Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9853 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9853 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STANCO ROCCO N. IL 28/10/1974
nei confronti di:
DEIANA MASSIMO N. IL 17/01/1959
avverso la sentenza n. 1219/2012 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 05/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 17/01/2014

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
per l’imputato è presente l’avv. Francesco Gambardella, il quale chiede
dichiararsi l’inammissibilità e, in subordine, il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Carabinieri, all’esito di rito abbreviato, era condannato per il delitto di violenza
privata in danno di Stanco Rocco, perché con minaccia verbale
costringeva la vittima a ricevere la notifica del trasferimento d’ufficio adottato
nei suoi confronti dal comando dei Carabinieri Regione Calabria, su richiesta del
tenente Conforti, il quale, in stato di concitazione, aveva comunicato che il
Carabiniere Stanco urlava e dava in escandescenze, che non voleva ricevere
l’atto e che cercava il contatto fisico.
2. Propone ricorso per cassazione la parte civile Stanco Rocco, con atto
sottoscritto dal difensore, avv. Enrico Cicchetti, con il quale deduce violazione
dell’art. 606, lettera E, cod. proc. pen., per mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, in relazione ad omessa valutazione di
circostanze acquisite agli atti.
Il ricorrente contesta la motivazione della decisione di appello, dalla quale
emerge che la parte civile avrebbe tenuto un comportamento sfasato, in stato di
visibile alterazione e che per questo la minaccia d’arresto dell’imputato nei suoi
confronti sarebbe stata diretta a fronteggiare il suo comportamento e non a
coartare la volontà di sottoscrivere la notifica del provvedimento di trasferimento
per incompatibilità ambientale. A giudizio del ricorrente, da una serie di atti e
documenti acquisiti (verbale del 3 dicembre 2008 di s.i.t. rese dalla persona
offesa; verbale del 26 novembre 2008 di interrogatorio dell’imputato; consulenza
del dottor Montesanti di trascrizione della registrazione vocale del fatto,
costituente prova documentale di quanto avvenuto; schede valutative del 25
novembre 2005 e del 24 gennaio 2007) emergerebbe una ricostruzione dei fatti
del tutto incompatibile con quella operata in sentenza, poiché lo Stanco non
avrebbe mai dato in escandescenze, ma avrebbe solamente espresso il desiderio
di andar via, essendo libero dal servizio e l’imputato lo avrebbe minacciato di
arresto e di provvedimenti disciplinari allo scopo di perfezionare la notifica. Il
ricorrente rileva inoltre che la sentenza non ha valutato la circostanza che fu il
dott. Saeli, magistrato che il colonnello contattò telefonicamente, a suggerire di

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1. Con sentenza del 13 aprile 2010 Deiana Massimo, tenente colonnello dei

fare riferimento ad un suo comportamento sfasato dello Stanco e di richiedere
l’intervento dell’ufficiale medico, dottor Crupi, per procedere a visita medica.
Altro punto della sentenza censurato è quello in cui si fa riferimento a valutazioni
professionali di insufficienza del ricorrente, che all’epoca dei fatti non erano
ancora intervenute e che invece costituiscono una mera attuazione delle minacce
perpetrate dall’imputato.

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Poiché le censure riguardano la mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione della decisione impugnata e l’omessa valutazione di
circostanze acquisite agli atti, è utile fare una premessa in ordine alla deducibilità
del vizio di motivazione innanzi alla Corte di cassazione.
1.2 Ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E, il
controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei
fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che
il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:
1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno
determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Sul punto va ancora precisato che l’illogicità della motivazione, censurabile a
norma dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), può essere solo quella
“evidente”, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, in quanto
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto. Infatti il sindacato demandato alla Corte di Cassazione, si limita al
riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Deve
inoltre aggiungersi che il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione deve
risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo
apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica
“rispetto a sè stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla
conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura
soltanto se manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della
logica.
1.3 I termini della questione non paiono mutati neppure a seguito della nuova
formulazione dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), intervenuta a

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CONSIDERATO IN DIRITTO

seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, laddove si prevede che il sindacato del
giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato
deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia “effettiva” e
non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che
il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia
“manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da
argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della

insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile”
con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente
nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o
radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di Cassazione, non è
consentita – in sede di controllo della motivazione – una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal
giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa; un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti,
la Corte nell’ennesimo giudice del fatto. La Corte, anche nel quadro nella nuova
disciplina, è e resta giudice della motivazione.
1.4 In questa prospettiva, il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche
attraverso gli “atti del processo” rappresenta null’altro che il riconoscimento
normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto
“travisamento della prova”. Si tratta di vizio in forza del quale la Corte, lungi dal
procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle
prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare
se il relativo contenuto è stato veicolato o meno, senza travisamenti, all’interno
della decisione. In questa prospettiva, per chiarire, si può apprezzare il
travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il suo
convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, il testimone indicato in
sentenza non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da
quello reale. Mentre, giova ribadirlo, non spetta comunque alla Corte di
cassazione “rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato
apprezzato dal giudice di merito, giacché attraverso la verifica del travisamento
della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli
elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se
ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi, nel senso

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logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero sia esente da

della presente motivazione.
2. Nel caso di specie il ricorrente lamenta un travisamento della prova, con
riferimento ad un verbale di s.i.t. della persona offesa ed alla registrazione del
colloquio tra il Deiana e lo Stanco, oggetto di perizia, ma tale deduzione
all’evidenza sollecita una rivalutazione del risultato probatorio.
A fronte di tali doglianze, si riscontra una motivazione tutt’altro che illogica ed
anzi approfondita, congrua e logica, laddove si esclude qualsiasi coartazione

comportamento dell’imputato va contestualizzato: la parte civile rifiutava
pretestuosamente la notifica di un trasferimento d’ufficio, in assenza di
condizioni legittimanti deroghe all’osservanza dell’ordine e nella condotta
dell’imputato non si rinvengono intimidazioni o coartazioni, ma solo espressioni
ricollegate al comportamento oppositivo dello Stanco, già assunto nei confronti
del tenente Conforti, che aveva richiesto l’intervento del superiore gerarchico per
fronteggiare una situazione che stava degenerando.
Anche il riferimento alle valutazioni di professionalità negative non è operato
come fatto storico già intervenuto al momento dei fatti, ma come elemento di
conferma (sia pure successivo) del contegno scorretto tenuto dallo Stanco.
3. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; alla declaratoria
di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità
riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte
Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della
cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare
in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2014
Il consigliere estensore

Il Presidente

ingiustificata o gratuita nell’agire dell’imputato e si chiarisce che il

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