Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9901 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9901 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Costa Emilio, nato a Valdagno il 12/01/1945

avverso la sentenza del 17/01/2013 della Corte di appello di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza
perché il reato si è estinto per prescrizione;
udito per le parti civili Patrizia Rizzo e Fra ncesco Marangon l’avv. Luigi Ravagnan,
anche in sostituzione dell’avv. Fabiana Danesin, che ha concluso chiedendo
l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Lucio Zarantonello, che ha concluso chiedendo
l’annullamento dell’impugnata sentenza.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

Data Udienza: 13/02/2014

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Venezia, in parziale
accoglimento delle impugnazioni proposte dal P.M., dal P.G. e dalle parti civili
Rizzo, riformava la pronuncia assolutoria di primo grado del 24/10/2011 del
Tribunale di Vicenza e condannava alla pena di giustizia Emilio Costa per avere,
con denuncia presentata il 27/06/2005 nella qualità di legale rappresentante
della International Plast s.a.s. di Emilio Costa & C., incolpato falsamente, pur
sapendola innocente, Patrizia Rizzo, già dipendente della predetta società, del
reato di truffa aggravata e continuata, consistita nell’appropriazione, mediante

comunque per avere simulato a suo carico le tracce del predetto reato,
producendo atti e documenti dai quali sarebbe dovuta risultata l’appropriazione
truffaldina di denaro in danno della società.
Rilevava la Corte come gli elementi di prova acquisiti durante l’istruttoria
dibattimentale, in specie le dichiarazioni rese dalla persona offesa e le
deposizioni dei testi Ceolato, Mayhead e Grolla, lette in maniera collegata e
secondo una rigorosa consequenzialità logica – senza che la valenza di tali dati
informativi fosse stata inficiata dalle testimonianze di altri soggetti addotti dalla
difesa – avessero smentito la versione dell’imputato ed avessero accreditato,
invece, quella della Rizzo.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Costa, con atto sottoscritto
dal suo difensore avv. Lucio Zarantonello, il quale ha dedotto i seguenti tre
motivi.
2.1. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità, per avere la Corte di appello ingiustificatamente ribaltato l’esito del
giudizio di primo grado sulla base di un travisamento delle prove; per non avere
debitamente considerato le numerose contraddizioni nelle quali era incorsa la
teste Rizzo nel corso del suo esame (in specie alle modalità di gestione del conto
corrente bancario a lei intestato ed alla destinazione delle rilevanti somme da lei
prelevate); per avere arbitrariamente sostenuto che parte di quelle somme,
costituenti parte dei ricavi della società non contabilizzati ufficialmente, fosse
finita sui conti correnti intestati al Costa, ovvero che la Rizzo fosse stata
promossa direttrice generale della società dopo che l’imputato aveva scoperto la
sua iniziativa appropriativa; ed ancora per avere dato una non corretta lettura
delle indicazioni provenienti dal teste Mayhead.
2.2. Vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale
omesso di valutare le numerose contraddizioni esistenti tra le dichiarazioni della
Rizzo e quelle di altri testimoni, ricorrendo ad ipotesi ricostruttive della vicenda
che non trovano alcun addentellato nella carte del processo.
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artifizi e raggiri, di denaro derivante dalle vendite di merci della società, o

2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 42 e 368 cod. pen., per avere la
Corte distrettuale solo presunto l’esistenza del necessario elemento psicologico
del reato di calunnia, senza alcuna concreta dimostrazione della sussistenza della
consapevolezza dell’imputato e senza tenere conto del ragionevole dubbio in
ordine agli esiti dell’accertamento sull’atteggiamento del prevenuto.

3. Con memoria depositata il 29/01/2014 l’avv. Luigi Ravagnan, difensore della
parte civile Rizzo, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, il

4. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
4.1. I primi due motivi del ricorso, strettamente connessi tra loro e, perciò,
esaminabili congiuntamente, sono inammissibili perché presentati per fare valere
ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Il ricorrente solo formalmente ha indicato, come motivi della sua
impugnazione, una serie di vizi della motivazione della decisione gravata, ma
non ha prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità
delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza,
ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né
è stata lamentata – se non con un aspecifico riferimento al contenuto di non
meglio precisati atti a disposizione, nel ricorso richiamati per sintesi un’incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione,
intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del
procedimento.
Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello
di Venezia aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante
l’istruttoria dibattimentale di primo grado e, in specie, alla compatibilità tra la
deposizione della Rizzo e gli altri elementi di prova a carico dell’imputato. E
tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un effettivo
‘travisamento delle prove’, vale a dire un’incompatibilità tra l’apparato
motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del
procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, è
stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’
oggetto di analisi – ‘travisamento dei fatti’ per giunta così esplicitamente indicato
in vari passaggi dell’atto di impugnazione (v. pagg. 10 e 11 del ricorso) sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine,
rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla

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rigetto del ricorso.

semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell’ambito di un sistema
motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio
di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46,
mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento
della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova

permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il
giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che,
in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione
estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le
tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048
del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e
completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta
illogicità: avendo la Corte veneta analiticamente spiegato come le indicazioni
provenienti dalla Rizzo – la quale aveva spiegato come la scelta di far transitare
parte dei ricavi della società International Plast su conti correnti privati per
consentirne una contabilizzazione ‘a nero’, fosse riferibile direttamente al suo
unico e solo dominus della società, il Costa, sulla base delle cui direttive ella
aveva sempre disposto dei denari accreditati sul conto a lei intestato – oltre a
trovare una logica conferma nel fatto che significativamente l’odierno ricorrente
avesse accusato la donna (cui aveva affidato la gestione di quella contabilità) di
essersi appropriata di una somma di circa 600.000 euro, pari a quella che al
Costa era stato addebitato di non aver dichiarato al fisco e che poi ne aveva
determinato la dichiarazione di fallimento – senza essere smentita dai testi della
difesa, Signaroli, Gaspari e Ovatoli, che non erano affatto a conoscenza
dell’esistenza della pratica della creazione di una contabilità dei ricavi ‘a nero’,
era risultata riscontrata sia dalle dichiarazioni del principale fornitore della
società, l’inglese Mayhead, che aveva ricordato di aver partecipato nel 2004 ad
una riunione nella quale, alla presenza della Rizzo, aveva discusso con il Costa
della creazione di quei fondi ‘a nero’, parte dei quali transitanti anche su conti
nella diretta disponibilità dello stesso Costa; che dalla deposizione del teste
Grolla il quale aveva riferito di essere stato pagato delle sue spettanze dal Costa
con assegni tratti sul conto intestato alla Rizzo. Ciò senza neppure trascurare,
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obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto

come efficacemente ed in maniera logicamente convincente sottolineato dai
Giudice di merito, che delle altre dipendenti della società, palesemente tutte
attente a non pregiudicare il loro ‘datore di lavoro’, la teste Ceolato, dopo avere
poco credibilmente sostenuto che nell’ottobre del 2004 l’imputato aveva
“scoperto” l’indebita appropriazione da parte della Rizzo delle somme pagate alla
International Plast dal Mayhead, aveva ammesso che, subito dopo, la Rizzo
“stranamente” era stata nominata dal Costa direttore generale della società
medesima, per essere poi licenziata bruscamente solo nel febbraio del 2005 (v.

4.2. Il terzo motivo del ricorso è generico.
Nella giurisprudenza di legittimità si è avuto modo ripetutamente di chiarire
che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre
le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti
determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e
preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di
consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare
il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini,
Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n.
8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
Nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad enunciare, in forma molto
indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte
territoriale, senza specificare gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi della
decisione, cioè omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della
sentenza gravata: pronuncia con la quale erano stati analiticamente indicati gli
elementi di prova idonei ad integrare l’elemento psicologico del delitto oggetto di
addebito, della cui sussistenza è stata data, in sintesi, atto nella parte conclusiva
della parte motiva della sentenza (v. pag. 16 sent. impugn.).
D’altro canto, va osservato come la Corte di appello non si sia limitata a fornire
una mera ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella prescelta dal
Tribunale in primo grado, ma ha fornito una motivazione ‘rafforzata’, per un
verso valorizzando la citata deposizione testimoniale del Mayhead,
sostanzialmente trascurata dal Giudice di prime cure, per altro verso
‘recuperando’ le dichiarazioni del teste Grolla che, nel primo giudizio, erano state
giudicate inattendibili sulla base di criteri molto indeterminati e priva di sicura
va lenza dimostrativa.

5. Va rilevato come il reato accertato a carico dell’odierno ricorrente si sia
prescritto il 07/02/2013, dunque in epoca posteriore alla adozione della sentenza

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pagg. 13-16 sent. impugn.).

di appello, ma che tale causa di estinzione non possa essere dichiarata in ragione
dell’accertata inammissibilità del gravame.
Sul punto questo Collegio non ha motivo per disattendere il consolidato
principio di diritto secondo il quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione,
non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude ogni
possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 cod.
proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione, persino se maturata in data
anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta né rilevata da

231164; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, RV. 217266).

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della cassa
delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo indicato nel
dispositivo che segue.
L’imputato va pure condannato a rifondere alle parti civili le spese di difesa in
questo grado che, in considerazione delle tariffe forensi e dell’attività
defensionale effettivamente svolta, si stima equo liquidare per ciascuna parte in
euro 3.000,00, oltre iva e cpa.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che si
liquidano nella somma di euro 3.000,00 ciascuno, oltre iva e cpa.
Così deciso il 13/02/2014

quel giudice (così, da ultimo, Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv.

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