Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9877 del 18/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9877 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BERALDI RAFFAELE N. IL 10/08/1955 4.
avverso la sentenza n. 19/2009 TRIBUNALE di BOLOGNA, del
20/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ff:44,-,A 54-14.c e o `”).-‘
che ha concluso per il
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Udito, per la pa civile, l’Avv
Udit i d nsor Avv.

Data Udienza: 18/02/2014

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 20/06/2012, il Tribunale di Bologna ha confermato la decisione di primo
grado che aveva condannato Raffaele Beraldi alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento
del danno in favore delle costituite parti civili, in relazione ai delitti di ingiuria e minaccia
commessi in danno di due carabinieri.
2. Nell’interesse del Beraldi è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi che
verranno illustrati di seguito. Prima di esaminare questi ultimi, occorre rilevare che la
sentenza impugnata, dopo la lettura del dispositivo avvenuta il 20/06/2012, è stata

giorni indicato in dispositivo, ai sensi dell’art. 544, comma 3, cod. proc. pen. Il ricorso per
cassazione è stato proposto in data 17/12/2012.
Il ricorrente, a fronte di tali dati temporali, sollecita un mutamento dell’orientamento
giurisprudenziale che esclude l’applicabilità della sospensione feriale dei termini con
riferimento alle attività del giudice e, in subordine, chiede la rimessione in termini, in ragione
della riconducibilità dell’errore al difensore.
Sotto il primo profilo, si rileva, in particolare, che la I. n. 742 del 1969, nel fare riferimento al
decorso dei termini, rende evidente che il regime della sospensione — caratterizzato da
eccezioni tassative e non estensibili in via interpretativa – riguarda sia le parti del processo
che i giudici, ciò che, secondo l’interpretazione proposta, appare coerente, per un verso, con
l’esigenza di chiarezza e trasparenza necessarie ad un effettivo esercizio del diritto di difesa
e, per altro verso, con il diritto dei magistrati a fruire per intero del periodo di ferie, senza
essere esposti al rischio di sanzioni disciplinari.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta l’inosservanza o erronea applicazione della legge
penale, con riferimento all’invocato errore scusabile, ai fini dell’esclusione dell’elemento
soggettivo del reato, e alla sussistenza della provocazione putativa ex art. 599 cod. pen.
2.2. Il secondo motivo investe la mancata applicazione dell’art. 35 d. Igs. n. 274 del 2000
2.3. Il terzo motivo critica la condanna dell’imputato al risarcimento del danno per
equivalente, anziché in forma specifica.
2.4. Il quarto motivo lamenta l’eccessività dell’importo liquidato a titolo di spese in favore
delle costituite parti civili.

Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile, in primo luogo, per la sua tardività.
In tema di impugnazioni, poiché il termine per la redazione della sentenza non è soggetto
alla sospensione nel periodo feriale, il dies a quo per proporre impugnazione che cada in tale
periodo comincia a decorrere dalla fine di esso (Sez. 3, n. 35738 del 12/07/2007, Belviso,
Rv. 237501, sulla scia della risalente Sez. U, n. 7478 del 19/06/1996, Giacomini, Rv.
205335).
Invero dalla esatta considerazione che i termini per la redazione della sentenza sono termini
processuali, non può inferirsi che debbano essere sospesi nel periodo feriale. E ciò perché la

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depositata, completa di motivazione in data 30/08/2012, all’interno del termine di novanta

sospensione di diritto ha la sua ragione d’essere per termini che hanno una sanzione
processuale, ossia quelli delle parti, e non quelli posti al giudice per la redazione delle
sentenze, la cui inosservanza può dar luogo solo a sanzioni disciplinari. Del resto, che la
legge si riferisca alle parti e ai loro difensori e non al giudice, lo si deduce dal secondo alinea
del primo comma dell’art. 1 della I. n. 742 del 1969, il quale stabilisce che quando il decorso
del termine abbia inizio “durante il periodo feriale”, l’inizio stesso è differito alla fine di tale
periodo. E siccome emblematico della situazione è il diritto di impugnazione e il relativo
termine, se questo può avere inizio in periodo feriale, ciò vuol dire che in tale periodo non è

Né ha rilievo l’argomento circa l’intangibilità del periodo feriale dei magistrati: anche se la
legge sulla sospensione dei termini e le disposizioni sulle ferie dei magistrati
dell’ordinamento giudiziario hanno dei punti di contatto, perché unitari sono i criteri che ad
esse presiedono, da ciò non può dedursi alcuna conseguenza, perché le due discipline
operano in ambiti diversi.
Preso atto della tardività del ricorso, va anche disattesa la prospettazione difensiva che
aspira ad una restituzione in termini, giacché non costituisce causa di forza maggiore o caso
fortuito l’inconsapevolezza del risalente e consolidato orientamento giurisprudenziale.
2. Per completezza va rilevato che sono, del pari, inammissibili per manifesta infondatezza i
motivi di ricorso, in quanto, seguendo l’ordine delle censure formulate: a) la motivazione
della sentenza impugnata, che ha escluso anche la provocazione putativa, alla luce delle
dichiarazioni rese dall’imputato, quanto alla correttezza del comportamento dei militari che
operavano il controllo, non palesa alcuna manifesta illogicità; b) secondo l’orientamento già
espresso da questa Corte (Sez. 5, n. 43174 del 04/10/2012, Iachini, Rv. 253750), il potere
del giudice nel riconoscere l’idoneità della riparazione, quale causa d’estinzione del reato,
non può spiegarsi oltre i requisiti oggettivi previsti dall’art. 35 del D.Lgs. n. 274 del 2000, tra
i quali vi è quello dell’anteriorità della riparazione rispetto all’udienza di comparizione, limite
che costituisce sbarramento superabile solo dal provvedimento con cui lo stesso giudice
disponga eventualmente la sospensione del processo per consentire all’imputato, che ne
abbia fatto richiesta, di porre in essere le condotte riparatorie (Sez. 4 n. 12856 del 19 marzo
2010, Mizigoi, rv 247032); in ogni caso, che del tutto ragionevole appare l’ulteriore
argomentazione del giudice d’appello, quanto alla non esaustività della condotta riparatoria
concretatasi nella mera formulazione delle scuse; c) la richiesta di un risarcimento in forma
specifica può provenire, ai sensi dell’art. 2058 cod. civ., dal danneggiato e non essere
imposta a quest’ultimo; inoltre, le censure concernenti l’ammontare del risarcimento sono
prospettate in relazione agli artt. 132 e 133 cod. pen. e comunque a profili che non
attengono alla determinazione del ristoro, ma alle conseguenze penali del fatto; d) del tutto
generica è la critica che investe l’ammontare delle spese legali liquidate.
3. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa

2

sospeso il termine per la redazione delle sentenze.

delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo
determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 18/02/2014

Il Presidente

Il Componente estensore

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