Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9905 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9905 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
BENELLI Antonio n. Milano il 4 settembre 1963
avverso la sentenza emessa 1’8 aprile 2015 dalla Corte di appello di Torino

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Ciro Angelillis, che ha chiesto
la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 17/11/2015

2
Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza in data 30 gennaio 2014 la Corte di appello di Torino riformava

parzialmente la sentenza emessa dal Tribunale di Verbania con la quale Benelli Antonio era
stato dichiarato colpevole del reato continuato di peculato e falso per aver, nella qualità di
funzionario dell’Ente di gestione delle Aree protette del Ticino e del lago Maggiore, contraffatto
centoquarantatre mandati di pagamento e sei reversali appropriandosi indebitamente della
somma di euro 390.473,73 di pertinenza dell’Ente, in parte trasferendone gli importi sul

Corte territoriale assolveva l’imputato per insussistenza del fatto quanto agli episodi relativi ai
mandati 686 del 27 settembre 2011 e 880 del 5 dicembre 2011, confermando le restanti
statuizioni e riducendo sia la pena (ad anni cinque, mesi due e giorni ventotto di reclusione,
inferiore di appena due giorni rispetto alla pena determinata dal giudice di primo grado) che
l’entità del danno subito dalla persona offesa.
2.

Detta sentenza veniva annullata con rinvio con sentenza in data 15 luglio 2014

della Sesta sezione penale di questa Corte, limitatamente al trattamento sanzionatorio
(determinato secondo un percorso logico contraddittorio e non comprensibile) e alla
quantificazione del danno da risarcire all’Ente di gestione delle Aree protette del Ticino e del
lago Maggiore.
3.

Con sentenza in data 8 aprile 2015 la Corte di appello di Torino, pronunciandosi

quale giudice di rinvio, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la
pena inflitta a Benelli Antonio in anni cinque, mesi uno di reclusione ed ha stabilitp in
complessivi euro 348.543,15 il danno da liquidarsi alla parte civile.
4.

Avverso quest’ultima sentenza il Benelli, tramite il difensore, ha proposto ricorso

per cassazione deducendo:
1) la violazione della legge penale in relazione all’art.314 cod.pen. per quanto riguarda la
determinazione e la commisurazione della pena in quanto come pena base per il reato di
peculato, commesso prima dell’entrata in vigore della legge 6 novembre 2012 n.190, si era
indicato il minimo edittale di quattro anni di reclusione, previsto dalla legge di riforma, anziché
quello di tre anni previsto dalla legge in vigore al momento del fatto„ con generico riferimento
alla continuità nel tempo e alla gravità della vicenda.
2)

la mancanza di motivazione per l’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti

generiche, in considerazione del fatto che il mancato accoglimento delle richieste probatorie
avanzate dalla difesa aveva impedito di accertare l’entità della somma eventualmente sottratta
dal Benelli e di formulare un concreto giudizio sulla gravità del reato ai fini della pena e del
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; il Benelli peraltro aveva agito con
modalità tali da far escludere che avesse agito secondo un meccanismo “ben congegnato”;

proprio conto corrente tramite bonifici e in parte incassando in contanti i relativi mandati. La

3

3) l’omessa valutazione delle circostanze indicate dall’art.133 cod.pen. avendo il giudice di
merito “evitato di prendere in considerazione e di valutare il tema di indagine rappresentato
dalla documentazione contabile, affidandosi alle parole dei testi della Pubblica Accusa”.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.

La pena base in ordine al reato di peculato è stata determinata in misura prossima al
minimo edittale.
E’ principio consolidato della giurisprudenza di legittimità che nel caso in cui venga
irrogata una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua,
talché è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli
elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Cass. sez.IV 5 novembre 2015 n.46412, Scaramozzino;
sez.II 8 maggio 2013 n.28852, Taurasi). L’obbligo motivazionale previsto dall’art.125 co.3

c.p.p. deve infatti ritenersi assolto anche attraverso espressioni che manifestino
sinteticamente il giudizio di congruità della pena o richiamino sommariamente i criteri
oggettivi e soggettivi enunciati dall’art.133 c.p. (Cass. sez.IV 18 giugno 2013
n.27959, Pasquali; sez.II 8 maggio 2013 n.28852, Taurasi e altro; sez. IV 20 marzo
2013 n.21294, Senatore;sez.I 13 marzo 2013 n.24213, Pacchiarotti; sez.II 26 giugno
2009 n.36245, Denarosez.VI 12 giugno 2008 n.35346, Bonarrigo; sez.III 29 maggio
2007 n.33773, Ruggieri). Nel caso di specie adeguato appare, pertanto, il richiamo
alla gravità della vicenda e alla sua continuità nel tempo per giustificare il
mantenimento della pena base nella misura di quattro anni di reclusione, come già
determinata in primo grado.
1.2.

Il secondo motivo è del pari manifestamente infondato.

La sentenza di annullamento con rinvio riguardava il trattamento sanzionatorio, con
specifico riferimento alla determinazione della pena e degli aumenti per la continuazione come
si desume dalla motivazione, ma non il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche che costituiva oggetto del settimo e ultimo motivo di ricorso. La Corte infatti nella
motivazione testualmente affermava: “La sentenza in esame non merita censure neppure con
riferimento al tema delle circostanze attenuanti generiche escluse, per come si ricava dal
tenore complessivo della valutazione resa in ordine alla determinazione della pena, in ragione
del rilevante disvalore del fatto, sotto i versanti della durata e della gravità della condotta, e
soprattutto della personalità criminale del ricorrente (resa più evidente dal ruolo rivestito
all’interno dell’Ente e dall’essere lo stesso imputato in altro procedimento per fatti analoghi).

1.1.

4
E’, dunque, esclusa ogni carenza argomentativa o manifesta illogicità del ritenere riferibile alla
detta valutazione. Del resto, il ricorso ribadisce sul punto pedissequamente le doglianze
articolate in appello. E, ora come allora, appare gravemente carente in punto di indicazione
degli elementi positivi, pretermessí dal giudice del merito, utili a giustificare la concessione
delle attenuanti ex art.62 bis cod.pen.”.

Correttamente quindi nella sentenza impugnata (f.3)

si dava atto che questa Corte aveva rigettato, con la sentenza emessa il 15 luglio 2014 di
annullamento con rinvio, “tutte le questioni relative alla responsabilità ed alle circostanze

1.3. Il terzo motivo è del tutto generico e, comunque, incoerente perché la dedotta
violazione dell’art.133 cod.pen., in maniera priva di qualunque concretezza, è posta in
relazione alla pretesa omissione di valutazione del

“tema di indagine rappresentato dalla

documentazione contabile”.
4. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende
che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00, nonché
alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile che si liquidano in euro .000,00
oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese del
grado sostenute dalla parte civile Ente di gestione delle Aree protette del Ticino e del Lago
maggiore, spese che si liquidano in euro 1.000,00 oltre accessori come per legge.
Roma 17 novembre 2015

Il Presidente est.

attenuanti generiche”. Il tema riproposto dal ricorrente esulava pertanto dal giudizio di rinvio.

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