Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9857 del 20/01/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9857 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da : Chiavoni Mario, n. a Roma il 19/01/1958;

avverso la ordinanza della Corte d’Appello di Roma in data 10/07/2015;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale P. Filippi, che ha concluso per l’inammissibilità;

RITENUTO IN FATTO
1.

Chiavoni Mario

ha proposto ricorso nei confronti dell’ordinanza del

08/01/2015 con cui la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato inammissibile la
dichiarazione di ricusazione proposta nei confronti dei giudici Ianiello, Orfanelli e
Ippoliti, quali componenti del collegio del Tribunale di Roma nel procedimento
penale n. 689/13 nel quale Chiavoni è imputato per il reato ex art. 609 bis c.p..

2. Dopo avere ripercorso l’iter del processo, lamenta con un primo motivo la
violazione degli artt. 38, commi 2 e 3, e 41, comma 1, c.p.p. precisando che la

Data Udienza: 20/01/2016

dichiarazione di ricusazione è stata ritualmente presentata dall’imputato che la
ha personalmente formulata all’udienza del 30 marzo 2015 oralmente e
direttamente non appena la causa stessa di ricusazione è sorta. Il giorno
successivo la dichiarazione di ricusazione, formalizzata con atto scritto
contenente una più puntuale indicazione dei motivi e delle prove offerte, veniva
presentata nella cancelleria del giudice competente a decidere, ovvero la quarta

delegato al deposito e altra copia, comprensiva di attestazione di avvenuto
deposito presso la Corte d’appello, veniva depositata nella cancelleria della
decima sezione dibattimentale del Tribunale di Roma cui è addetto il collegio
ricusato. Deduce che in tal modo sono state rispettate tutte le prescrizioni
formali di cui all’art. 38, comma 3, ultima parte, c.p.p.. Il fatto che non risulti
dagli atti l’avvenuto deposito di copia della dichiarazione di ricusazione non può
essere imputato al ricorrente che ha provveduto a tale incombente, bensì alla
cancelleria della decima sezione dibattimentale che ha omesso di trasmettere la
copia dell’atto con attestazione dell’avvenuto deposito del 31 marzo 2015.

2.1. Anche il termine di legge per la presentazione della dichiarazione è stato
rispettato giacché non può condividersi il ragionamento dell’ordinanza impugnata
secondo cui la causa di ricusazione sarebbe sorta all’udienza del 3 febbraio 2015;
infatti, ciò che ha determinato un punto di rottura facendo sorgere la causa di
ricusazione, è stata la circostanza che il Tribunale, nonostante avesse appreso
della pendenza di un esposto disciplinare al C.S.M. con trasmissione anche alla
Procura della Repubblica presso il tribunale di Perugia, decidesse di non astenersi
sebbene sollecitato in tal senso dall’imputato.

3. Con un secondo motivo deduce violazione dell’art. 37, comma 1, lett. a), in
relazione all’art. 36, comma 1, lett. d) e art. 37, comma 1, lett. b), c.p.p.. In
particolare contesta l’assunto dell’ordinanza secondo cui non potrebbe ravvisarsi
inimicizia tra giudice e imputato per effetto di provvedimenti assunti nel corso
del procedimento o sulla base del trattamento riservato all’imputato ma
esclusivamente nell’ipotesi in cui vi siano rapporti personali conflittuali estranei al
processo. Rammenta infatti che in giurisprudenza è stato ritenuto che la
condotta endoprocessuale del giudice possa dar luogo a ricusazione allorché sia
indice di malafede, di vero e proprio abuso della funzione con una condotta che
presenti anomalie tali da non potere essere considerata altrimenti che come
manifestazione di grave inimicizia. Né rileva il fatto che l’inimicizia riguardi
soltanto l’atteggiamento del giudice verso la parte, non essendo richiesta che la
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sezione della corte d’appello di Roma, a mezzo di difensore specificatamente

stessa debba avere carattere reciproco. Nella specie il giudicante avrebbe
stravolto le regole e gli equilibri del processo accusatorio interrogando
direttamente i testimoni, ponendo domande suggestive, introducendo temi
estranei all’accertamento del reato e, quanto al rigetto della richiesta di legittimo
impedimento presentata il 3 febbraio 2015, procedendo a sentire i testimoni
della difesa in presenza di difensore d’ufficio non assolutamente a conoscenza

al contempo le altre parti processuali e creando una sostanziale disparità di
trattamento.

4. Con memoria in data 15/01/16, infine, il ricorrente ha ribadito le doglianze di
cui al ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il primo motivo è fondato pur non conducendo lo stesso, per quanto oltre,
all’accoglimento del ricorso.
Se, infatti, è indiscusso che sia onere del ricusante, secondo quanto
espressamente contemplato dall’art. 38, comma 3, c.p.p., depositare, a pena di
inammissibilità dell’istanza, nella cancelleria del giudice ricusato, copia della
dichiarazione di ricusazione (cfr., da ultimo, Sez. 6, n.48560 del 18 novembre
2009, Di Napoli, Rv. 245654), non è invece previsto da alcuna norma che il
ricusante abbia anche l’onere di dare dimostrazione al giudice competente a
decidere sulla ricusazione dell’assolvimento di tale compito (Sez. 6, n. 38860 del
28/09/2011, Copertino, Rv. 251051; Sez. 6, n. 42395 del 27/09/2013, Di Napoli,
Rv. 256683; Sez. 5, n. 13380 del 12/02/2014, Ibello, Rv. 260561). Va invero
condiviso il ragionamento posto alla base di tale indirizzo, da preferire, per tale
ragione, ad altro orientamento di questa Corte (segnatamente, Sez. 5, n. 42889
del 21 ottobre 2010, Tanzi, Rv. 248776), secondo cui, appunto, la legge
processuale impone alla parte solo l’obbligo di deposito e non anche quello di
documentare lo stesso, posto che la sua finalità è esclusivamente quella di
mettere il giudice ricusato nelle condizioni di avere tempestiva conoscenza delle
ragioni della ricusazione, ma non quella di consentire al giudice competente a
decidere sulla ricusazione di avere cognizione dei fatti oggetto della sua
decisione (così, appunto, Sez. 5, n. 13380 del 2014, cit.).
Sicché, nella specie, una volta appurato che in data 31/03/2015 il ricorrente
ebbe a depositare presso la cancelleria della decima sezione del Tribunale di
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dei fatti di causa, avrebbe arrecato un grave danno all’imputato avvantaggiando

Roma copia della dichiarazione di ricusazione (vedi allegato n.3 del ricorso),
appare erronea la decisione impugnata laddove la stessa ha ritenuto
inammissibile l’istanza di ricusazione in ragione, in primo luogo, del fatto che,
appunto, un tale adempimento (come visto, effettuato) non risultasse dagli atti.

6. La stessa decisione risulta, tuttavia, incensurabile con riguardo alle altre

formale appena considerato, condotto la Corte a ritenere comunque sempre
inammissibile la richiesta di ricusazione e ciò, da un lato, con riguardo alla
tardività di formulazione della richiesta stessa, e, dall’altro, con riguardo alla
sussistenza dei presupposti di merito legittimanti la richiesta di ricusazione.
Sotto il primo profilo, invero, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto di
individuare il dies a quo per la decorrenza del termine ex art. 38, comma 2,
c.p.p., nel giorno 03/02/2015, allorquando, infatti, il Presidente del collegio
ebbe, nel rigettare la richiesta di rinvio del dibattimento per legittimo
impedimento del difensore, a rivelare, come preteso dallo stesso ricorrente, e a
completamento di una condotta processuale ritenuta non equanime, un
atteggiamento ancora una volta connotato da parzialità ed avversione verso
l’imputato; né sarebbe invece possibile ritenere, come invocato dal ricorrente,
che il dies a quo coincida con il momento in cui lo stesso Tribunale, invitato ad
astenersi, non lo fece, non essendo possibile da ciò solo dedurre in alcun modo,
atteso che il rifiuto di corrispondere ad un invito del tutto atipico non può che
avere un significato neutro, un atteggiamento avverso o, per restare alla
specifica formula processuale utilizzata dal ricorrente, una ipotesi di “grave
inimicizia”. Di qui, pertanto, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale
anche in adesione a indirizzo consolidato di questa Corte (da ultimo, Sez.2, n.
9166 del 19/02/2008, Farruggio, Rv.239553), la conclusione che, alla data del
31/03/2015 di formulazione della ricusazione, il termine per la proposizione della
stessa era ormai ampiamente scaduto.
In ogni caso, quand’anche si ritenesse il contrario, sarebbe dirimente
l’argomento di merito speso dalla Corte a chiusura del complessivo percorso
motivazionale; l’ordinanza • impugnata ha infatti osservato che la situazione di
contrasto personale non potrebbe desumersi da atti o provvedimenti di natura
processuale (e, dunque, per tornare al caso di specie, neppure dalla costante
risoluzione degli incidenti processuali in senso sfavorevole all’imputato) ma
unicamente da situazioni o fatti esterni al processo; e tale conclusione è
indubbiamente corretta ove si ricordi come questa Corte abbia sempre
costantemente affermato che non sussiste l’ipotesi di inimicizia grave ove
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ragioni che hanno, autonomamente ed indipendentemente dal primo profilo

ravvisata in asserite violazioni di legge o in discutibili scelte operate dal giudice
nella gestione del procedimento, riguardanti aspetti interni al processo risolvibili
con il ricorso ai rimedi apprestati dall’ordinamento processuale perché detta
grave inimicizia rilevante come motivo di ricusazione deve sempre trovare
riscontro in rapporti personali estranei al processo e ancorati a circostanze
oggettive, e la condotta endoprocessuale può venire a tal fine in rilievo solo
quando presenti aspetti talmente anomali e settari da costituire momento

del 26/02/2010, Querci, Rv. 246557). E se è ben vero che, sempre questa Corte
ha precisato che la condotta endoprocessuale del giudice non impedisce la
ricusazione nell’ipotesi in cui la stessa sia indice di malafede, di dolosa
scorrettezza e di vero e proprio abuso della funzione da parte del giudice stesso,
che finisce così per abdicare al proprio ruolo di giudice terzo e imparziale, anche
in tal caso tali fatti sarebbero nient’altro che manifestazione di una grave
inimicizia che deve comunque maturare fuori dal contesto processuale; in altri
termini, dunque, la grave inimicizia dovrebbe comunque trovare ancoraggio in
dati di fatto concreti e precisi estranei alla realtà processuale, autonomi rispetto
a questa, che deve solo costituire un sintomatico momento dimostrativo – per
induzione – della sussistenza del citato presupposto di fatto rilevante per la
ricusazione (così Sez. 6, n. 316 del 19/01/2000, Previti, Rv. 215740).
7. In definitiva, dunque, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2016

Il Consi

dimostrativo di una inimicizia maturata all’esterno (da ultimo, Sez. 5, n. 11968

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