Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9885 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9885 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. FRATEANTONIO Vincenzo, nato a Avola (SR) il 02/09/1979
2. CASTO Irene, nata a Avola (SR) il 07/02/1981
avverso la sentenza in data 25/06/2012 della Corte di Appello di Catania;
visti gli atti e letti i ricorsi e la sentenza impugnata;
udita in pubblica udienza la relazione del consigliere dott. Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G. dott. Alfredo Pompeo
Viola, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata quanto
alla posizione della Caste e per il rigetto del ricorso del Frateantonio.
Motivi della decisione

Data Udienza: 15/10/2013

1. Per mezzo del comune difensore gli imputati Vincenzo Frateantonio e Irene
Casto ricorrono per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Catania che ha
confermato la decisione resa all’esito di giudizio ordinario dal Tribunale di Siracusa
sezione di Avola, con la quale sono stati riconosciuti colpevoli di concorso nel reato di
illecita coltivazione di dodici piante di marijuana e per l’effetto condannati, concessa la
attenuante di cui all’art. 73 co. 5 L.S., alla pena sospesa di un anno e due mesi di
reclusione ed euro 5.000 di multa ciascuno. Condotta criminosa emersa a seguito di
intervento domiciliare dei carabinieri di Avola, che il 22.5.2006 rinvengono e sequestrano
sul terrazzo dell’appartamento occupato dai due imputati (e da essi soltanto) dodici
piante di marijuana (cannabis indica) e materiale utilizzabile per l’innesto di nuove piante
dello stesso tipo. Piante che le successive analisi di laboratorio confermeranno essere
idonee a produrre marijuana, sostanza con efficacia drogante già presente in misura
significativa nelle infiorescenze delle piante con percentuale di thc pari al 2%.
In particolare la Corte di Appello ha disatteso la tesi difensiva degli imputati,
imperniata sui sequenziali profili della non punibilità della coltivazione funzionale ad un /

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2. Con ricorsi di omologo contenuto gli imputati denunciano erronea applicazione
dell’art. 73 L.S. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla
apprezzabilità penale dell’accertata coltivazione delle dodici piante di canapa indiana.
Muovendo dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 360/1995, che a loro
avviso estenderebbe la non punibilità della detenzione di stupefacenti per uso personale
alla coltivazione di piante idonee a fornire sostanze droganti, i ricorrenti lamentano
l’omessa verifica della concreta offensività del fatto loro contestato, osservando come lo
stesso concerna la coltivazione di poche piantine, dalle quali soltanto potenzialmente
può ritenersi ricavabile un modesto e in pratica irrilevante principio attivo. In ogni caso
un equilibrato criterio selettivo delle condotte punibili, in quanto corrispondenti al fatto
reato tipizzato dall’art. 73 L.S. ma prive di offensività, è offerto dalla giurisprudenza di
legittimità che distingue tra coltivazione in senso tecnico-agrario (considerata dagli artt.
26 e 28 L.S.), penalmente rilevante, e una piccola e insignificante coltivazione domestica
(“autocoltivazione”) priva di reale offensività, specialmente quando -come nel caso di
specie- neppure risulta esaurito il processo di coltivazione e dallo stesso non sia stata
ancora ricavata alcuna sostanza realmente efficace e utilizzabile in chiave drogante.
Con il ricorso dell’imputata Casto si censura altresì l’erronea applicazione degli
artt. 110 e 40 co. 2 c.p., atteso che la Corte etnea non ha offerto appagante risposta al
dedotto rilievo del difetto di prova del concorso criminoso della donna, non essendo a tal
fine sufficiente la sua presenza al fianco del convivente, senza che sia individuato un suo
concreto contributo causale all’illecita condotta di coltivazione delle piante di canapa
riferibile al Frateantonio (“i/ solo [suo] comportamento omissivo, anche e soprattutto alla luce
del vincolo affettivo, non costituisce segno univoco di partecipazione morale”).
3. Entrambi i ricorsi vanno rigettati per l’infondatezza dei motivi di doglianza
rispettivamente prospettati.
3.1. L’assunto difensivo dell’imputata Casto focalizzato su un suo contegno di

mera connivenza non punibile rispetto alla condotta di coltivazione attuata e curata dal
convivente coimputato Frateantonio non ha pregio.
La sentenza di primo grado, richiamata dalla impugnata decisione di appello,
affronta la problematica, correttamente risolvendola in termini di pieno e consapevole
concorso criminoso dell’imputata. La donna ha ammesso di essere a conoscenza della
presenza delle piante sul terrazzo della sua abitazione (occupata soltanto da lei e dal
coimputato) e la tesi di averne ignorato la reale natura è contraddetta in tutta evidenza,
come rileva la sentenza del Tribunale, sia dalla particolare cura della coltivazione delle
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uso personale degli agenti e dell’inefficacia drogante (e, per ciò, della inoffensività della
condotta) della sostanza ricavabile dalle piante sottoposte a sequestro.
Alla luce della congiunta lettura delle due conformi decisioni di merito, che si
integrano vicendevolmente dando origine ad enunciati valutativi organici e inseparabili,
il Tribunale e la Corte territoriale hanno evidenziato, per un verso, che -dopo la nota
decisione delle Sezioni Unite della S.C. n. 28605 del 2008, ric. Di Salvia- la coltivazione
abusiva di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti è in ogni caso punibile
anche quando il prodotto della coltivazione sia destinato all’uso personale dell’agente.
Per altro verso i giudici di merito hanno rilevato la concreta offensività della concorrente
condotta criminosa degli imputati, avuto riguardo agli esiti delle analisi indicanti la
presenza del principio attivo della cannabis nelle piante sequestrate ai prevenuti.

3.2. Destituiti di fondamento sono i rilievi, comuni ad entrambi i ricorrenti, sulla
asserita irrilevanza penale della coltivazione di piante produttive di sostanze droganti
per il personale uso degli imputati e -in subordine- dell’inoffensività concreta
dell’accertato fatto di coltivazione di dodici piante di canapa contestato ai due prevenuti.
Premesso -sul piano storico-processuale- che i giudici di merito hanno segnalato
come sia il Frateantonio che la Casto hanno sostenuto di non fare alcun uso di sostanze
stupefacenti, la sentenza n. 360/1995 della Corte Costituzionale (manifesta infondatezza
delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 73 e 75 L.S. nella parte in cui
prevedono l’illiceità penale della coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze
stupefacenti univocamente destinate all’uso personale degli agenti) non ha, al contrario
di quanto adducono i ricorrenti, configurato come non punibile la coltivazione di piante
suscettibili di produrre sostanze stupefacenti destinate al consumo personale dei
“coltivatori”, ma ha unicamente posto l’accento sulla pur sempre necessaria verifica, alla
stregua di un giudizio di merito, della “offensività specifica della singola condotta in concreto
accertata” e della sua effettiva idoneità a vulnerare il bene giuridico protetto (contrasto al
consumo di droghe), in difetto della quale la condotta diviene priva della tipicità e non
più riconducibile alla norma incriminatrice (Corte Cost.: “…nel caso della coltivazione

manca il nesso di immediatezza con l’uso personale e ciò giustifica un possibile atteggiamento di
maggior rigore, rientrando nella discrezionalità del legislatore anche la scelta di non agevolare
comportamenti propedeutici all’approvvigionamento di sostanze stupefacenti per uso
personale… la coltivazione è esterna all’area contigua al consumo e ciò già di per sé rende ragione
sufficiente di una disciplina differenziata…”).
La decisione del giudice delle leggi è stata tenuta ben presente dalle Sezioni Unite
di questa S.C. che con la menzionata decisione del 2008, richiamata da entrambe le
sentenze di merito oggetto dei due ricorsi (S.U., 24.4.2008 n. 28605, Di Salvia, rv. 239920),
ha sgombrato il campo dall’indirizzo giurisprudenziale valorizzato dai ricorrenti e
basato sulla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica,
definitivamente chiarendo che integra una condotta penalmente rilevante ogni attività
non autorizzata di coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti,
anche quando sia posta in essere in funzione di un uso soltanto personale del prodotto
della coltivazione (così anche, ex plurimis: Sez. 6, 13.10.2009 n. 49528, P.M. in proc. Lanzo,
rv. 245648; Sez. 6, 9.12.2009 n. 49523, Cammarota, rv. 245661).
Chiarito quindi che, come affermano le Sezioni Unite, qualsiasi tipo di
coltivazione è caratterizzato da un dato essenziale e distintivo rispetto alla fattispecie di
detenzione di sostanze droganti, che è quello di contribuire ad accrescere in qualunque
entità, pur se mirata a soddisfare esigenze di natura personale, la quantità di sostanza
stupefacente esistente (“la coltivazione presenta la peculiarità di dar luogo ad un processo di
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piante (“accudite con cura”) e dal ritrovamento di materiale e cose destinate ad
“implementare” la stessa coltivazione, sia soprattutto dalla “tenace resistenza” opposta da
entrambi gli imputati all’accesso dei carabinieri nel loro appartamento. Contegno tenuto
anche dalla Casto e non altrimenti giustificabile se non con la sua piena contezza del
commesso reato e della sua partecipazione allo stesso, che non lascia spazio ad ipotesi di
semplice passiva connivenza della donna. Come affermato da questa S.C., costituiscono
affidabili indici di positivo contributo partecipativo all’altrui condotta criminosa anche
contegni volti ad agevolare l’occultamento e la conservazione della droga, sottraendola
ai controlli di p.g. (cfr.: Sez. 4, 22.1.2010 n. 4948, Porcheddu, rv. 246649; Sez. 6, 18.2.2010
n. 14606, lemma, rv. 247127; Sez. 1,26.9.2012 n. 40248, P.G. in proc. Mazzotta, rv. 254735).

Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

P. Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Roma, 15 ottobre 2013

produttivo astrattamente capace di autoalimentarsi attraverso la riproduzione dei vegetali”),
l’attenzione nel caso dei due ricorrenti si sposta sulla verifica di offensività della
condotta criminosa, proprio alla luce del dictum della Sezioni Unite sintonico con la
ricordata decisione n. 360/1995 della Corte Costituzionale, sì che “l’offensività non ricorre
soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente
in concreto rilevabile” (cfr., ex multis: Sez. 6, 10.12.2012 n. 12616/13, Floriano, rv. 254891;
Sez. 6, 2.5.2013 n. 22110, P.M. in proc. Capuano, rv. 255732). Ed in proposito conviene
puntualizzare, come pure stabilito da recente decisione di questa S.C., che -in relazione
alla specificità del fatto materiale di coltivazione- non può aversi riguardo allo stadio
(iniziale, in corso, avanzato, esaurito) del processo produttivo accertato (ciò che
equivarrebbe a dare ingresso ad un improprio criterio di punibilità differenziata), poiché
l’offensività della condotta si radica nella sola idoneità della coltivazione a produrre la
sostanza per il consumo. Con l’ovvia conseguenza che non rileva la quantità di principio
attivo ricavabile nella immediatezza dell’accertamento, ma la conformità delle piante al
tipo botanico previsto e la loro attitudine (anche per modalità e cura di coltivazione) a
giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente utilizzabile per il consumo
(Sez. 6, 15.3.2013 n. 22459, Cangemi, rv. 255732).
Ora nel caso per cui è ricorso non è revocabile in dubbio che la ridetta idoneità
produttiva di sostanza drogante sia stata concretamente verificata nel giudizio di merito
in base alle analisi effettuate nelle indagini preliminari. Sicché, a fronte della conclamata
presenza del principio attivo (thc) nelle infiorescenze delle dodici piante in sequestro,
non hanno pregio le critiche dei ricorrenti in riferimento al non elevato coefficiente (2%)
di tale principio attivo riferibile allo stadio produttivo coevo all’accertata condotta di
abusiva coltivazione dei due ricorrenti.

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