Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9857 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9857 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORRADETTI DOMENICA N. IL 19/02/1956
avverso la sentenza n. 1047/2009 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 15/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 17/01/2014

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
per l’imputata, l’avv. Umberto Richiello ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.

1.

Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello dell’Aquila riformava

parzialmente in punto di pena, confermando nel resto la decisione del Tribunale
di Teramo, sez. distaccata di Giulianova, del 26 maggio 2008, con la quale
Corradetti Domenica, all’esito di rito abbreviato, era condannata alla pena di
giustizia per il delitto di diffamazione aggravata e continuata in danno di Palestini
Fioravante. L’imputata, in due missive indirizzate rispettivamente al comune di
Giulianova ed alla capitaneria di porto di Pescara, aveva indicato il Palestini come
persona poco affidabile, nonché gravata da precedenti penali per traffico
internazionale di sostanze stupefacenti.
2. Contro la decisione propone ricorso per Cassazione l’imputata, con atto
sottoscritto personalmente, affidato a quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’articolo 606, lettera
C, in relazione all’art. 552, comma 3, cod. proc. pen., eccependo la nullità
dell’atto di citazione per mancato rispetto del termine a comparire di 60 giorni,
imposto dalla norma processuale. Non avendo la parte assistito al compimento
dell’atto, per non aver partecipato all’udienza dell’8 febbraio 2008, la nullità
poteva essere dedotta anche con l’impugnazione della sentenza di primo grado.
2.2 Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’articolo 606,
lettera C, in relazione agli artt. 129 cod. pen. e 157, 158 cod. proc. pen., per
essere maturato il termine di prescrizione di sei anni alla data del 15 marzo
2013.
2.3 Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell’articolo 606, lettera E,
cod. proc. pen., per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla tardività della querela, quantomeno con riferimento
alla prima delle due note diffamatorie, per essere stata presentata in data 6
novembre 2006, laddove la nota pervenne al comune di Giulianova il 12 luglio
2006.

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RITENUTO IN FATTO

La decisione impugnata si limita a richiamare la pronuncia di primo grado, pur a
fronte di censure precise e pertinenti.
2.4 Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione dell’articolo 606, lettera
B, cod. proc. pen., in relazione all’art. 595, comma 2, cod. pen., per avere la
Corte territoriale erroneamente qualificato l’attribuzione di un fatto determinato

dell’attribuzione di un fatto determinato il legislatore aggiunge un nuovo
elemento alla fattispecie base e ne determina la pena in maniera autonoma; ne
deriva una fattispecie autonoma e non aggravata, per cui l’elemento non può
essere oggetto di un giudizio di bilanciamento con eventuali attenuanti. Di
conseguenza il giudice avrebbe dovuto applicare la riduzione delle attenuanti
generiche partendo dalla pena base, pervenendo ad una pena più favorevole alla
ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Come correttamente osservato nella decisione impugnata, la violazione del
termine a comparire davanti al Tribunale, previsto in giorni sessanta dall’art.
552, comma terzo, cod. proc. pen., non determina la nullità assoluta del decreto
di citazione a giudizio, bensì una nullità generale di carattere intermedio,
rilevabile d’ufficio ex art. 180 cod. proc. pen. e deducibile, ex art. 182, comma
secondo, cod. proc. pen., dalla parte interessata all’osservanza della norma
violata, a pena di decadenza, prima dell’apertura del dibattimento (Sez. 5, n.
1765 del 28/11/2007, Panariti, Rv. 239097).
1.1 La nullità riguarda infatti il decreto di citazione a giudizio e non certo
l’udienza dibattimentale, come sostenuto dal ricorrente; trova dunque
applicazione l’art. 184 c.p.p., che al comma 1 dispone la sanatoria della nullità
della citazione (o di un avviso), se la parte compare, o ha rinunciato a
comparire, come appunto nel caso di specie.
1.2 Va anche considerato che il Tribunale ha definito il processo con rito
abbreviato e per consolidata giurisprudenza in tale procedimento speciale sono
deducibili e rilevabili solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità
cosiddette patologiche (Sez. 2, n. 19483 del 16/04/2013, Avallone, Rv. 256038;

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quale aggravante speciale. Secondo l’opinione della ricorrente, con la previsione

Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216246); di conseguenza
l’imputato non può far valere le nullità a regime intermedio attinenti agli atti
propulsivi e introduttivi del rito, perchè egli ha accettato di essere giudicato con
un rito in cui manca il segmento processuale dedicato alla trattazione e
risoluzione delle questioni preliminari (Sez. 6, n. 33519 del 04/05/2006,

essere giudicato con un rito le cui regole e articolazioni processuali escludono la
deducibilità di nullità a regime intermedio verificatesi nella fase anteriori, con
eccezione di quelle assolute, rilevabili in ogni stato e grado del procedimento ex
art. 179 cod. proc. pen..
Il fondamento normativo di tale soluzione è di sistema e trova espressione
nell’art. 183 cod. proc. pen., lett. a) che normativizza la sanatoria delle nullità
mediante la rinuncia per facta condudentia, la quale si configura nella esplicita e
consapevole richiesta di un rito governato da regole diverse rispetto a quelle
dell’ordinario dibattimento e la cui prima deroga è la mancanza del segmento
processuale dedicato alla trattazione e risoluzioni delle “questioni preliminari” ex
art. 491 cod. proc. pen.. Regola di sistema che non può che coinvolgere tutte le
questioni proponibili o, in ogni caso, dedotte e già decise negativamente
nell’udienza preliminare, cui la parte privata con la richiesta formulata nelle
stessa udienza e con le forme stabilite per gli atti che esprimono “consenso e
rinuncia” a diritti personalissimi, pone.
2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, poiché la prescrizione
del reato, il cui termine è stato più volte interrotto a norma dell’art. 160 cod.
pen., non era maturata alla data della sentenza di appello, ma deve ancora
perfezionarsi; il termine va indicato nel 12 aprile 2014, poiché ai 7 anni e sei
mesi del termine finale, calcolato ai sensi dell’art. 161, comma 2, cod. pen.,
vanno aggiunti 116 giorni (dal 6 aprile al 31 luglio 2009) per effetto dell’art. 5,
comma 8, del decreto legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito con modificazioni
dalla L. 24 giugno 2009, n. 77 (interventi urgenti in favore delle popolazioni
colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e
ulteriori interventi urgenti di protezione civile).
3. Il terzo motivo è inammissibile per genericità.
3.1 La ricorrente deduce che la prima nota pervenne al Comune di Giulianova il
12.7.2006, mentre la querela è stata presentata solamente il 6.11.2006,

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Acampora, Rv. 234392): la parte abdica alle nullità intermedie nel richiedere di

riproponendo la medesima doglianza proposta con l’atto d’appello e lamentando
che attraverso un mero richiamo della motivazione di primo grado la Corte
territoriale abbia omesso di pronunciare sul punto.
3.2 In realtà la motivazione della decisione del Tribunale era ampia ed articolata,
poiché, rispondendo alla medesima questione proposta in primo grado, rilevava

conoscenza delle frasi diffamatorie, che le furono riferite successivamente da
Corradetti Sonia, per cui solo da quel momento decorreva il termine per proporre
querela. Poiché l’onere della prova dell’intempestività della querela grava su chi
lo deduce e l’eventuale situazione di incertezza va risolta a favore del querelante
(Sez. 6, n. 35122 del 24/06/2003, Sangalli, Rv. 226327), la querela doveva
ritenersi tempestiva.
Nel riproporre ulteriormente la medesima questione il ricorrente non si confronta
con la motivazione della decisione impugnata (che a sua volta richiama quella di
primo grado), così come aveva già fatto con l’atto di appello, sotto questo profilo
anch’esso generico.
3.3 Un simile argomentare si traduce in una genericità del motivo, poiché
tradisce l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica
argomentata al provvedimento), posto che il provvedimento ora formalmente
impugnato, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di
fatto del tutto ignorato (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, in
motivazione). Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, infatti,
innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta,
poiché diversamente i motivi devono essere considerati non specifici ma
soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una
critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del
11/03/2009, Arnone, Rv. 243838; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv.
253849).
3.4 Va anche considerato che la tardività della querela, ai fini della sua
rilevabilità in sede di legittimità, deve risultare dalla sentenza impugnata ovvero
da atti da cui risulti immediatamente e inequivocabilmente il vizio denunciato,
senza necessità di una specifica indagine che, comportando l’accesso agli atti,

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che al momento della ricezione della missiva la persona offesa non era a

non è realizzabile dal giudice di legittimità (Sez. 5, n. 3214 del 17/10/2012 dep. 22/01/2013, Lanni, Rv. 254385).
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato, poiché è assolutamente pacifico
che il comma 2 dell’art. 595 configura un aggravante del delitto di diffamazione,
la cui ratio è da individuare nella maggiore attendibilità che la notizia acquista

precisa; pertanto, ai fini della sua sussistenza, non occorre che la condotta
venga descritta in tutti indistintamente gli aspetti che la caratterizzano, bastando
una specificazione che serva a rendere l’accusa più attendibile e quindi più
pregiudizievole per l’offeso (Sez. 5, n. 5559 del 25/03/1992, Montanelli, Rv.
190102).
5. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; alla declaratoria
di inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità
riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente: cfr. Corte
Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della
cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare
in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2014
Il consigliere estensore

Il Presidente

quando è corredata da riferimenti che la rendano (o sembrano renderla) più

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