Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 986 del 18/07/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 986 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DE BERARDINIS SILVANA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LIVANAJ ALTIN N. IL 05/04/1988
avverso la sentenza n. 2662/2012 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
14/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVANA DE
BERARDINIS;

Data Udienza: 18/07/2014

RILEVATO IN FATTO:
-che con l’impugnata sentenza, in conferma, per quanto ancora d’interesse., di
quella di primo grado, tale LIVANA.I Altin fu ritenuto responsabile del reato di
violenza privata in danno di Versolato Federica, consistito, secondo l’accusa,
nell’aver costretto la donna, con minaccia di percosse, a consegnargli il suo telefono
cellulare, avendo l’intenzione di verificare quali messaggi fossero in esso contenuti;
-che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa
nell’essenziale, che non sarebbe stato validamente provato che la consegna
dell’apparecchio telefonico da parte della persona offesa all’imputato fosse stata
frutto di costrizione operata da quest’ultimo mediante minacce, risultando dalla
stessa deposizione della Versolato (con la quale l’imputato aveva in precedenza
intrattenuto un rapporto sentimentale), che la consegna era intervenuta con
l’accordo che l’apparecchio sarebbe stato restituito il giorno seguente e dovendosi
riguardare, d’altra parte, come poco verosimile che la donna avesse realmente
nutrito il timore di essere oggetto di percosse, dal momento che il fatto era avenuto
in un esercizio pubblico, alla presenza di più persone;
CONSIDERATO IN DIRITTO:
-che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto, pur sotto l’egida della pretesa
violazione di legge, le proposte doglianze appaiono dirette soltanto a rimettere in
discussione, in questa sede, la valutazione delle risultanze probatorie operata dalla
corte di merito, la quale ha più che ragionevolmente attribuito credito alle
dichiarazioni della persona offesa, sulla base delle quali era stata formulata
l’imputazione (originariamente di estorsione, poi derubricata in violenza privata);
dichiarazioni a proposito delle quali non risulta prospettata,nel ricorso,alcuna
oggettiva ragione di inattendibilità, tale non potendosi, all’evidenza, ritenere quella
che fa leva soltanto sul rilievo che il fatto sarebbe avvenuto in un locale pubblico ed
in presenza di più persone, quasi che tale circostanza dovesse escludere, di per sé, il
timore della persona offesa di essere oggetto di percosse; e ciò tanto più in quanto —
come risulta messo in luce nella sentenza impugnata — l’imputato era da poco uscito
dal carcere ed era stato in passato denunciato per molestie e minacce poste in
essere in danno della medesima persona offesa; circostanza, quest’ultima, a fronte
della quale non può valere l’affermazione, contenuta nel ricorso, secondo cu,non
sarebbe risultata l’esistenza di procedimenti penali a carico del Livanaj per reati del

dell’imputato, denunciando violazione dell’art. 610 c.p. sull’assunto, in sintesi e

genere anzidetto, trattandosi di affermazione puramente assertiva, non
accompagnata dalla benchè minima indicazione di elementi atti, se non a
dimostrarne il fondamento, quanto meno a suffragarne l’attendibilità (come,ad
esempio,la specificazione delle modalità con le quali fosse stata effettuata la ricerca
e l’arco di tempo preso in considerazione); nè, infine, si vede quale decisiva rilevanza
avrebbe potuto avere, in favore dell’imputato, il fatto che questi si fosse impegnato
(secondo quanto si afferma nel ricorso) a restituire l’apparecchio telefonico il giorno
rigorosamente logico, che la consegna dell’oggetto fosse stata comunque ottenuta
coartando la volontà della persona offesa;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo
di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo
stimasi equo fissare in euro mille;
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento nonché al versamento della somma di euro mille alla cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 luglio 2014
L’estensore

seguente, atteso che l’assunzione di un tale impegno non esclude affatto, sul piano

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