Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9899 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9899 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE MATTEO VALENTINO N. IL 07/09/1992
avverso la sentenza n. 4314/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
24/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. a ‘LISS P che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 30/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 gennaio 2013 la Corte d’appello di Napoli ha confermato la
sentenza del G.u.p. di Napoli del 21 febbraio 2012, che all’esito di giudizio abbreviato
condannava De Matteo Valentino alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 20.000,00 di
multa perché ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 1, del D.P.R. n.
309/1990, commesso in Napoli il 22 settembre 2011, per essere stato sorpreso in flagrante

stupefacente nascosta negli indumenti (pari a 151,9 dosi di marijuana e 24,3 dosi di cocaina):
quantitativi di sostanza stupefacente ritenuti dai Giudici di merito destinati allo spaccio, che
veniva dal predetto esercitato nascondendosi dietro un lenzuolo bucato, sistemato nell’androne
del civico 26 del Vico Pallonetto a S. Lucia in Napoli, al fine di non farsi riconoscere dagli
avventori.

2. Avverso la su indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore di
fiducia dell’imputato, deducendo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., avendo la
Corte d’appello confermato le valutazioni del primo Giudice sebbene fosse riscontrabile, nella
ricostruzione delle modalità del fatto, una evidente discrasia dalla lettura del verbale di arresto
e del verbale di perquisizione personale e contestuale sequestro utilizzati per la decisione.
Sulla base delle risultanze processuali, il contenuto di quei verbali non è stato
correttamente valutato, in quanto siffatta divergenza, dovuta all’assoluta mancanza di
sovrapponibilità tra i due atti, non è stata chiarita in primo grado, nonostante l’integrazione
istruttoria disposta ex art. 441, comma 5, c.p.p. attraverso l’audizione dei verbalizzanti, né è
stata risolta nel giudizio di appello, dove la Corte ha disposto ex art. 603 c.p.p. la citazione
degli Ufficiali di P.G. che ebbero a redigere i due atti processuali in oggetto, senza che costoro,
tuttavia, abbiano fornito alcun elemento utile al riguardo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Preliminarmente, deve escludersi, in ragione della chiara formulazione letterale del
disposto di cui all’art. 589, comma 3, c.p.p., che la missiva – recante la data del 25 giugno
2013 ed inviata dall’imputato alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’appello
di Napoli – Ufficio esecuzioni penali – in cui egli genericamente “rifiuta tutti i termini di legge” e
chiede di volergli inviare “il definitivo”, possa considerarsi quale dichiarazione di rinuncia,
stante l’inosservanza delle forme e delle modalità ivi espressamente previste.

4.

Nel merito, il ricorso è inammissibile in quanto non è volto a rilevare mancanze

argomentative ed illogicità ictu ocull percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato
su scelte valutative compiutamente giustificate dalla Corte d’appello, sostanzialmente
1

possesso di n. 47 bustine di marijuana e di n. 20 involucri di cocaina, oltre che di una busta di

reiterando, peraltro, le medesime censure già sollevate dinanzi ai Giudici di merito, che ne
hanno conformemente escluso la fondatezza sulla base di un congruo e lineare percorso
argomentativo, pervenendo alla decisione impugnata attraverso una completa ed approfondita
disamina delle risultanze processuali.
Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella
sentenza del Giudice di prime cure, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi
perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e

prospettata nelle deduzioni e nei rilievi sollevati dalla difesa, ponendo in evidenza che la
ricostruzione del fatto è stata riscontrata anche nel giudizio di secondo grado, attraverso
l’esame ex art. 603 c.p.p., del Mar.11o Riccio e del Brigadiere Capo Maisto, che hanno dato
piena conferma degli accertamenti effettuati sul conto dell’imputato, facendo riferimento, in
ordine alla dinamica del fatto, al suo riconoscimento personale, da entrambi effettuato, ed
altresì aggiungendo che egli deteneva nella circostanza una somma di euro duecentonovanta
suddivisa in banconote di piccolo taglio.

5. La Corte d’appello, pertanto, ha compiutamente indicato le ragioni per le quali ha

ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione del delitto

de quo, ed ha

evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione
che la ricostruzione proposta dalla difesa si poneva solo quale mera ipotesi alternativa, peraltro
smentita dal complesso degli elementi di prova processualmente acquisiti.
La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro
probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e come tale in nessun modo
censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica.
In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ricostruzione del compendio storicofattuale oggetto della regiudicanda, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle
risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle
pronunzie dei Giudici di merito, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l’iter
argomentativo ivi tracciato, e a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu
°cui/ percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle

correlative acquisizioni processuali.
Al riguardo occorre infatti rilevare come il ricorso, lungi dal proporre una reale lacuna della
motivazione o un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato
motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale
da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, è stato presentato per sostenere, in
pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile
rivalutazione dell’intero materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una
spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell’ambito di un
sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
2

privo di lacune, la Corte di merito ha puntualmente disatteso la diversa ricostruzione

Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto
secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ad
opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, mentre è consentito dedurre con il ricorso
per cassazione il vizio di ‘travisamento della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di
merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di
prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso
dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il giudice di legittimità a

gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento
di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le tante, Sez. 3,
n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola,
Rv. 238215).

6. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato

inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo
quantificare nella misura di euro mille.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, lì, 30 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

Il residente

sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti

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