Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9855 del 20/01/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9855 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da : Marchisa Gianfranco, n. a Cuneo il 20/12/1947;

avverso la ordinanza del Tribunale di Cuneo in data 10/06/2015;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale M. Di Nardo, che ha concluso per l’inammissibilità;

RITENUTO IN FATTO
1. Marchisa Gian Franco ha proposto ricorso nei confronti dell’ordinanza del
10/06/15 con cui il Tribunale del riesame di Cuneo ha rigettato la richiesta di
riesame avverso il decreto di perquisizione e sequestro probatorio di documenti
contabili e fiscali emesso dal P.M. per il reato di cui agli artt. 2 e 8 del d. Igs. n.
74 del 2000 con riguardo all’addebito di emissione di fatture per operazioni
inesistenti.

Data Udienza: 20/01/2016

2. Lamenta con un primo motivo la violazione dell’art. 253, comma 1, c.p.p. in
relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e 6 Cedu ovvero contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione. Lamenta in particolare che tra gli atti depositati per
il riesame non è stata inserita almeno la copia dei documenti in sequestro con
conseguente impossibilità, anche per il Tribunale (la cui motivazione sul punto è
quindi chiaramente congetturale), di controllare che gli stessi fossero corpo del

3. Con un secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 2 e 8 del d.lgs. n. 74
del 2000 e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione. In particolare l’ordinanza impugnata non consente di comprendere
esattamente il fatto concreto ascritto all’imputato, con i conseguenti riflessi in
ordine alla necessaria natura pertinenziale delle cose in sequestro, tanto più
essendo enunciata una ipotesi concorsuale incompatibile con gli artt. 2 e 8 giusta
quanto previsto dall’art. 9 del d.lgs. cit.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4.

Con il primo motivo di ricorso si lamenta che la mancanza di copia dei

documenti in sequestro avrebbe reso impossibile anche allo stesso Tribunale la
valutazione della natura pertinenziale degli stessi rispetto al reato contestato.
Va anzitutto premesso che non viene in rilievo, nella specie, la questione in
ordine alla necessità della trasmissione al Tribunale del riesame degli “atti su cui
si fonda il provvedimento oggetto di riesame” di cui al comma 3 dell’art. 324
c.p.p. e la cui mancanza determinerebbe, ai sensi del comma 7 (per il tramite
del richiamo al comma 10 dell’art. 309 c.p.p.), previa valutazione del grado di
rilevanza degli stessi, la inefficacia della misura (Sez. U., n. 25932 del
29/05/2008, Ivanov, Rv. 239699) posto che la documentazione di cui viene
lamentato il mancato deposito in copia non è documentazione che, fondando il
fumus del reato addebitato, ha determinato l’adozione del decreto di sequestro,
ma l’oggetto stesso di quanto appreso per effetto del provvedimento.
Ed in effetti il ricorrente fonda il proprio assunto sulla violazione dell’art. 253
c.p.p. in ordine alla mancanza, nella specie, dell’elemento pertinenziale
necessario per reputare legittimo il sequestro.
Sotto tale profilo, però la doglianza è manifestamente infondata atteso che,
come sostanzialmente affermato anche dal Tribunale, la natura contabile ed
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reato o cose pertinenti al reato.

extracontabile, ivi comprese le fatture, dei documenti emessi dalle società che
hanno apparentemente intrattenuto rapporti con il ricorrente, è di per sé
evidentemente sufficiente a fondare il collegamento della stessa con il reato
contestato che, nella specie, è, come detto, quello di emissione e ricezione di
fatture per operazioni inesistenti.

impugnata (si veda in particolare la pag.1) si comprende assai bene quale sia,
appunto, il fatto per cui si procede di qui dovendo, come già detto, ritenersi
correttamente affermata la natura pertinenziale dei beni sottoposti a sequestro.
Né sussistono elementi per ritenere, già nella presente sede cautelare,
configurabile la violazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 74 del 2000 che presuppone
logicamente l’identità delle fatture emesse rispetto a quelle utilizzate (ciò che
nella specie neppure il ricorrente asserisce sussistere).

6. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in
favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2016

DEPOSiTil-A N CANCELLEFIA

5. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato posto che dall’ordinanza

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