Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9889 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9889 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

BISCEGLIE Loredana, n. Apricena (Fg) 4.2.1961
avverso la sentenza n. 2676/12 Corte di Appello di Bari del 16/10/2012
esaminati gli atti e letti i ricorsi ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G., dott. Roberto Aniello che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di Appello di Bari, in accoglimento dell’appello proposto dalla parte civile Mastronardi Vito, riformava limitatamente alle statuizioni civili quella di
assoluzione pronunziata dal Tribunale di Foggia in data 11/03/2011 a carico di Bisceglie Loredana, accusata dei reati di millantato credito (art. 346 cod. pen.) e patrocinio infedele (art.
380 cod. pen.) commessi fino al mese di agosto 2004 (unitariamente ascrittile al capo A della
imputazione), condannandola al risarcimento dei danni in favore dell’appellante da liquidarsi in
separata sede ed alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio; veniva, invece, confermata l’assoluzione della Bisceglie dal reato di appropriazione indebita aggravata (artt. 61 n.
11, 646 cod. pen.) contestatole al capo B).
Riteneva, infatti, la Corte territoriale come l’assoluzione fosse stata determinata dall’erroneo
presupposto assunto dal giudice di prime cure, il quale aveva ritenuto scaduti i termini per impugnare una sentenza in materia di lavoro in grado d’appello in cui il Mastronardi era risultato
soccombente, facendone derivare la non credibilità dell’accusa rivolta alla Bisceglie di avere
millantato conoscenze presso la Procura Generale della Corte di Cassazione, nel tentativo di indurre il proprio assistito a presentare comunque impugnazione.
La Corte riteneva parimenti raggiunta la prova del reato di patrocinio infedele, essendo rimasto
accertato che l’imputata, pur avendo conseguito l’onorario in via anticipata, non aveva appron-

Data Udienza: 28/01/2014

tato alcuna difesa ed avendo anche celato la circostanza di non essere abilitata al patrocinio in
sede di legittimità, alle successive rimostranze dell’assistito aveva ulteriormente millantato credito presso magistrati della Procura Generale della Corte dì Cassazione, riuscendo a farsi corrispondere l’ulteriore somma di 2.000,00.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputata, deducendo difetto di motivazione per
avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto perenti i termini per l’impugnazione della sentenza di lavoro emessa in grado d’appello e per non avere minimamente affrontato la problematica della prescrizione dei reati contestati, maturata dopo la pronunzia del Tribunale ma prima della decisione impugnata.

3. Il ricorso risulta infondato e deve essere rigettato.
La Corte d’Appello di Bari ha sovvertito, ai limitati funi di cui al’art. 576 cod. proc. pen., la
pronunzia assolutoria del Tribunale di Foggia dai reati ascritti alla ricorrente, ritenendo la domanda della parte civile suffragata dalle dichiarazioni – ritenute coerenti, dettagliate, precise e
documentalmente riscontrate dalla corrispondenza con quella intercorsa – rese dal denunziante
Vito Mastronardi, del quale ha escluso ogni movente o atteggiamento calunnioso nei confronti
di colei che era stata la sua patrocinatrice in una causa di lavoro dinanzi alla stessa autorità
giudiziaria barese.
Ha, inoltre, osservato la Corte che il dolo del reato di cui all’art. 346 cod. pen. non consiste
nell’avere volontariamente agito contro gli interessi di parte, ma nell’essersi l’agente reso volontariamente infedele rispetto ai suoi doveri professionali finalizzati alla tutela del cliente ed al
corretto e tempestivo esito della procedura in corso; del resto la qualifica professionale della
Bisceglie (avvocato) rendeva credibile il fatto che il Mastronardi potesse averle prestato credito
in ordine ad asserite conoscenze che ella vantava presso magistrati della Procura Generale
della Corte di Cassazione, riuscendo in tal modo a conseguire il denaro consegnatole a due riprese dall’assistito.
A fronte di tale ricostruzione della vicenda, deve affermarsi l’infondatezza delle doglianze articolate dalla ricorrente.
Al fine di affermare la scarsa credibilità della tesi d’accusa e pervenire alla pronunzia assolutoria, il giudice di primo grado aveva infatti sostenuto che all’epoca della denunzia presentata
dal Mastronardi i termini per interporre ricorso in Cassazione avverso la sentenza n. 595 del
27.3.2003 emessa nella controversia di lavoro che vedeva il primo opposto alla AMTAB non
fossero ancora scaduti, la sentenza non essendo stata mai notificata dalla parte vincitrice ma
solo pubblicata con comunicazione della Cancelleria il 7.2.2004, da tale momento decorrendo il
termine lungo (all’epoca annuale) per impugnare dalla parte soccombente.
La Corte ha ritenuto che sul punto il giudice di prime cure sia incorso in errore, opinando invece che il termine (lungo) per proporre ricorso per Cassazione fosse, invece, già decorso in
data 27.3.2004 a distanza cioè di un anno (27.3.2003) dal deposito delle motivazioni (ovvero
dalla pubblicazione) della decisione, ininfluente risultando la successiva comunicazione della
Cancelleria del 7.2.2004 ed apprezzando come tale errore abbia inciso sull’intero iter logico argomentativo svolto dal Tribunale.
Il rilievo appare corretto poiché il giudice di primo grado sembra avere confuso la comunicazione di cancelleria del 7.2.2004 con la pubblicazione, che avviene nelle forme dell’art. 133
cod. proc. ttekt. mediante deposito nella cancelleria della sentenza, corredata dì motivazioni, da
parte del giudice che l’ha pronunciata, da detto adempimento decorrendo il termine per impugnare, attualmente semestrale ma all’epoca dei fatti annuale, stabilito a pena di decadenza
Vall’art. 327 cod. proc. pen., sempre che alcuna delle parti non abbia proceduto a notificazione
al fine di provocare la decorrenza dei termini cd. brevi (art. 325 cod. proc. pen.).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Quanto, infine, all’omessa considerazione da parte della Corte territoriale dei termini di prescrizione dei reati, dedotta come secondo motivo di ricorso, anch’essa appare destituita di fondamento, atteso che i giudici d’appello sono pervenuti all’adozione della decisione impugnata ai
limitati fini 576 cod. proc. pen., il quale da un lato presuppone l’intangibilità del giudicato penale (nel caso di specie di assoluzione nel merito) ma dall’altro può dar luogo ad uno
‘sdoppiamento’ della res judicanda, consentendo al giudice d’appello di statuire, seppure in via
incidentale, in modo difforme sul fatto oggetto dell’imputazione, ritenendolo ad es. ascrivibile
al soggetto prosciolto (Cass. sez. 2, sent. n. 5072 del 31/01/2006, P.C. in proc. Pensa, Rv.
233273).

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.
rigetta il ricor o e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 28/01 2014

La questione della mancata perenzione del termine per impugnare, certamente significativa ai
fini della ricostruzione della vicenda, nonché gli altri aspetti puntualmente evidenziati dai giudici di secondo grado (le precise affermazioni, non smentite ex adverso, venute dal denunziante; le coerenti risultanze documentali; l’assenza di pregressi e distinti motivi di contrasto
tra le parti atti ad inficiare la credibilità di quelle dichiarazioni) inducono questo collegio a ritenere che la Corte territoriale abbia adeguatamente motivato le ragioni dell’accoglimento dello
appello, sia pure ai limitati fini civilistici e che la decisione impugnata possegga quei caratteri
che – a legislazione vigente come interpretata anche dalla Corte Costituzionale (sent. n. 26 del
2007) – appaiono necessari per rispondere a criteri di legalità (per tutte v. Cass. sez. U, sent.
n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti e Cass. Sez. U, sent. 33748 del 12/07/2005, Mannino) ed
assolvere a quell’obbligo di argomentazione rafforzata più volte ribadito anche dalla giurisprudenza di questa sezione per le decisioni di secondo grado sovvertitrici di quelle assolutorie
pronunziate in prime cure (ex plurimis, v. Cass. sez. 6, sent. n. 22120 del 29/04/2009, Tatone
e altri, Rv. 243946)

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