Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9884 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9884 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da PIERINI Andrea, nato ad Atessa (CH) il 11/07/1979,
avverso la sentenza in data 25/11/2011 della Corte di Appello dell’Aquila;
visti gli atti e letti il ricorso e la sentenza impugnata;
udita in pubblica udienza la relazione del consigliere dott. Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G. dott. Alfredo P. Viola, che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Giovanni Osvaldo Piccirilli, che ha insistito per
l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Con il ministero del difensore Andrea Pierini impugna per cassazione l’indicata
sentenza della Corte di Appello di L’Aquila, che -in parziale riforma della decisione del
Tribunale di Lanciano- ha ridotto, in concorso delle già riconosciute attenuanti generiche
e dell’attenuante del fatto lieve (art. 73 co. 5 L.S.), a otto mesi di reclusione ed euro 2.000
di multa la pena inflittagli per il reato di illecita coltivazione di sette piante di marijuana
detenute per l’essiccazione in un locale in sua disponibilità.
Nel confermare in punto di responsabilità ex art. 73 L.S. la sentenza di primo
grado la Corte di Appello, mutuando valutazioni già espresse dal Tribunale su profili di
censura rinnovati dall’imputato con l’atto di appello, ha evidenziato -da un lato- la
legittimità della perquisizione domiciliare eseguita a carico del Pierini, siccome reso
ritualmente edotto della facoltà di farsi assistere da un difensore (facoltà di cui non si è
avvalso) e l’utilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali dell’ufficiale di p.g. operante,
limitatosi a riferire circostanze frutto della sua personale attività conoscitiva e non
quanto appreso dall’imputato nel corso delle operazioni investigative. Da un altro lato la
Corte aquilana ha respinto la tesi difensiva incentrata sulla inapprezzabilità penale del
fatto, trattandosi di coltivazione domestica di marijuana per il personale consumo del
prevenuto, osservando come le Sezioni Unite di questa S.C. abbiano chiarito che
costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di

Data Udienza: 15/10/2013

i

giA

coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia
realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale (S.U. 24.4.2008 n. 28605, Di
Salvia, rv. 239920).

2.1. Violazione degli artt. 178 e 191 c.p.p. e 114 disp att. c.p.p. e nullità della
sentenza del Tribunale e della susseguente conforme sentenza di appello.
All’atto della perquisizione domiciliare eseguita nei confronti dell’imputato la
polizia giudiziaria non lo ha chiaramente informato della facoltà di farsi assistere da un
difensore di fiducia. L’avviso previsto dall’art. 114 disp. att. c.p.p. deve essere esplicito
ed erroneamente il Tribunale prima (con ordinanza reiettiva di specifica eccezione di
inutilizzabilità della difesa e con la motivazione della prima sentenza) e la Corte di
Appello poi (disattendendo la rinnovata censura difensiva) hanno ritenuto sufficiente la
generica notazione riportata nel verbale di perquisizione (allegato al ricorso) secondo cui
il Pierini era stato “reso edotto della facoltà di legge cui espressamente rinunciava”. E’ stato
così vanificato il diritto di difesa dell’imputato e la perquisizione deve considerarsi nulla
e inutilizzabile a fini probatori.
2.2. Violazione degli artt. 62, 63, 191 e 350 c.p.p. e inutilizzabilità della deposizione

testimoniale del maresciallo Michele Moscagiuri, avendo costui riferito fatti appresi
direttamente dall’imputato. Non è vero che i giudici di merito abbiano tenuto conto dei
soli fatti oggetto della diretta attività del sottufficiale, atteso che gli sviluppi investigativi
hanno preso le mosse dalle non acquisibili dichiarazioni del Pierini, rivestendo costui la
qualità di persona indagata. Erroneamente, per tanto, la Corte di Appello non ha
ritenuto applicabile il disposto dell’art. 350 co. 6-7 c.p.p. (inutilizzabilità di notizie e
indicazioni fornite dall’indagato senza l’assistenza di un difensore).
2.3. Erronea applicazione dell’art. 73 L.S. e difetto di motivazione.

La sentenza impugnata ha omesso di dare risposta al rilievo enunciato con
l’appello avverso la sentenza del Tribunale, con cui si rimarcava come non sia risultata in
alcun modo provata la destinazione alla cessione (“spaccio”) della sostanza stupefacente
in possesso dell’imputato.
2.4. Violazione degli artt. 49 c.p., 26, 28 e 75 L.S.

La coltivazione di sostanze stupefacenti costituisce reato soltanto in caso di
coltivazione tecnico-agraria o imprenditoriale e non -come nella vicenda riguardante il
ricorrente- quando la coltivazione rivesta carattere domestico e sia dettata da un uso
personale della sostanza. In ogni caso si è in presenza della coltivazione di sole sette
piante di cannabis dotate di insufficiente principio attivo e prive di concreta offensività.
3. Il ricorso deve essere rigettato per infondatezza dei dedotti motivi di doglianza.
3.1. I rilievi formulati con il primo motivo di ricorso in punto di illegittimità della
perquisizione domiciliare, all’esito della quale sono state sequestrate le sette piante di
canapa poste ad essiccare dall’imputato, non hanno pregio.
L’erroneità dell’assunto enunciato nel ricorso, per altro già sottolineato dalle due
sentenze di merito, richiede una duplice premessa. Innanzitutto l’eventuale illegittimità
di un atto di perquisizione eseguito dalla p.g. non comporta effetti invalidanti sul
successivo sequestro del corpo di reato o delle cose pertinenti al reato, che costituisce

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2. Con l’odierno ricorso si denunciano i vizi di violazione di legge e difetto e
illogicità della motivazione di seguito sintetizzati.

3.2. Infondato è il secondo motivo di ricorso sulla pretesa inutilizzabilità della

testimonianza dell’ufficiale di p.g. Moscogiuri; motivo cui hanno già dato adeguata e
corretta risposta le due conformi decisioni di merito.
La Corte di Appello, con deduzione agevolmente controllabile attraverso la lettura
della prima decisione di merito, ha rilevato che il Tribunale ha valorizzato non le
dichiarazioni del testimone su evenienze riferitegli (tra l’altro spontaneamente
dall’imputato), ma le sole dichiarazioni sui dati di fatto divenuti oggetto dei suoi
personali accertamenti, ivi inclusa la sicura disponibilità da parte dell’imputato (munito
delle chiavi di ingresso) dell’appartamento e dell’annesso ripostiglio in cui sono state
rivenute e sequestrate le piante di marijuana. E’ appena il caso di aggiungere, del resto,
che il divieto di utilizzare in dibattimento le dichiarazioni spontanee dell’indagato non
concerne i casi in cui emergano fatti storicamente rilevanti e oggettivamente descrivibili
avvenuti alla presenza di ufficiali di p.g. Fatti che ben possono essere ripercorsi dagli
operanti nel contraddittorio dibattimentale con conseguente utilizzazione dei risultati e
delle inferenze tratti dai fatti accertati ed esposti dall’ufficiale di p.g. assunto come
testimone (v.: Sez. 4, 24.9.2008 n. 41040, Muzzolon, rv. 241367; Sez. 5, 1.12.2011 n.
7172/12, Aracri, rv. 251947). La decisione del Tribunale, richiamata sul punto dalla Corte
di Appello, congruamente rileva, d’altro canto, come sia stato proprio il ricorrente a
confermare di aver coltivato la pianta di canapa le cui radici erano state rinvenute nel
fondo paterno e altresì a condurre il Moscogiuri e i suoi colleghi presso il ripostiglio ove
erano tenute ad essiccare le sette piante cadute in sequestro.
3.3. Destituiti di fondamento sono, infine, gli ultimi due connessi motivi di ricorso
sulla sussistenza (configurabilità) della contestata fattispecie criminosa ex art. 73 L.S. e
(in subordine) della concreta inoffensività della condotta dell’imputato.
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atto dovuto, ai sensi dell’art. 253 co. 1 c.p.p., per l’A.G. procedente (Sez. 6, 23.6.2010 n.
37800, M’Nasri, rv. 248685). In secondo luogo l’avvertimento del diritto all’assistenza del
difensore rivolto dalla p.g. all’indagato per compiere gli atti previsti dall’art. 356 c.p.p.,
come puntualizzato dall’art. 114 disp. att. c.p.p., non richiede formule sacramentali,
purché esso si riveli idoneo al raggiungimento dello scopo (Sez. 3, 17.1.2012 n. 4945,
Balestra, rv. 252034). Scopo che ne riguardi del Pierini è pienamente raggiunto, come
osserva la sentenza di appello, con l’avviso al prevenuto delle facoltà riconosciutegli
dalla legge (facoltà consistenti, per altro, nella sola eventuale assistenza di un difensore).
Tutto ciò premesso, deve constatarsi che nel caso di specie neppure vi sarebbe
stata necessità di formulare il ridetto avvertimento all’imputato, poiché la p.g. ha
proceduto alla perquisizione domiciliare in via d’urgenza ai sensi dell’art. 103 L.S. (come
si evince, del resto, dallo stesso verbale di perquisizione allegato al ricorso,
specificamente intestato “verbale di perquisizione locale ai sensi dell’art. 103 D.P.R. 309/90”).
Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, per gli atti di ispezione e
perquisizione della p.g. previsti dal citato art. 103 L.S. non è applicabile il disposto
dell’art. 356 c.p.p. sull’assistenza di un difensore, quando quelle attività siano state
svolte, per quel che evidenzia la più analitica sentenza del Tribunale di Lanciano, nel
quadro di finalità preventive prima dell’acquisizione della notitia criminis. In vero i
controlli e le ispezioni disciplinati dall’art. 103 L.S. in materia di stupefacenti si
differenziano, per la loro peculiare funzione preventiva (prima che repressiva), dalle
perquisizioni indicate dall’art. 352 c.p.p., che presuppongono sempre la commissione di
un reato o la sussistenza di una notitia criminis determinata (cfr.: Sez. 6, 23.10.1992 n.
11908, Torcaso, rv. 192916-192917; Sez. 4, 28.9.2006 n. 2517/07, Macri, rv. 235888).

Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 15 ottobre 2013

L’accusa mossa al ricorrente è stata quella di coltivazione non autorizzata delle
sette piante di canapa indiana e non già (o non solo) quella di detenzione dello
stupefacente per finalità di spaccio. Finalità che sarebbe, del resto, non dirimente ai fini
della sussistenza dello specifico reato di coltivazione, come ha precisato la decisione
delle Sezioni Unite di questa S.C. evocata dalla sentenza di appello (S.U. 24.4.2008 n.
28605, Di Salvia, rv. 239920; decisione che, come già detto, ritiene integrata l’ipotesi di
reato anche quando la destinazione del prodotto della coltivazione illecita sarebbe
destinata all’esclusivo consumo personale dell’imputato). Quanto all’efficacia drogante
del prodotto, la sentenza del Tribunale riporta gli esiti dell’indagine tecnica svolta nel
corso delle indagini preliminari, alla cui stregua le foglie ricavate dalle piante essiccate
hanno un peso di 320 grammi e sono connotate da un titolo di thc del 10,92%
corrispondente a 35 grammi di principio attivo puro.
Come puntualizzato -sulla scia dell’indirizzo ermeneutico fissato dalla citata
decisione delle Sezioni Unite- da recente decisione di questa S.C., la punibilità della
coltivazione di sostanze droganti, conforme -merita osservare- alla normativa
comunitaria (decisione quadro 2004/ 757/ GAI del Consiglio U.E. 25.10.2004 in tema di
norme minime sugli elementi costituitivi dei reati e sulle sanzioni applicabili in materia
di traffico illecito di stupefacenti), si correla, quale attività potenzialmente diffusiva del
consumo di droga, all’anticipata sanzionabilità della condotta antigiuridica, punendosi
con la previsione normativa anche l’inizio della lavorazione a cominciare dalla stadio in
cui si possa parlare appunto di coltivazione e di attività seriamente orientata a portarla a
compimento. Di tal che l’offensività della condotta di coltivazione consiste nella sua
idoneità a produrre la sostanza per il consumo, non rilevando la quantità del principio
attivo presente nel vegetale al momento del sequestro, ma la sua conformità al tipo
botanico e la concreta idoneità delle piante a giungere a maturazione e a produrre
sostanza stupefacente (Sez. 6, 15.3.2013 n. 22459, Cangemi, rv. 255732). Evenienze ben
verificatesi nel caso di specie a fronte del già avvenuto “raccolto” delle infiorescenze
(foglie) delle sette piante abusivamente coltivate dal ricorrente e della loro efficacia
drogante (come emerso dalle menzionate analisi chimiche).

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