Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9876 del 18/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9876 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DUPRE’ JEAN PIERRE N. IL 01/03/1932 01_
avverso la sentenza n. 3348/2006 CORTE APPELLO di MILANO, del
06/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per A, i 7A~.¢.. 4.A”. P”. • s k.• L. 11.47′

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Udit. ddifensoreAvv. F,
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Data Udienza: 18/02/2014

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 06/11/2012 la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione di
primo grado che aveva affermato la responsabilità di Jean Pierre Duprè, in relazione a fatti di
bancarotta patrimoniale per distrazione.
Al Duprè, in particolare, era contestato di avere, nella qualità di amministratore della Parasol
s.r.I., della Cocala s.r.l. e della Andrea Pfister s.r.I., dichiarate fallite dal Tribunale di
Vigevano in data 19/12/2000, distratto, in favore della Andrea Pfister Creazioni s.r.I., società
da lui stesso controllata di fatto, beni delle tre società (un immobile sulla costiera amalfitana,

ricevuti e comunque notevolmente inferiore al valore dei beni.
La Corte territoriale ha precisato: a) che la totalità delle quote delle tre società era detenuta
dalla capogruppo Andrea Pfister Limited, il cui pacchetto di controllo era detenuto dall’ing.
Marco Biglino; b) che, una volta dichiarato il fallimento delle tre società italiane ed ottenuta
dal giudice delegato l’autorizzazione alla promozione dei giudizi di revocatoria fallimentare, la
Andrea Pfister Creazioni s.r.I., prima che fossero iniziate le relative azioni, aveva retroceduto
alle rispettive procedure fallimentari il ramo d’azienda della Cocala s.r.l. e della Andrea
Pfister s.r.l.
2. Nell’interesse del Duprè è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti
motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali, in ordine alla sussistenza
dell’elemento oggettivo del reato, sottolineando che, secondo quanto era emerso dalle
deposizioni dei testi Piccardo e Rossi, la cessione delle aziende del gruppo Pfister non poteva
essere considerata fraudolenta in quanto rientrava in un generale piano di risanamento.
In particolare, si ribadisce che, nel corso delle trattative finalizzate all’individuazione di
soggetti interessati a rilevare le aziende e l’immobile, l’imputato era stato costretto a cedere
le attività delle società, al fine di evitare possibili interferenze dell’ing. Biglino e soprattutto la
prosecuzione dell’attività di depauperamento del patrimonio sociale, posta in essere da
quest’ultimo. Il progetto si era, infine, concretizzato con la disponibilità del gruppo Fin.Part.,
che aveva, però, deciso di effettuare l’acquisizione attraverso la procedura fallimentare, sia
perché la situazione economico-finanziaria era ormai compromessa, sia perché i rapporti con
il Biglino erano divenuti ingestibili. Per queste ragioni, la cessione delle aziende era
intervenuta ad un prezzo pari al valore stimato dal perito nominato dal giudice delegato del
Tribunale di Vigevano.
Il ricorrente aggiunge che gli originari contratti di cessione erano avvenuti ad un prezzo
determinato come somma algebrica tra l’attivo trasferito e il passivo costituito dai beni
aziendali. La considerazione delle passività scaturiva dal fatto che, altrimenti, in caso di
inadempimento della cedente, la cessionaria sarebbe stata esposta al rischio di dover pagare
i debiti, ai sensi dell’art. 2560 cod. civ.

1

il negozio di vendita sito a Milano e l’unità produttiva sita in Vigevano), per corrispettivi, mai

2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali in relazione all’elemento
soggettivo del reato, ribadendo che il fine perseguito dall’imputato era quello di
salvaguardare il patrimonio delle società, in vista del loro risanamento.

Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
Come puntualizzato dalle Sezioni Unite di questa Corte, è, infatti, inammissibile il ricorso per
cassazione proposto nell’interesse dell’imputato latitante dal difensore d’ufficio non iscritto
nell’albo speciale della Corte di cassazione, in quanto il mancato titolo abilitativo rende il

del latitante, che non sia legittimato a proporre ricorso per cassazione, può richiedere di
essere sostituito a norma degli artt. 97, comma 5, cod. proc. pen. e 30 disp. att. cod. proc.
pen.) (Sez. U, n. 24486 del 11/07/2006, Lepido, Rv. 233919; con riferimento all’imputato
irreperibile, v. Sez. 6, n. 40585 del 10/10/2008, Mouhib, Rv. 241338).
2. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa
delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo
determinare in euro 1.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma 11 18/02/2014

Il Componente estensore

Il Presidente

difensore privo di legittimazione a proporre l’impugnazione; d’altra parte il difensore d’ufficio

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