Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9846 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9846 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Carmellini Vincenzo, nato a Roma il 24/05/1946
avverso la sentenza emessa il 25/06/2012 dalla Corte di appello di Roma
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata, per sopravvenuta prescrizione del reato contestato

RITENUTO IN FATTO

I difensori di Vincenzo Carmellini ricorrono avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza di condanna del predetto
imputato, emessa dal Tribunale di Velletri il 20/10/2009, per il delitto di furto
aggravato, in ipotesi commesso 1’08/10/2005: all’imputato, condannato in primo
grado alla pena di mesi 9 di reclusione ed euro 500,00 di multa per avere

Data Udienza: 16/01/2014

sottratto presso un cantiere quattro spezzoni di rotoli di guaina e quattro pali in
legno, veniva concessa dalla Corte territoriale l’attenuante ex art. 62 n. 6 cod.
pen., con conseguente riduzione del trattamento sanzionatorio a mesi 6 di
reclusione ed euro 300,00 di multa. I giudici di appello non accoglievano invece
i motivi di gravame concernenti la ravvisabilità nella fattispecie concreta
dell’ipotesi prevista dall’art. 626 cod. pen. e l’applicabilità dell’ulteriore
diminuente correlata alla speciale tenuità del danno cagionato alla persona
offesa.

1. violazione dell’art. 626 cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in ordine
alla mancata derubricazione dell’addebito quale furto d’uso, ovvero furto
lieve per bisogno
I difensori del Carmellini segnalano che le osservazioni della Corte di
appello circa l’impossibilità di qualificare il fatto ai sensi dell’art. 626,
comma primo, cod. pen. non sarebbero dirimenti, essendo fondate sulla
mera presa d’atto della mancata prova dell’intenzione del prevenuto di
restituire la refurtiva subito dopo il momentaneo utilizzo; peraltro, i
giudici di merito risultano avere contraddittoriamente riconosciuto
spessore alla restituzione volontaria della refurtiva da parte dell’imputato,
avvenuta nell’immediatezza e considerata rilevante ai fini della attenuante
di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. (ritiene la difesa che «il prevenuto non
avrebbe restituito immediatamente la merce agli agenti operanti, se
avesse voluto compierne una definitiva sottrazione e ne avesse voluto
trarre profitto», tanto più che senza la sua indicazione il rinvenimento dei
beni non sarebbe stato possibile).
Parimenti contraddittoria dovrebbe ritenersi la negata derubricazione
nell’ipotesi del furto lieve per bisogno, basata sul difetto di prova di uno
stato di miseria o dell’esistenza di un altrimenti grave ed immediato
pericolo, ove si consideri che nella stessa sentenza di appello si ricorda
come l’abitazione del Carmellini si mostrasse visibilmente fatiscente
2. violazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà
e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in
ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dalla suddetta
norma
Nell’interesse del ricorrente si evidenzia che la Corte di appello avrebbe
escluso l’attenuante ora richiamata non essendovi prova certa in ordine al
valore della refurtiva, pur avendo il giudice di prime cure dato atto che i
militari operanti avevano rappresentato come detto valore “non doveva

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Con l’odierno ricorso si deduce:

essere notevole”: in presenza di siffatti elementi di dubbio, però, la
conclusione avrebbe dovuto essere favorevole al reo, in applicazione dei
principi generali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve reputarsi inammissibile.

avrebbe dovuto intendersi ravvisabile, nel caso di specie, un mero furto d’uso:
basti rilevare, a riguardo, che la Corte territoriale rappresenta come l’imputato
avesse esposto – anche in sede di impugnazione avverso la sentenza di primo
grado – di aver voluto utilizzare il materiale trafugato per impiegarlo nella
ristrutturazione della propria abitazione, così escludendo in radice la prospettiva
di una restituzione immediata dopo l’uso. Inoltre, la determinazione del
Carmellini di restituire quanto i Carabinieri non avrebbero trovato non espresse
la sua volontà di rendere all’avente diritto beni di cui intendeva fare un uso
momentaneo, ma solo quella di riparare o ridurre un danno già definitivamente
cagionato: la scelta di consentire quel rinvenimento fu perciò indice di
resipiscenza sopravvenuta, al legittimo fine di migliorare la propria posizione
dopo che gli era stata mossa contestazione del reato poco prima commesso
(dall’analisi della sentenza di primo grado, emerge infatti che il ricorrente fu
individuato come proprietario dell’auto a bordo della quale gli autori del furto
erano stati visti allontanarsi, ed è per questo che la polizia giudiziaria si recò
presso di lui).
Quanto all’ipotesi di un furto commesso in condizione di bisogno o per stato
di necessità, va considerato che la definizione di una casa come “fatiscente”
(espressione utilizzata dal sottufficiale inizialmente escusso come teste, che riferì
di un domicilio del Carmellini “meritevole quanto meno di una ristrutturazione”)
non può riguardare in alcun modo la condizione dell’edificio in punto di sicurezza
o di stabilità.
1.2 A proposito del valore dei beni sottratti, deve ritenersi manifestamente
infondata anche la censura mossa nell’interesse del ricorrente sulla pretesa
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata: deve infatti
prendersi atto che la Corte di appello rileva non esservi prova «che il valore della
refurtiva e, quindi, il conseguente danno procurato alla parte offesa fosse di
speciale tenuità, ossia di rilevanza minima», mentre il Tribunale aveva segnalato
quanto dichiarato dai militari operanti, secondo cui il valore della merce era
verosimilmente “non notevole”.

Ergo, il fatto che si trattasse di un valore non

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1.1 Manifestamente infondata appare infatti la tesi difensiva secondo cui

elevato non poteva comportare ipso facto che fosse economicamente minimo:
dall’unico compendio motivazionale ricavabile dalla due pronunce di merito
emerge la prova che il danno procurato alla persona offesa non fu rilevante, ma
non – come necessario ai fini della ravvisabilità dell’attenuante invocata, e come
pure la difesa avrebbe potuto cercare di dimostrare – di speciale tenuità.

2. Non è pertanto possibile ritenere maturata la prescrizione del reato
addebitato al ricorrente. La causa estintiva, in vero, risulta essersi perfezionata

dovendosi applicare il disposto di cui all’art. 157 cod. pen. nel testo previgente la
novella del 2005, quale norma di maggior favore), ergo dopo la sentenza di
appello; tuttavia, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, un ricorso per
cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra
ragione, «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.» (Cass., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De
Luca, Rv 217266, relativa appunto ad una fattispecie in cui la prescrizione del
reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; v.
anche, negli stessi termini, Cass., Sez. IV, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi).

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del Carmellini al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 16/01/2014.

1’08/04/2013 (non risultando cause di sospensione dei relativi termini, e

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