttosto emerge una critica indifferenziata ed una diversa valutazione in fatto delle
conclusioni cui sono giunti i giudici della Corte d’appello. Il vizio dedotto criticando il
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partecipare a contratti pubblici evidenzia ex se come i trasferimenti stessi fossero
volti ad evitare quella conseguenza che sarebbe derivata dall’intervento con la
misura di prevenzione.
Il motivo di doglianza è infondato e va, pertanto, respinto.
Segue. L’erronea esclusione dei redditi derivanti da evasione fiscale. I ricorrenti
lamentano, altresì, la mancata considerazione di quel canale per determinare il
complesso delle capacità reddituali del destinatario della misura di prevenzione. La
questione è, tuttavia, superata dall’intervento delle S. U. di questa Corte che ha
affermato come non rilevino per giustificare la sproporzione i redditi ed i proventi
ritratti da evasione fiscale (S.U. 33451 del 29-5-2015 cc. dep. 29/7/2014, Rv 26024,
Repaci).

2. Quanto ai motivi aggiunti
cui è allegata sentenza di assoluzione nel
procedimento penale indicato si deve osservare che in ossequio ad un orientamento
consolidato di questa Corte nel giudizio di legittimità possono essere prodotti
esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei
precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano nuova prova e non
comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro
efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito
(Sez. 2, sentenza n. 1417 del 11/10/2012 Ud. (dep. 11/01/2013 ) Rv. 254302).
A ben vedere le doglianze ulteriori che si muovono ed argomentano con la
memoria difensiva sono sostanzialmente
volte a dare consistenza a quanto
argomentato nella sentenza n. 115/ 2015 allegata alla memoria stessa.
Si tratta tuttavia di una ricostruzione che imporrebbe una integrale rinnovazione del
giudizio di merito sulla scorta di un fatto “nuovo” (appunto la sentenza allegata)
successivo alla decisione assunta dai giudici con il provvedimento impugnato,
scrutinio che non è, ancora una volta, ammissibile in sede di legittimità.
Alla luce di quanto premesso i ricorsi vanno respinti. Segue la condanna al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
61 21,20111- A scioglimento della riserva adottata
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si e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese

a la dejlone all’
rige a i
processuali.
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Così deciso in Roma, il 24-26ffiffaTel 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

requisito di disponibilità nel merito afferirebbe, d’altro canto, alla motivazione e
risulta non sindacabile ex se per il disposto dell’ad 4 comma 11 I. 1423/1956
applicabile alla pericolosità qualificata di cui alla legge 575/65 per effetto del
richiamo di cui all’art 3-ter secondo comma I. cit. (e 10 comma 3 decreto legislativo
6 settembre 2011, n. 159) norme che ammettono ricorso per cassazione solo nelle
ipotesi di violazione di legge.
Non ricorrendo, dunque,
sul punto i crismi della motivazione apparente o
inesistente non si può assimilare l’assunto vizio alla violazione di legge.

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