Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9855 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9855 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
HALILOVIC SILVANA N. IL 10/08/1985
avverso la sentenza n. 694/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del
03/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 17/01/2014

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Torino confermava la

Silvana, all’esito di rito abbreviato, era condannata alla pena di giustizia per il
delitto di furto pluriaggravato della somma di C 750, sottratta a Fregnan
Pierluigi, che la deteneva all’interno della tasca anteriore sinistra dei pantaloni.
2. Contro la decisione propone ricorso per cassazione l’imputata, con atto
sottoscritto dal difensore, avv. Roberto Brizio, con il quale deduce violazione
dell’articolo 606, lettera B e D, cod. proc. pen., in relazione all’art. 625, comma 1
n. 5, cod. pen., con riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante
delle più persone riunite.
2.1 La ricorrente deduce che, a dispetto della contestuale presenza all’interno
alla farmacia di tre donne, la dinamica del fatto, per come ricostruita in sentenza
sulla scorta delle prove, sembrava escludere la configurabilità dell’aggravante;
viceversa la Corte territoriale, in maniera del tutto apodittica e presuntiva,
afferma che le tre donne, già allontanate una prima volta dal farmacista in
mattinata, tornarono con lo specifico intento di indurre quest’ultimo ad
allontanarsi dal bancone, ad avvicinarsi a loro, così da potergli asportare il
denaro custodito nelle tasche dei pantaloni. Si evidenzia in proposito che
nessuna delle tre donne poteva essere al corrente del fatto che il farmacista
possedeva nelle tasche dei pantaloni una somma di denaro così cospicua; che
neppure dalla successiva ripartizione della somma di denaro fra le tre donne può
dedursi la comune volontà del fatto al momento della sua commissione; che la
ricorrente ha interesse all’esclusione dell’aggravante, anche se la stessa è stata
neutralizzata dalle circostanze attenuanti generiche, per il peggior trattamento
che verrebbe a subire in sede di esecuzione della pena a causa della
qualificazione del fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorso va dichiarato inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

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decisione del Tribunale di Torino del 5 ottobre 2011, con la quale Halilovic

1.1 Con esso, infatti, la ricorrente, da un lato si limita a riproporre acriticamente
questioni già proposte nei motivi appello e risolte in senso sfavorevole dalla
Corte d’appello di Torino, dall’altro prospetta censure di fatto, non consentite,
come è noto, in sede di legittimità.
1.2 Ed invero va dichiarato inammissibile, ai sensi del combinato disposto
dell’art. 581, comma 1, lett. C, e art. 591, comma 1, lett. C, cod. proc. pen., il

ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dai giudici del
gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici, ed anzi, meramente
apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso
la sentenza oggetto di ricorso.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo
per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di
correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste
a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni
del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità,
conducente, a norma dell’art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. c),
all’inammissibilità (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568;
Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838; Sez. 2, n. 19951 del
15/05/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109).
1.3 Allo stesso tempo attraverso i motivi di gravame, la ricorrente prospetta,
come si è detto, censure che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità
tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e
valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di Cassazione (Sez. 6, n. 36546
del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510). Non può non rilevarsi, infatti, come il
controllo del giudice di legittimità, anche dopo la novella dell’art. 606 cod. proc.
pen., ad opera della L. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di
deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralità di
motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che
attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica del
ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità,
come si è detto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e

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ricorso per Cassazione fondato, come nel caso in esame, su motivi che

valutazione dei fatti (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148).
La motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza
dell’aggravante delle più persone riunite è logica e congrua, poiché fondata sulle
modalità del fatto, che depongono nel senso dell’affermazione del concorso: le
tre donne entrarono insieme nella farmacia; tutte e tre le donne fuggirono,
immediatamente dopo la sottrazione della somma di denaro; la somma

compendio del furto fu immediatamente diviso tra le tre complici.
2. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; alla declaratoria
di inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità
riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente: cfr. Corte
Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della
cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare
in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2014

recuperata all’imputata fu solo una quota, pari a 1/3 del totale sottratto, poiché il

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