Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9903 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9903 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Pizzo Graziano, nato ad Albenga il 15/03/1947

avverso la sentenza del 23/04/2013 della Corte di appello di Genova;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Genova confermava la
pronuncia di primo grado del 18/03/2010 con la quale il Tribunale di Imperia
aveva condannato alla pena di giustizia Graziano Pizzo in relazione al delitto di
cui all’art. 337 cod. pen., per avere, il 26/08/2006, usato minaccia nei confronti
del maresciallo Daniele Bertolino e del carabiniere Matteo Borgoglio, per opporsi
ai due militari che stavano procedendo ad una contestazione del codice della

Data Udienza: 13/02/2014

strada, pronunciando le frasi “siete tutti dei terroni… bisogna liberare l’Italia dai
meridionali, a me avete solo e sempre dato dei problemi… ve la farò pagare…
nella battaglia della vita la non vendetta non è un dovere, è viltà, finzione, e chi
non si vendica è considerato traditore e in quanto tale va fucilato.., avete la mia
parola, ve la farò pagare”.
Rilevava la Corte come, a fronte dei motivi molto generici contenuti nell’atto di
impugnazione, gli elementi di prova acquisiti durante l’istruttoria dibattimentale
avessero smentito la versione dell’imputato il quale aveva negato di aver

i due militari gli stavano elevando la contravvenzione per la violazione del codice
della strada) e di avere rivolto le frasi, riportate nell’imputazione, al Bertolino e
al Borgoglio.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Pizzo, con atto sottoscritto dal
suo difensore avv. Graziano Aschero, il quale, con un unico punto, ha dedotto la
violazione di legge, in relazione all’art. 337 cod. pen., ed il vizio di motivazione,
per mancanza e illogicità, per essersi la Corte territoriale limitata a descrivere la
vicenda fattuale sotto l’aspetto oggettivo, senza nulla dire in ordine alla
mancanza dell’elemento psicologico del reato, avendo le carte del processo
escluso che le frasi, asseritamente ingiuriose o minacciose, fossero state
pronunciate dall’imputato ad ostacolare l’operato dei due pubblici ufficiali.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
Quanto, poi, al lamentato vizio di motivazione, va osservato come la sentenza
impugnata abbia ricostruito in fatto la vicenda con un percorso argomentativo
sintetico ma esaustivo, immune da vizi logici e strettamente ancorato alle
emergenze processuali e, in particolare, alle dichiarazioni rese dal teste
Borgoglio: sicché può ritenersi definitivamente acclarato come il Pizzo, che aveva
già negato ai carabinieri i propri documenti per evitare di essere generalizzato,
avesse dapprima assunto un atteggiamento violento e poi, proprio nel mentre i
militari stavano procedendo ad elevargli la contravvenzione, avesse proferito le
indicate frasi apertamente minacciose all’indirizzo dei due pubblici ufficiali.
I rilievi formulati al riguardo dal ricorrente si muovono sostanzialmente nella
prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si
risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all’iter argomentativo seguito
dalla sentenza di merito.
Né, alla luce di tali considerazioni, è configurabile la denunciata violazione di
legge, in relazione alla erronea applicazione della norma incriminatrice oggetto di
addebito, che, peraltro, nei termini indicati nel ricorso, non appare neppure
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parcheggiato la sua vettura in un posto riservato ai disabili (ragione per la quale

essere stata dedotta con l’atto di appello, con il quale l’imputato si era limitato
genericamente a negare di avere pronunciato frasi offensive o minacciose
all’indirizzo dei due militari e di avere violato alcuna disposizione del codice della
strada.
L’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. prevede, infatti, espressamente come
causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di
questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale
si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del

alla cognizione del giudice di appello.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della cassa
delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo indicato nel
dispositivo che segue.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 13/02/2014

provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto

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