Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9904 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9904 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
CAPPELLETTI Eugenio n. Terlago il 21 gennaio 1963
BIASIOLLI Mauro n. Trento il 22 settembre 1955
avverso la sentenza emessa il 20 novembre 2013 dalla Corte di appello di Trento

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Ciro Angelillis, che ha chiesto
il rigetto dei ricorsi;
sentito il difensore della parte civile Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento, avv.
Monica Baggia del foro di Trento, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
sentito il difensore di fiducia del ricorrente Biasiolli, avv. Giovanni Ceola del foro di Trento, che
ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 17/11/2015

Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza in data 20 novembre 2013 la Corte di appello di Trento ha

riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Trento con la quale Biasiolli Mauro e
Cappelletti Eugenio erano stati dichiarati responsabili del reato di truffa, aggravata ai sensi
dell’art.61 nn.7 e 9 cod.pen., commesso ai danni della A.P.S.S. (Azienda Provinciale Servizi
Sanitari) di Trento, tra il 2007 e il 2011, in concorso con Cappelletti M. Angelica (moglie del
Biasiolli e sorella del Cappelletti) che dell’Azienda era una dipendente addetta ai rimborsi in

forniture protesiche, per prestazioni di diagnosi e cura in forma indiretta e in altra
specializzazione) e responsabile della procedura di liquidazione dei relativi rimborsi.
La donna, giudicata separatamente con rito abbreviato, aveva confessato di aver
simulato richieste di rimborso con nomi di persone effettivamente esistenti, facendo transitare
le somme liquidate, circa 2.500.000,00 euro tra gli anni 2006 e 2011, sui conti correnti presso
la Cassa rurale della Valle dei Laghi intestati o cointestati a se stessa e ai propri familiari, a suo
dire ignari di tutto.
Il Tribunale di Trento, ritenuta più grave la truffa riguardante l’illecito rimborso del 26
febbraio 2008, aveva condannato il marito e il fratello della Cappelletti alla pena di anni
quattro, mesi sei di reclusione ed euro 2.100,00 di multa ciascuno, oltre al risarcimento dei
danni in favore della persona offesa A.P.S.S. cui veniva assegnata una provvisionale di
1.500.000,00 euro.
2. All’esito del giudizio di appello è stata dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale
nei confronti del Cappelletti in ordine ai fatti anteriori al maggio 2006 perché estinti per
prescrizione e, riconosciute per entrambi le circostanze attenuanti generiche con giudizio di
equivalenza, la pena è stata ridotta nei confronti del Cappelletti ad anni tre, mesi sei di
reclusione ed euro 1.400,00 di multa e nei confronti del Biasiolli ad anni tre, mesi otto di
reclusione ed euro 1.500,00 di multa.
3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, personalmente
il Cappelletti e tramite il difensore il Biasiolli.
3.1. Con il ricorso del Cappelletti si deduce:
1)

la mancata valutazione degli elementi di prova decisivi e l’insufficienza della

motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato ritenuto sussistente perché il ricorrente
non poteva essere ignaro dell’ingiustizia del profitto e delle modalità illecite attraverso le quali
veniva conseguito, senza tener conto delle deposizioni testimoniali in base alle quali poteva
escludersi la consapevolezza da parte dell’imputato dell’illecito messo in atto autonomamente
dalla sorella; costei curava la parte amministrativa dell’azienda familiare Cappelletti Costruzioni
s.a.s., si occupava dei pagamenti e delle fatture, curava i rapporti con il commercialista e con

materia di assistenza aggiuntiva e indiretta (assistenza termale e odontoiatrica, rimborsi per

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le banche (sul punto avevano riferito come testi l’architetto Zanella, il carpentiere De Paoli, il
falegname Fizzera, il commercialista Perini, nonché i direttori della Cassa Rurale succedutisi nel
tempo Capriglioni e Nicolussi e l’ex dipendente Faes, la nipote del ricorrente Gigliola Biasiolli);
l’affermazione di responsabilità del ricorrente era quindi fondata solo su deduzioni logiche,
nonostante le numerose prove a discarico;
2)

la manifesta illogicità della motivazione quanto al mancato riconoscimento della

circostanza attenuante prevista dall’art.114 cod.pen., nonostante il contributo agevolativo di

più a tollerare la condotta della sorella;
3)

la violazione di legge, in particolare dell’art.521 cod.proc.pen. e quindi del diritto

di difesa, e la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per la mancata
esclusione della continuazione ex art.81 cod.pen. mai contestata.
3.2. Con il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato Biasiolli si deduce:
1)

la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa il

concorso nell’attività criminosa del Biasiolli, il quale non aveva offerto neppure un’adesione
morale passiva o connivenza alla condotta della moglie; il Biasiolli credeva che il denaro
utilizzato per l’acquisto dell’appartamento destinato ad una delle due figlie provenisse dal
disinvestimento di un fondo pensionistico; la moglie era un’impiegata modello, i testimoni
avevano confermato il disinteresse del ricorrente per la gestione del conto corrente cointestato
a lui e alla moglie e per l’amministrazione delle entrate del nucleo familiare, che manteneva un
tenore di vita normale;
2) la violazione dell’art.81 cod.pen., in quanto non era stata contestata la continuazione
e la Cappelletti era stata condannata per un unico reato di truffa; se fosse stato contestato il
reato continuato, il Biasiolli avrebbe potuto risarcire il danno relativo al reato più grave e
ottenere il riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’art.62 n.6 cod.pen;
3) la violazione dell’art.114 cod.pen., non riconosciuta al ricorrente che si era tuttavia
limitato a mettere a disposizione il conto corrente.
Considerato in diritto
1.

I ricorsi sono inammissibili.

2.

Quanto al primo motivo del ricorso del Cappelletti la Corte osserva quanto segue.

Le censure coinvolgono questioni di merito in quanto il ricorrente tende a sottoporre al
giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del
materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Nel caso in
esame, il giudice di merito ha ineccepibilmente osservato che la prova della responsabilità

minima importanza che sarebbe stato offerto dal ricorrente il quale si sarebbe limitato tutt’al

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dell’imputato si desumeva dall’entità della somma (299.000,00 euro circa) complessivamente
confluita dalle casse dell’APSS nel periodo in contestazione sul conto corrente intestato al
Cappelletti e alla moglie, la quale per la sua patologia invalidante avrebbe avuto diritto ad un
rimborso non superiore a 30.000,00 euro; sulla consapevolezza del Cappelletti, cui veniva
recapitata presso la sua residenza la documentazione bancaria relativa al conto corrente
personale, degli accrediti, del loro ammontare e delle relativi causali; sulla mancanza di valide
giustificazioni circa le modalità illecite di acquisizione delle somme accreditate da parte della

moglie (costi delle tende per la casa, acquisto di un

camper privo di presidi per invalidi,

ristrutturazioni edilizie esorbitanti gli adattamenti necessari per la patologia della moglie); sul
ritrovamento in possesso della Cappelletti di fatture per acquisti vari effettuati dal fratello e
non rifondibili, che venivano rimborsate “al centesimo” con causali diverse da quelle relative al
reale titolo di spesa; sulle dichiarazioni del teste Ferrari, padre di una ragazza invalida, il quale
aveva riferito di aver spiegato al Cappelletti e alla moglie che l’ente pubblico poteva rimborsare
solo le spese per l’abbattimento delle barriere architettoniche; sull’accertato accreditamento di
somme rilevanti (complessivamente circa 430.000,00), mediante bonifici provenienti dal conto
corrente cointestato alla sorella e al cognato e da quello intestato al padre Cappelletti Augusto
(conti direttamente “foraggiati” dall’APSS), in favore della Cappelletti Costruzioni s.a.s., di cui il
ricorrente era socio seppur accomandante; sugli impegnativi investimenti effettuati negli anni
in contestazione dalla società che, giovandosi della “pioggia di liquidità”, aveva superato le
iniziali difficoltà finanziarie e la stasi per la prolungata inattività dell’imputato, il quale insieme
al padre adottava le decisioni relative agli investimenti e -a dire dei testi Zanella e Biasiolli
Gigliola- era punto di riferimento per architetti, maestranze e clienti, avendo quindi conoscenza
anche della situazione economica della società. Le conclusioni circa la responsabilità del
ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una
puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da
incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata
incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare
direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se
questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile. Il
sindacato demandato alla Corte di Cassazione deve essere limitato -per espressa volontà del
legislatore- a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della
decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il
giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle
acquisizioni processuali. Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello di una
“rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via
esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (Cass. S.U. 30-4- 1997 n. 6402, Dessimone).

(v.

sorella sul suo conto corrente, relative a spese del tutto eccentriche rispetto alla malattia della

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3. Analoghe considerazioni vanno fatte quanto alle doglianze formulate con il primo
motivo del ricorso presentato nell’interesse dell’imputato Biasiolli. Nella sentenza impugnata
vengono messi in evidenza plurimi elementi dai quali si è desunto che il ricorrente, persona
non sprovveduta avendo rivestito per venticinque anni il ruolo di comandante locale dei Vigili
del fuoco, fosse perfettamente a conoscenza della truffa ai danni dell’APSS posta in essere
dalla moglie, il cui operato aveva agevolato consentendo l’accreditamento delle somme sul
proprio conto corrente e traendone personale ingiusto profitto. Sul conto corrente cointestato

quasi 900.000,00 euro, al netto dei bonifici a favore delle aziende Cappelletti, rimasti a
disposizione del nucleo familiare) e il ricorrente aveva fornito un contributo determinante
mettendo a disposizione il conto corrente cointestato per il deposito o il transito dei proventi
della truffa traendone anche personale profitto. Non potevano essergli sfuggiti, infatti, il
quintuplicarsi dei leciti introiti familiari, costituiti dai non elevati stipendi suo e della moglie
(complessivamente 2.800,00 euro mensili), e il conseguente “rilevantissimo incremento del
tenore di vita (per quanto vissuto con riservatezza e senza esibizionismi)’ . Del resto, in tema di
concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un
previo accordo, in quanto l’attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da
qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune
fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell’altrui proposito
criminoso, talché assume carattere decisivo l’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato (Cass.
sez.II 15 gennaio 2013 n.18745, Annbrosanio e altri). La Corte territoriale ha, infine, ritenuto
inconsistenti le giustificazioni fornite dall’imputato rilevandone la genericità, quanto al riscatto
di un fondo pensionistico di imprecisato importo e alla distribuzione di dividendi della
Cappelletti Costruzioni s.a.s. di cui la moglie era tuttavia socia solo al 25%.
Tale specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende nemmeno in
considerazione, limitandosi a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello e confutata, con
diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata.
4.

Il secondo motivo del ricorso del Cappelletti e il terzo motivo del ricorso

presentato nell’interesse del Biasiolli, riguardanti il mancato riconoscimento dell’attenuante
prevista dall’art.114 cod.pen., sono generici e, comunque, manifestamente infondati poiché la
Corte territoriale, nell’escludere la ricorrenza dell’attenuante in questione si è adeguata alla
consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’art. 114 c.p.. può trovare
applicazione solo laddove l’apporto del correo risulti obbiettivamente così lieve da apparire,
nell’ambito della relazione eziologica, quasi trascurabile e del tutto marginale. Nella sentenza
impugnata il contributo morale e materiale è stato invece ritenuto tutt’altro che marginale
anche perché gli imputati avevano messo a disposizione i loro conti correnti per l’accredito
delle somme relative agli illeciti rimborsi agendo, come si desume dal contesto della
motivazione, in un gruppo familiare fortemente compatto e coeso, in cui non vi erano rapporti

ai coniugi Biasiolli erano affluiti in cinque anni dalle casse dell’APSS 1.204.174,44 euro (di cui

di subordinazione sia sul piano personale che su quello aziendale.
5.

Il terzo motivo del ricorso del Cappelletti e il secondo motivo del ricorso

presentato dal difensore del Biasiolli sono del pari manifestamente infondati.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, non viola il principio di
correlazione tra accusa e sentenza la decisione di condanna in cui è ritenuta la sussistenza
della continuazione tra più condotte, tutte autonomamente integratici della norma

di imputazione il riferimento all’art. 81 cod. pen., posto che ciò che rileva è la compiuta
descrizione del fatto e non l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (Cass.
sez.V 30 gennaio 2015 n.9706, Rossitto; sez.III 19 febbario 2013 n.22434, Nappello; sez.VI
16 settembre 2004 n.437, Verdiani; Sez.Un. 21 giugno 2000 n.18, Franzo). Nel caso di specie
il riferimento nell’imputazione alle “numerose” pratiche di rimborso falsificate e alle tabelle
allegate, facenti parte dell’imputazione e recanti l’indicazione delle singoli pratiche individuate
con riferimento alle date dei rimborsi e ai loro importi, e allo svolgimento dell’attività nell’arco
degli anni dal 2007 al 2011 rendeva gli imputati pienamente consapevoli della contestazione di
una condotta illecita posta in essere in maniera continuativa attraverso più azioni, con
analoghe modalità e con la medesima finalità.
6. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue ex art. 616 cod.proc.pen. la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di una somma in favore della Cassa
delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro
1.000,00 ciascuno, nonché alla rifusione in solido delle spese processuali sostenute dalla parte
civile Azienda Provinciale per i servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento nel presente
grado, spese che si liquidano in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori di legge..
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende nonché alla rifusione in
solido delle spese processuali sostenute dalla parte civile Azienda Provinciale per i servizi
Sanitari della Provincia Autonoma di Trento nel presente grado, spese che liquida in
complessivi euro 3.000,00 oltre accessori di legge.
Roma 17 novembre 2015

Il Presidente est.

incriminatrice contestata, e non un unico fatto di reato, anche nel caso in cui non vi è nel capo

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