Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9897 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9897 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sui ricorsi proposti da: De Cesare Danilo nato a Milano (Mi) il
19 aprile 1975, De Cesare Jury nato a Milano (Mi) Il 14 agosto 1978, Folliero

Mario nato a Lucera (Fg) Il 12 agosto 1949, Milone Franco nato a Latiano (Br) il
giorno 7 ottobre 1948, Miriello Maurizio Antonio nato a Vibo Valentia (Vv) Il 19
giugno 1967, Morrone Valerlo nato a Monza (Mi) Il 14 dicembre 1978,

Sangiovanni Benedetto nato a Gallarate (Va) Il 28 febbraio 1943, Zinchiri
Domenico nato a Monza (Mi) Il 23 giugno 1972, avverso la sentenza 9 ottobre
2012 della Corte di appello di Milano.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale
Oscar Cedrangolo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio, limitatamente
all’aggravante ex art. 4 legge 146/06, per De Cesare Danilo, De Cesare Yuri,
Morrone Valerio e Sangiovanni Benedetto; inammissibilità nel resto per De Cesare

Data Udienza: 29/01/2014

,.

IN

Danilo e De Cesare Yuri; rigetto nel resto per Sangiovanni Benedetto;
inammissibilità per gli altri ricorrenti; sentiti infine i difensori dei ricorrenti: avv.
Gaetano Pecorella, per Sangiovanni, avv. Rosalba Canossi in sostituzione
dell’avv. Russo, per Morrone, avv. Michele Corropoli per Milone, i quali tutti hanno
chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

1. La Corte di appello di Milano, con la gravata sentenza 9 ottobre 2012, in
parziale riforma della sentenza 26 settembre 2011 del G.U.P. del Tribunale di
Milano, pronunciata nei confronti di Cutrufo Paolino, De Cesare Danilo, De Cesare
Jury, Folliero Mario Giuseppe, Gesti Giuseppe, Lagana Antonio, Marchesi Pasquila,
Milone Franco, Miriello Maurizio Antonio, Moccia Antonio, Marrone Valerio,
Sabati no Salvatore, Sangiovanni Benedetto, Scamardella Francesca, Seccia
Matteo, Zinchiri Domenico e Zinchiri Margherita, per la parte che qui interessa:
a) ha assolto ex art. 530 1° comma c.p.p. Folliero Mario Giuseppe dai fatti
reato di cui ai punti 1, 2 e 3 del capo 34), per non aver commesso il fatto e,
per l’effetto, ha eliminato la relativa pena, rideterminando quella residua in
anni 1 e mesi 4 di reclusione;
b) ha rideterminato la pena, rigettando nel resto, per gli appellanti: -De

Cesare Danilo e De Cesare Jury: anni 6 mesi 3 e gg. 4 di reclusione
ciascuno; – Milone Franco: anni 2, mesi 1 e gg 10 di reclusione ed C 18.000,00 di
multa, previo riconoscimento della prevalenza delle circostanze
attenuanti generiche, revocando la sanzione interdittiva accessoria; –

Miriello Maurizio Antonio: anni 1 e mesi 8 di reclusione; – Marrone Valerio: anni
16 e gg. 20 di reclusione; – Sangiovanni Benedetto: anni 6, mesi 3 e gg. 4 di
reclusione, previo riconoscimento della continuazione con i fatti giudicati con
sentenza definitiva emessa in data 27.05.2010 dal Tribunale di Milano e
revocando il beneficio della sospensione condizionale ivi concesso; –

Zinchiri

Domenico: anni 1, mesi 8, gg. 10 di reclusione ed C 2.200,00 di multa,
disponendone l’immediata remissione in libere per avvenuta espiazione della
pena, se non detenuto per altra causa.

RITENUTO IN FATTO

4

CONSIDERATO IN DIRITTO
Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano hanno proposto
personalmente ricorso Danilo De Cesare, Yuri De Cesare e Franco Milone, mentre
tutti gli altri imputati hanno presentato impugnazione con il patrocinio dei

1. De Cesare Danilo, imputato: al capo 1)

ex artt. 81 cpv c.p., 74

commi 2, 3 e 4 d.p.r. 309/90, 4 legge 146/06, 61 n. 6 c.p.; al capo 4) artt.
81 cpv-110 c.p.-73 commi 1 e 1 bis d.p.r. 309/90.
Responsabilità confermata dalla gravata sentenza con riduzione della pena
ad anni 6 mesi 3 e gg. 4 di reclusione.
1.1. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed
erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione e travisamento della
prova, sotto il profilo dell’affermazione di responsabilità per il reato associativo
del capo 1.
In particolare si lamenta: a) che la presenza del ricorrente
nell’associazione, se fondata, dovrebbe decorrere dal permesso di uscita dal
carcere di Lanciano il 3 dicembre e non prima; b) che, comunque, la
partecipazione al sodalizio sarebbe incompatibile dalla provata ricerca di
entrambi i germani De Cesare di un canale di approvvigionamento autonomo ed
in concorrenza con le finalità dell’organizzazione del capo 1; c) che manca la
prova di rapporti per droga con il Morrone; d) che le conclusioni dei giudici di
merito hanno impropriamente valorizzato il legame di sangue tra i due fratelli e la
conoscenza con Morrone e Forti, nata in contesti carcerari; e) che si sia usata in
appello una dichiarazione del Morrone f) che dalle intercettazioni non sia
desumibile l’affermata partecipazione, nei termini giustificati dalla corte
distrettuale.
1.2. Con un secondo motivo si lamenta quanto al capo 4) che lo stesso
faccia riferimento a condotte realizzate in tempo corrispondente alla carcerazione
del ricorrente. In ogni caso il tentativo di acquistare cocaina in Spagna con la
collaborazione di Sangiovanni sarebbe in realtà il semplice avvio di trattative
confuse ed inconcludenti.

rispettivi loro difensori.

í..

1.3. Ritiene la Corte che nessuno degli anzidetti due motivi meriti
accoglimento, sia per i profili di inammissibilità che per le ragioni di infondatezza
che li connotano
1.4. Infatti, su ciascuna delle doglianze rassegnate esiste una ragionevole
e persuasiva spiegazione dei giudici di merito, i quali hanno dato coerente lettura

primo giudice.
1.5. Le diverse e contrastanti ipotesi, prospettate dalla difesa, altro non
solo che tentativi di esigere dalla Corte di legittimità una non consentita
rivalutazione ed apprezzamento dei dati probatori, i quali invece risultano tutti,
una volta sinergicamente assemblati e valorizzati, argomentati in modo
inoppugnabile nel senso del conclusivo giudizio di responsabilità sia in punto di
sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del sodalizio, sia in punto di
qualificazione giuridica delle altre residue condotte contestate al capo 4..
1.6. Conclusioni queste notoriamente non invalidabili, ex se ed in assenza
di confortanti e conformi diverse circostanze: dallo stato di detenzione del
ricorrente; dalle asserzioni “inutilizzabili” del Morrone, prive di rilevante efficacia
nel quadro probatorio aliunde verificato; da una diversa sostenuta interpretazione
degli esiti e del tenore delle intercettazioni.
1.7. Con un terzo motivo si prospetta l’insussistenza dell’aggravante
dell’art. 4 legge 146/2006, contestata per il reato associativo, attesa la
corrispondenza del gruppo criminale transazionale con l’associazione del capo 1.
1.8. Il motivo è fondato
1.9. La legge 16 marzo 2006, n. 146 (Ratifica ed esecuzione della
Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato
transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31
maggio 2001), entrata in vigore 12 aprile 2006, ha introdotto, all’art. 4 comma 1,
la circostanza aggravante la quale stabilisce che, per i reati puniti con la pena
della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, nella commissione dei
quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato, impegnato in
attività criminali in più di uno Stato, la pena è aumentata da un terzo alla metà.
Lo stesso art. 4 al comma 2, ha stabilito che si applica altresì il comma 2

alle emergenze processuali, in linea e conformità di argomenti con gli assunti del

dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con, dalla
legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni. Modificazioni.
1.10. Le S.U. della Corte di Cassazione, chiamate a dirimere i conflitti
interpretativi nati nell’applicazione di tale aggravante speciale
(Sez. U, 18374/2013 Rv. 255034, Adami) hanno chiarito:
che il gruppo criminale organizzato, cui fanno riferimento gli artt. 3 e 4

della I. n. 146 del 2006, è configurabile, secondo le indicazioni contenute nell’art.
2, punti a) e c) della Convenzione delle Nazioni unite contro il crimine organizzato
del 15 novembre 2000 (cosiddetta convenzione di Palermo), in presenza dei
seguenti elementi: a) stabilità di rapporti fra gli adepti; b) minimo di
organizzazione senza formale definizione di ruoli; c) non occasionalità o
estemporaneità della stessa; d) costituzione in vista anche di un solo reato e per
il conseguimento di un vantaggio finanziario o di altro vantaggio materiale;
II)

che tale aggravante della transnazionalità presuppone che la

commissione di un qualsiasi reato in ambito nazionale, purchè punito con la
reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia stata determinata o
anche solo agevolata, in tutto o in parte, dall’apporto di un gruppo criminale
organizzato, impegnato in attività illecite in più di uno Stato;
III)

che il gruppo criminale organizzato è certamente un “quid pluris”

rispetto al mero concorso di persone, ma si diversifica anche dall’associazione a
delinquere, di cui all’art. 416 cod. pen., la quale richiede un’articolata
organizzazione strutturale, seppure in forma minima od elementare,
tendenzialmente stabile e permanente, una precisa ripartizione di ruoli e la
pianificazione di una serie indeterminata di reati;
IV) che, su tali premesse, l’aggravante de qua è applicabile al reato
associativo, a condizione che il gruppo criminale organizzato transnazionale non
coincida con l’associazione a delinquere.
1.11. Orbene nella specie non v’è dubbio che i componenti il gruppo
criminale organizzato transnazionale sono gli stessi che danno vita
all’associazione a delinquere, con conseguente verificarsi della condizione ostativa
all’applicazione dell’aggravante della transnazionalità nei termini dianzi precisati
nella decisione delle S.U. Adami.

I)

-,-

1.12. Pertanto, ricorrendone pacificamente le condizioni, la gravata
sentenza va sul punto annullata nei confronti di De Cesare Danilo, nonché degli
altri ricorrenti De Cesare Yuri e Morrone Valerio e, per l’effetto estensivo, anche
nei confronti di Sangiovanni Benedetto, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad
altra Sezione della Corte d’Appello di Milano.

De Cesare Yuri, imputato: al capo 1)

ex artt. 81 cpv c.p., 74

commi 2, 3 e 4 d.p.r. 309/90, 4 legge 146/06, 61. n. 6 c.p.; al capo 4) ex artt.
81 cpv-110 c.p.-73 commi 1 e 1 bis d.p.r. 309/90. Responsabilità confermata
dalla gravata sentenza con riduzione della pena ad anni 6 mesi 3 e gg. 4 di
reclusione.
2.1. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed
erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione in ordine
all’affermata responsabilità per il delitto ex art. 74 d.p.r. 309/90, sostenuta da
una motivazione apparente con una chiara confusione tra la mera volontà di
realizzare una pluralità di reati con la diversa volontà di dar vita oppure di
partecipare ad un vincolo associativo stabile e ad un programma delinquenziale
specifico e determinato.
2.2. Nello specifico si osserva: a) che lo stesso G.U.P. attribuisce ai fratelli
De Cesare una “partecipazione meno marcata alle attività del gruppo (PAG.424) e
che dal complesso delle intercettazioni il tentativo di reperire un nuovo canale di
fornitura sarebbe incompatibile con la struttura partecipativa al sodalizio
contestato; b) che i fratelli De Cesare non hanno mai agito per favorire
l’economia della società ma “hanno solo portato avanti i loro interessi alcune delle
volte coincidenti, ma la maggior parte del tempo configgenti con quelli della
struttura associativa”, con “finalità proprie, distinte incompatibili con l’unitarietà
del sodalizio”; c) che in ogni caso le aggravanti di cui al 3° e 4° comma dell’art.
74 d.p.r. 309/90 non erano loro note e, quindi, ex art.59 comma 2 cod. pen. non
erano valutabili a loro carico.
2.3. Il primo motivo di Yuri De Cesare, per come strutturato e sviluppato
segue la sorte di rigetto del corrispondente comune motivo del fratello Danilo qui
richiamate le precedenti argomentazioni di cui ai §. sub 1.4 e sub 1.5. ed avuto

2.

7

riguardo alla doppia confome decisione di colpevolezza a loro carico fondata su
comuni ed utilizzabili fatti e circostanze della condotta a loro carico acceratata.
2.4. Con un secondo motivo si lamenta la sussistenza dell’aggravante della
transnazionalità affermata e motivata per i capi 3) e 20) non contestati e non per
il capo associativo sub 1) e tenuto conto che nella specie vi era sovrapponibilità

2.4. Il motivo è fondato, nei termini dianzi argomentati per il ricorrente De
Cesare Danilo, al §.1.3 e segg., qui integralmente da riprendersi.

3. Folliero Mario, imputato al capo 33): ex artt. artt. 81 cpv c.p., 416
comma 2 c.p.; al capo 34): ex artt. 81 cpv-110-640 co 1 c.p….La corte
distrettuale lo ha assolto ex art. 530 1° comma c.p.p. dai fatti reato di cui ai
punti 1, 2 e 3 del capo 34), per non aver commesso il fatto e, per l’effetto,
ha eliminato la relativa pena, rideterminando quella residua in anni 1 e mesi 4
di reclusione.
3.1 Con un

primo motivo di impugnazione viene dedotto vizio di

motivazione sotto il profilo sotto il profilo della partecipazione al reato ex art. 416
comma 2 cod. pen., considerato che la corte distrettuale non avrebbe dato
risposta alle censure del gravame in relazione alla circostanza che il ricorrente
non ha mai fatto parte della società ed aveva intrattenuto rapporti, occasionali,
con il solo Morrone, senza alcuna consapevolezza od affectio societatis, ed al
limitato effetto di porre in essere una singola attività truffaldina.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta l’assenza di prova per le “altre
truffe del capo 34” posto che nessuno ha mai querelato il Folliero né lo ha
indicato come autore della truffa stessa.
3.3. Nessuno dei motivi supera la soglia dell’ammissibilità.
3.4. Tutte le critiche infatti risultano palesemente inammissibili, posto che
esse si sostanziano in una sequenza, immotivata e non sviluppata
dialetticamente, di “sintetiche proposizioni assertive”, meramente contrastanti
con l’assunto argomentato della Corte territoriale, senza alcun collegamento con
quella che è stata la puntuale ed ineccepibile risposta di tale giudice sui punti
oggetto di critica, e che risultano fondati su di una motivazione indenne da vizi
logico-giuridici e quindi in questa sede assolutamente incensurabile.

tra il gruppo transnazionali ed i componenti del sodalizio del capo 1.

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3.5. Da ciò l’inammissibilità del ricorso e condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di C. 1.000 in favore della Cassa delle
ammende.
4. Milone Franco, imputato al capo 19b):

ex artt. 110-56 c.p., 73

commi 1, 1 bis e 6 d.p.r. 309/90.

trattandosi di accordo preliminare cui non è seguita la consegna, ha ridotto la
pena ad anni 2, mesi 1 e gg 10 di reclusione ed C 18.000,00 di multa, previo
riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche,
revocando la sanzione interdittiva accessoria.
4.1. Il ricorso, personalmente proposto dal Milone, è composto di un unico
motivo di impugnazione con il quale si contesta la qualificazione in termini di
tentativo, attribuitagli, trattandosi nella specie di atti preparatori del delitto ex
art. 73 d.p.r. 309/90 penalmente irrilevanti. In particolare si evidenzia che il
mancato acquisto dello stupefacente fu dovuto al mancato accordo sul prezzo
ritenuto eccessivo, rispetto al prezzo di 27 mila C. al KG che era stato “fissato in
prima battuta”: quindi nessun accordo o al massimo una desistenza volontaria ex
art. 56 comma 3 0 cod. pen..
4.2. Il gravame peraltro prospetta alla Corte di legittimità un giudizio,
critico ed alternativo, sulle considerazioni in fatto e la qualificazione in diritto della
condotta, quali individuate dai giudici di merito, e che risultano ottenute,
sviluppate ed argomentate in modo logico e coerente, nel rigoroso rispetto di una
ragionevole lettura della realtà e nel rispetto delle norme stabilite in punto di
formazione e peso del materiale d’accusa, idoneo a fondare la pronuncia di
responsabilità.
4.3. In tema di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, infatti, ai fini
della configurabilità del tentativo, è irrilevante che l’agente non abbia stabilito un
potere di fatto sulle sostanze stupefacenti e che, pertanto, non abbia ancora
iniziato a detenerle, essendo sufficiente che l’attività già compiuta abbia avuto
idoneità a realizzare la detenzione stessa (cass. pen. sez.
6, 7074/1990 Rv. 184343).

La Corte di appello, ribadita la qualificazione della condotta come tentativo,

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4.4. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile ed il ricorrente
condannato al pagamento delle spese processuali e di C. 1.000 in favore della
Cassa delle ammende.

5. Miriello Maurizio Antonio, imputato al capo 7) ex artt. 319 c.p..
La gravata sentenza ha ridotto la pena ad anni 1 e mesi 8 di reclusione.

perché, in quanto Agente di Polizia Penitenziaria ed in servizio nel carcere di
Milano San Vittore, avrebbe accettato da Morrone Valerio la somma di 300 euro,
al fine di introdurre in carcere e di consegnare a Forti Pasquale un telefono
cellulare, così violando le norme poste a tutela della sicurezza dell’Istituto di
pena. In Milano il 27.3.2007.
5.1. Con un primo motivo si prospetta nullità della sentenza mancando la
prova della consegna di 300 C quale corrispettivo della condotta contestata. Per il
difensore, nella specie, risulterebbe provato solo un incontro tra l’imputato ed il
propalante, ma non sarebbe emerso alcun elemento probatorio specifico che
consenta di ritenere provata la dazione della somma di denaro, né tale esito è
desumibile dalle intercettazioni telefoniche o dalle dichiarazioni del collaboratore
di giustizia il quale ha dichiarato appunto di aver consegnato la somma di denaro
all’agente perché questi consegnasse il cellulare al Forti.
5.2. Il motivo è inammissibile in quanto non si misura criticamente con la
doppia conforme pronuncia di colpevolezza che si fonda sulle dichiarazioni del
Morrone, riscontrate dagli esiti delle intercettazioni telefoniche, che davano
esaustivo conto: a) di un incontro del Morrone con il ricorrente, in zona prossima
al carcere di S. Vittore, incontro al quale il secondo si presentava con una busta
in mano; b) del successivo funzionamento del telefono cellulare del Morrone
(oggetto di consegna all’agente di custodia Miriello per la consegna al detenuto
Forti) nel carcere di San Vittore.
5.3. Nessun dubbio quindi sull’azione esecutiva e la soggettività del
ritenuto delitto, non invalidabile per effetto della diversa proposta lettura del
ricorrente dei dati e delle emergenze processuali.
5.4.

Con un secondo motivo si lamenta l’omesso riconoscimento della

continuazione tra la sentenza 3 novembre 2008 della Corte di appello di Milano

L’imputato è accusato del reato di cui al capo 7) p.e p. dall’art. 319 c.p.

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che aveva avuto ad oggetto il tentativo di introdurre in carcere hashish ed un
cellulare , vincolo negato dalla corte distrettuale che ha visto tra le due condotte
una mera propensione a delinquere inidonea a collegare in un’unica unitaria
volizione i due comportamenti .
5.5. Anche questa doglianza è inammissibile, tenuto conto che l’esclusione

questa sede, laddove giustificato come nella specie (stacco cronologico e mancata
prova di una unitaria antecedente ideazione) in termini privi di invalidità
apprezzabili ex art.606 cod. proc. pen.
Da ciò l’inammissibilità del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e di €. 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

6. Morrone Valerio (124), imputato: al capo 1) ex artt. 81 capoverso,
74 commi 1-3-4 d.p.r. 309/90, 4 1.146/06, 61 n.6 cod. pen.; al capo 6-28) ex
artt. 319-321 (81-110-61) cod. pen.; al capo 13a) ex artt. 81-110 cp-12 quinq.
comma 1 1.356/92, capo 31) ex artt.110-496 cod. pen.; capo 15) ex artt. 81110 cod. pen. 10-12-14 1.497/74; 23 1.110/75;

capo 33) ex artt. 416 co 1

cod. pen.; capo 34) ex artt. 81- 110-640 cod. pen.; capo 30) ex artt.81110-477-489 cod. pen.; capo 32) ex artt. 110-48-479-476 comma 2 cod. pen.
+ altri.
La corte distrettuale ha ridotto la pena ad anni 16 e gg. 20 di reclusione.
6.1 Il ricorso, composto di un unico motivo di doglianza (comune ai
ricorrenti De Cesare), contesta violazione di legge in ordine alla ritenuta
aggravante ex art. 4 legge 146/2006, sostenendosi la novità giurisprudenziale,
rappresentata dalla sopravvenienza della interpretazione delle S.U. sul punto (SU
44113/12) che ha stabilito le regole di compatibilità tra la speciale aggravante
della transnazionalità, prevista dall’art. 4 della I. n. 146 del 2006, ed il reato
associativo, condizionata alla circostanza che il gruppo criminale organizzato
transnazionale non coincida con l’associazione a delinquere.
6.2. Il motivo è fondato, nei termini dianzi argomentati al §.1.3 e segg. qui integralmente da riprendersi- per il ricorrente De Cesare Danilo, e la gravata
sentenza va pertanto annullata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte
di appello di Milano che nella piena libertà delle valutazioni di merito di

del vincolo della continuazione costituisce un giudizio di merito, insindacabile in

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competenza, provvederà alla determinazione della sanzione irrogabile con
esclusione dell’aggravante speciale in questione.
6.3. Trattasi di annullamento di cui sono destinatari, oltre al Morrone, i
due fratelli De Cesare e, per estensione, giusta disposto dell’art. 587 cod. proc.
pen. anche il coimputato ricorrente (ma non sul punto) Sangiovanni.

dell’impugnazione accolta, previsto dall’art. 587 cod. proc. pen., è canone di
carattere generale, avendo esso la finalità di assicurare uguale trattamento agli
imputati concorrenti nello stesso reato, ove si tratti di impugnazione non fondata
su motivi esclusivamente personali.
6.5. E’ inoltre pacifico che tale effetto, di incidenza dell’annullamento,
deliberato per alcuni dei coimputati in punto di esclusione di un’ aggravante
speciale a tutti contestata, debba operare per tutti gli accusati che, come nella
specie, versino in identiche e comuni realtà illecite, pur non avendo sul punto
(come il Sangiovanni) proposto impugnazione .
7.

Sangiovanni Benedetto,

imputato al

capo 1),

ex artt. 81

capoverso cod. pen.; 74 commi 2-3-4 d.p.r. 309/90-4 I. 146/06-61 n.6 cod.
pen.; al capo 5) ex artt. 81 cpv-110 c .p.-73 commi 1, 1 bis e 5 dpr 309/90.
La gravata sentenza ha ridotto la sanzione finale ad anni 6, mesi 3 e gg. 4
di reclusione, previo riconoscimento della continuazione con i fatti giudicati con
sentenza definitiva emessa in data 27.05.2010 dal Tribunale di Milano e
revocando il beneficio della sospensione condizionale ivi concesso.
7.1. Con un unico motivo di impugnazione si prospetta violazione di legge
con riferimento agli artt. all’art. 125 comma 3 c.p.p., 73 e 74 D.P.R. 309/90.
7.2. Sostiene il ricorrente che, con l’atto di appello, la corte distrettuale
era stata chiamata, a rivalutare:
a) il ruolo di partecipe, attribuito dal g.u.p. a Sangiovanni Benedetto, in
relazione alla associazione finalizzata al traffico di stupefacenti al cui vertice
sarebbero collocati Morrone Valerio e Forti Pasquale, unitamente, in origine, a
Sangiovanni Lorenzo (fratello dell’odierno ricorrente Benedetto), giudicato
separatamente, con sentenza pronunciata in data 9 gennaio 2013 dal g.u.p.
presso il Tribunale di Milano nel procedimento penale n. 5434/06 R.G. G.I.P.

6.4. E’ noto infatti che il principio dell’estensibilità «in bonam partem»

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(25872/06 R.G. n.r.), che ha escluso che egli abbia ricoperto il ruolo di
organizzatore e promotore dell’associazione, ritenendolo appunto mero partecipe
della stessa.
b) l’insufficienza probatoria in relazione alla condotta rilevante ai sensi
dell’art. 73 D.P.R. n. 309/90, seppur riconosciuta all’imputato, con la sentenza di

7.3. Secondo l’assunto difensivo la gravata sentenza non avrebbe tuttavia
esaminato tali critiche attribuendo a Sangiovanni Benedetto una condotta di
“spaccio” ben più ampia e significativa di quella individuata dallo stesso g.u.p..
ed ha concluso sostenendo che, sebbene i contatti con Juri De Cesare avessero
avuto origine nella personale ricerca di stupefacente da parte di Benedetto,
attraverso il fratello Lorenzo, essi sarebbero stati funzionali, appunto, all’attività
di spaccio.
7.4. Il convincimento di colpevolezza della corte milanese si sarebbe
fondato, da una parte, su due conversazioni telefoniche tra Jun e Benedetto
relative al periodo estivo, successivo alla consegna del 3.06.2006 e, dall’altra, sui
contatti che l’imputato avrebbe avuto, in data 1.06.2006, con i propri ipotetici
“clienti” (cfr. pp. 138-139 sentenza).
7.4. Il ricorrente, al contrario e su quei dati, evidenzia:

il diverso

contenuto attribuibile alle conversazioni (9 giugno-8 agosto 2006); la mancata
valorizzazione della provata assenza dell’imputato dai luoghi in cui De Cesare
operava nel periodo estivo; la mancanza di prove di un’avvenuta cessione il I
giugno 2006, e del fatto che gli acquirenti in questione si identificassero senz’altro
in amici dell’imputato..
7.5. In conclusione per la difesa, su tale primo segmento cronologico della
condotta la sentenza avrebbe solo apparentemente motivato circa la
configurabilità del reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/90, omissione questa che
si è necessariamente riflettuta anche sulle conclusioni dell’impugnata decisione
circa il ruolo che Sangiovanni Benedetto avrebbe rivestito nell’associazione
finalizzata al traffico di stupefacenti.
7.6. Inoltre la Corte territoriale non avrebbe condiviso, in relazione a
quest’ultimo argomento, la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice, il

primo grado, nella forma attenuata di cui al quinto comma della stessa norma.

13

quale: aveva stabilito che si fossero verificate “cessioni di piccole quantità di
stupefacente a Sangiovanni Benedetto da parte dei De Cesare; aveva concluso
nel senso che Sangiovanni Benedetto aveva realizzato una “partecipazione meno
marcata alle attività del gruppo”, così come i De Cesare che avrebbero gestito “a
valle un loro giro di clienti”, tra i quali lo stesso Benedetto Sangiovanni (cfr. p.

“fornitori occasionali” di Sangiovanni Benedetto (cit. il medesimo passaggio della
sentenza di primo grado, p. 424), laddove la Corte di Appello gli aveva invece
attribuito il ruolo di tramite di de Juri De Cesare, “assegnatario di quota della
sostanza importata dalla Spagna (p. 140 sentenza).
7.7. Infine detta “distonia” avrebbe trovato espressione nella
contraddittorietà interna alla sentenza impugnata nella parte in cui,
pronunciandosi in relazione al capo 1) dell’imputazione (intitolata L’associazione
ex art. 74 D.P.R. n. 309/90″, pp. 66-69 sentenza), ha affermato di condividere le
conclusioni del primo giudice il quale “ha pure ricostruito l’intera mappa
organizzativa dell’associazione delineando

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