Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9847 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9847 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Ndiaye Amar, nato a Ndiare (Senegal) il 05/04/1966

avverso la sentenza emessa il 16/05/2012 dalla Corte di appello di Catania

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata, per sopravvenuta prescrizione del reato contestato

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Amar Ndiaye ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe,
recante la conferma della sentenza di condanna del predetto imputato, emessa
dal Tribunale di Catania il 24/01/2007, alla pena di mesi 2 di reclusione ed euro
100,00 di multa (per il delitto di cui all’art. 474 cod. pen., essendo lo Ndiaye

Data Udienza: 16/01/2014

stato colto nell’atto di detenere ed esporre per la vendita 509 oggetti recanti
marchi contraffatti od alterati).
Il ricorrente deduce:
1. manifesta

illogicità

della motivazione, laddove l’ipotesi del falso

grossolano (evocata nei motivi di appello) risulta esclusa in termini
generici, riferiti a capi di abbigliamento con marchi prestigiosi, senza
tenere conto che nella fattispecie concreta il materiale sequestrato
consisteva soltanto in «occhiali in plastica e cinture di cartone, con
In ogni caso, viene

sollecitata la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione,
maturata prima del deposito della sentenza oggi impugnata;
2. carenza di motivazione su alcune istanze subordinate avanzate nei motivi
di appello, concernenti la sostituzione della pena detentiva e la
rateizzazione della conseguente sanzione pecuniaria (la Corte territoriale
avrebbe solo indicato la congruità della pena inflitta, senza soffermarsi in
alcun modo sui profili anzidetti, meritevoli di una specifica disamina anche
perché le precarie condizioni economiche dell’imputato non sarebbero
state comunque ostative alla sostituzione richiesta).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile.
1.1 Il primo motivo di ricorso attiene al merito degli addebiti, e deve
intendersi comunque manifestamente infondato, atteso che – per consolidata
giurisprudenza di legittimità – «integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen.
(introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi), la detenzione
per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto; né, a tal fine, ha rilievo la
configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che l’art.
474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione
dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei
marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti
industriali e ne garantiscono la circolazione. Si tratta, pertanto, di un reato di
pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e
nemmeno ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della
contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che
gli acquirenti siano tratti in inganno» (Cass., Sez. V, n. 31451 del 05/07/2006,
Gningue, Rv 235214).

2

impresse parole che ricordano varie griffes».

1.2 Quanto alle doglianze di cui al secondo motivo, vero è che «la richiesta
di sostituzione della pena detentiva avanzata dall’imputato impone al giudice di
motivare le eventuali ragioni di diniego» (Cass., Sez. I, n. 25833 del
23/04/2012, Testi, Rv 253102): tuttavia, nel caso di specie, l’istanza de qua – al
pari di quella concernente la rateizzazione della pena pecuniaria – risultava
formulata in termini del tutto generici e senza alcuna indicazione delle ragioni
che avrebbero dovuto portare il giudice di merito ad una decisione di
accoglimento. Nell’atto di appello si legge infatti quanto segue: «si chiede,

aumento ex art. 81 cpv., e la sostituzione della pena detentiva in pena
pecuniaria ai sensi degli artt. 53 e segg. I. n. 689/1981 e, solo in tale ultimo
caso, senza il beneficio della sospensione condizionale, che si chiede venga
applicata in caso di pena detentiva, e la rateizzazione della pena pecuniaria ai
sensi dell’art. 133-ter cod. pen.». A fronte di un motivo di gravame privo del
doveroso carattere di specificità, e perciò da ritenere inammissibile, la Corte
territoriale non aveva l’obbligo di procedere ad una compiuta disamina della
questione prospettata (v., ex plurimis, Cass., Sez. III, n. 8851 del 25/05/1982,
Garraffo).

2. Non è pertanto possibile ritenere maturata la prescrizione del reato
addebitato al ricorrente. La causa estintiva, in vero, risulta essersi perfezionata
il 03/03/2013 (dovendosi tenere conto di mesi 4 e giorni 5 di sospensione dei
termini, a seguito di rinvii disposti nel giudizio di appello), ergo dopo la sentenza
di secondo grado; tuttavia, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, un
ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per
altra ragione, «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.» (Cass., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De
Luca, Rv 217266, relativa appunto ad una fattispecie in cui la prescrizione del
reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; v.
anche, negli stessi termini, Cass., Sez. IV, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi).

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dello Ndiaye al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

3

pertanto, l’applicazione della pena sino al minimo edittale con un minimo

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 16/01/2014.

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