Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9902 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9902 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Copes Roberto, nato a Domaso il 26/05/1954

avverso la sentenza del 29/11/2012 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza per i reati dei capi D) ed E) perché estinti per prescrizione ed il rigetto
nel resto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Cristina Della Valle, in sostituzione dell’avv. Giuseppe
Romualdi, che ha concluso chiedendo l’annullamento dell’impugnata sentenza.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Milano confermava la
pronuncia di primo grado del 15/01/2009 con la quale il Giudice dell’udienza

Data Udienza: 13/02/2014

preliminare del Tribunale di Sondrio, all’esito di giudizio abbreviato, aveva
condannato alla pena di giustizia Roberto Copes in relazione ai reati di cui agli
artt. 81, 110 cod. pen., 73, commi 1 e 1 bis, d.P.R. n. 309 del 1990 (commessi
sino al 08/05/2004: capo C) dell’imputazione); 110 e 337 cod. pen. (commesso
il 07/05/2004: capo D); 110 e 585, con riferimento agli artt. 576, comma 1, e 61
n. 2, 61 n. 10 cod. pen. (commesso anch’esso il 07/05/2004: capo E).
Rilevava la Corte come gli elementi di prova acquisiti durante le indagini
avessero dimostrato la responsabilità dell’imputato in ordine ai tre delitti

dovesse essere determinata senza tenere del provvedimento, adottato dallo
stesso G.u.p., di inammissibilità della richiesta, avanzata consensualmente dalle
parti, di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Copes, con atto sottoscritto
dal suo difensore avv. Giuseppe Romualdi, il quale ha dedotto i seguenti tre
motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 129 cod. proc. pen., per avere la
Corte di appello ingiustificatamente disatteso la richiesta difensiva di declaratoria
della prescrizione dei reati dei capi D) ed E) per intervenuta prescrizione,
applicando la disciplina dell’art. 157 cod. pen. come modificata dalla legge n. 251
del 2005.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 337 e 157 cod. pen., per non
avere la Corte territoriale, comunque, dichiarato l’estinzione del reato contestato
al capo D) anche considerando il metodo di computo della prescrizione previsto
dal previgente art. 157.
2.3. Vizio di motivazione, per non avere la Corte distrettuale adeguatamente
spiegato per quale ragione la pena fosse stata determinata, peraltro con un
giudizio di sola equivalenza tra le riconosciute circostanze attenuanti generiche e
la recidiva contestata, in misura sensibilmente più alta rispetto a quella
individuata dalle parti con la richiesta dalle stesse avanzata a mente dell’art. 444
cod. proc. pen.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato, nei limiti di seguito indicati.

3.1. I primi due motivi del ricorso, strettamente connessi tra loro, vanno
esaminati congiuntamente.
A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, per il calcolo del termine di
prescrizione dei reati contestatigli con i capi D) ed E) è necessario considerare
anche la recidiva reiterata e specifica addebitata al prevenuto e riconosciuta dai

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addebitatigli; e come la pena, riconosciuta la continuazione tra tali illeciti,

Giudici di merito con giudizio di equivalenza rispetto alle attenuanti pure
concesse: dunque, alla data del 29/11/2012 di pronuncia della sentenza di
secondo grado dei due anzidetti reati, entrambi commessi il 07/05/2004, solo
quello del capo E) si era già prescritto per la maturazione del termine massimo di
prescrizione di sette anni e mezzo (così calcolato sulla base dell’art. 157 nelle
sue versioni sia ante che post riforma della legge n. 251 del 2005), non anche
quello del capo D), per il quale, con la recidiva aggravata, era prevista una pena
edittale nel massimo tale da escludere la scadenza del termine di prescrizione,

di quindici anni), che quella più favorevole introdotta dalla citata legge n. 251 del
2005 (termine massimo di dieci anni, ex art. 161, comma 2, cod. pen.).
Non è di ostacolo al riconoscimento della intervenuta prescrizione del reato sub
capo E) il fatto che l’altro motivo dell’atto di impugnazione è – come si avrà
modo di sottolineare – inammissibile, in quanto è pacifico che debba considerarsi
ammissibile il ricorso per cassazione dell’imputato avverso la sentenza di
condanna emessa in appello, con cui si contesta l’omessa declaratoria della
prescrizione maturatasi prima della pronuncia dell’impugnata sentenza, ancorché
la relativa eccezione fosse stata dedotta nel giudizio di secondo grado.

3.2. Il terzo motivo del ricorso è, invece, manifestamente infondato.
Premesso che è emergenza del tutto irrilevante, ai fini della delimitazione dei
poteri decisionali del giudice del rito abbreviato, il fatto che dinanzi allo stesso
giudice dell’udienza preliminare le parti avessero in precedenza formulato una
richiesta di applicazione di pena patteggiata superiore a due anni di reclusione,
istanza che correttamente era stata dichiarata inammissibile ai sensi dell’art.
444, comma 1 bis, cod. proc. pen., perché avanzata da imputato cui era stata
contestata la recidiva reiterata di cui all’art. 99, comma 4, cod. pen., va
osservato come il ricorrente abbia sostanzialmente preteso che in questa sede si
proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice
di merito aveva esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall’ordinamento
ai fini del bilanciamento di circostanze e di scelte sulla dosimetria della pena:
esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura
sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’adeguamento della pena concreta
alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito aveva ritenuto ostativo
al riduzione della pena finale irrogata dal giudice di prime cure il comportamento
processuale tenuto dall’imputato, nel quale non erano riconoscibili elementi
favorevoli al prevenuto, e l’obiettiva gravità di condotte riguardanti quantitativi
non minimali di sostanze stupefacenti ed espressione di una discreta

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sia applicando la disciplina previgente dell’art. 157 cod. pen. (termine massimo

professionalità di azione nel settore (v. pag. 8 sent. impugn.), trattandosi di
parametri considerati dall’art. 133 cod. pen.

3.3. La sentenza va, dunque, annullata senza rinvio limitatamente al reato di
cui al capo E), che va dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, con
rideterminazione della pena a norma dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc.
pen., mediante l’eliminazione dell’aumento per continuazione a suo tempo
individuato dai giudici di merito in relazione a quel delitto (dividendo in tre parti

sub capo C) e per la continuazione con il reato sub capo D), pari ad anni uno di
reclusione ed euro 6.000 di multa, da ridurre di un terzo per l’instaurato rito
abbreviato.
La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, applicata dai Giudici di
merito come perpetua, va d’ufficio rideterminata in quella di durata limitata ai
cinque anni.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo
E), perchè estinto per prescrizione, ed elimina la relativa pena di mesi otto di
reclusione ed euro 4.000 di multa; rigetta il ricorso nel resto.
Determina la durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici in
anni cinque.
Così deciso il 13/02/2014

il totale dell’aumento di pena previsto anche per la continuazione interna al reato

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