Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9845 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9845 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Venturoni Stefania, nata a Roma il 19/01/1954
avverso la sentenza emessa il 12/12/2011 dalla Corte di appello di Roma
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata, per sopravvenuta prescrizione del reato contestato;
udito per la ricorrente l’Avv. Claudio Giannelli, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata, in
subordine la declaratoria di prescrizione del reato addebitato alla propria assistita

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma, in data 12/12/2011, confermava la sentenza
emessa il 25/09/2009 dal Tribunale della stessa città nei confronti di Stefania

Data Udienza: 16/01/2014

Venturoni, condannata in primo grado alla pena di mesi 4 di reclusione (oltre che
al pagamento delle spese processuali) per il reato di bancarotta semplice
documentale, in ipotesi commesso in relazione alla gestione della Fornoitalia 1
s.r.I., di cui l’imputata era stata amministratore unico.
La Corte territoriale disattendeva i motivi di appello afferenti ipotesi di nullità
della sentenza di primo grado a causa della omessa o comunque irrituale
citazione dell’imputata: secondo la difesa, non si era provveduto a ricercare la
Venturoni presso il domicilio da lei eletto (in Sacrofano, Via Pioggio degli Ulivi

snc), dove era risultata non reperibile. I giudici di appello consideravano invece
legittima la successiva notifica del decreto di citazione presso il difensore, stante
l’inidoneità del domicilio eletto, da intendersi appunto in Via Poggio degli Ulivi
come poteva desumersi dall’intestazione del verbale di elezione; aggiungevano
che «l’indicazione della parola “Pioggio” al posto di quella, corretta, “Poggio”,
apposta alla terz’ultima riga del verbale della predetta elezione di domicilio, è
frutto di un evidente mero errore materiale, inidoneo, dato il tenore letterale
delle due parole, a ingenerare errori (in Sacrofano non risulta, comunque,
esservi una Via Pioggio degli Ulivi)». Doveva poi riconoscersi rilievo alla
circostanza che l’imputata, nel luogo anzidetto, era stata attestata come
“irreperibile” e non semplicemente assente in via momentanea, il che rendeva
corretto il ricorso alla procedura ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen.
Nel merito degli addebiti, la Corte di appello segnalava che la sentenza del
Tribunale aveva dato atto della veste della Venturoni, quale amministratore
unico della società fallita, in forza di una ben determinata delibera: affermazione
che la difesa si era limitata a contestare in termini generici, peraltro
aggiungendo nei motivi di appello l’argomento secondo cui l’imputata si era
trovata a subire le decisioni societarie senza neppure comprenderne le
implicazioni in termini giuridici (da intendere, secondo la Corte territoriale, nel
senso che ella si era trovata dinanzi ad un amministratore di fatto, verso il cui
operato avrebbe comunque dovuto manifestare dissenso per non trovarsi
esposta come diretta responsabile). Nella motivazione della sentenza si
richiamava infine l’interpretazione giurisprudenziale di legittimità circa la
rilevanza penale delle condotte di bancarotta semplice sia se commesse con dolo
che a titolo di colpa.

2. Propone ricorso per cassazione il difensore della Venturoni, deducendo
sette motivi.
2.1 Con il primo, la difesa ribadisce le censure già mosse in punto di ritualità
della notifica del decreto di citazione a giudizio nel processo di primo grado,

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snc), bensì in un luogo da ritenere distinto (Sacrofano, Via Poggio degli Ulivi

rappresentando che la Venturoni aveva eletto domicilio in Sacrofano, Via Pioggio
degli Ulivi snc; l’osservazione dei giudici di appello, circa la diversa indicazione
del recapito nell’intestazione del verbale, non sarebbe dirimente e dimostra anzi
carenza o contraddittorietà della motivazione, in quanto in detta intestazione si
dà atto che l’elezione riguarda un domicilio sito in Via Poggi – e non Poggio degli Ulivi: ergo, un luogo comunque differente da quello dove venne tentato di
rintracciare l’imputata.
2.2 Con il secondo e terzo motivo, nell’interesse della ricorrente si prospetta

all’omessa od irrituale citazione della Venturoni: la difesa rileva che l’inesistenza
di una Via Pioggio degli Ulivi in quel di Sacrofano sarebbe stata affermata dalla
Corte romana in termini del tutto apodittici, e che il vizio riguarda non soltanto la
prima udienza (del 14/11/2008) ma anche quella successiva (del 13/02/2009).
Ai fini dell’instaurazione del contraddittorio in quest’ultima occasione, infatti,
l’imputata ricevette la prescritta notifica presso il difensore, ma sulla base di una
condizione di irreperibilità puramente attestata nella cartolina postale, senza
darvisi atto di quali ricerche fossero state compiute: ne deriverebbe la nullità
della notificazione eseguita nelle forme di cui all’art. 161, comma 4, del codice di
rito, in difetto di elementi da cui poter realmente inferire che l’elezione di
domicilio de qua fosse da considerare inidonea. Ad ulteriore riprova dell’assunto,
aggiunge il difensore che «ad abundantiam deve segnalarsi come, nel caso di
specie, era già stata effettuata una notificazione in mani proprie all’imputata nel
medesimo indirizzo. Nei medesimi luoghi, infatti, ove veniva tentata la
notificazione, con esito negativo, del decreto di citazione a giudizio per l’udienza
del 14/11/2008, meno di sei mesi prima di detto tentativo di notifica veniva
notificato altro decreto di citazione a giudizio, per l’udienza del 30/04/2008, in
mani proprie della imputata signora Venturoni».
2.3 Con il quarto motivo, la difesa lamenta carenza assoluta di motivazione
in ordine al profilo di gravame che era stato comunque avanzato circa l’irrituale
modalità della citazione a giudizio, compiuta a mezzo posta e senza che – a
seguito della restituzione del piego raccomandato sulla base della presunta
irreperibilità della destinataria – l’ufficiale giudiziario del Tribunale di Tivoli,
delegato dalla cancelleria del giudice procedente per ragioni di competenza
territoriale, desse corso ad un tentativo di notificazione nelle forme ordinarie.
2.4 II quinto e sesto motivo sono dedicati alla censura della affermazione
della Corte territoriale, secondo cui il reato previsto dall’art. 217, comma
secondo, legge fall., sarebbe punibile anche a titolo di mera colpa,

dictum

contrario alla previsione generale ex art. 42 cod. pen., trattandosi di delitto: ad
avviso del difensore della ricorrente, il dato testuale della norma incriminatrice

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nullità del giudizio e della sentenza di primo grado, ancora in relazione

non consente pur impliciti richiami alla struttura della colpa, e va considerato che
lo stesso r.d. n. 267 del 1942, laddove intende sanzionare fattispecie delittuose
nella forma colposa, vi provvede espressamente (come nel caso di cui all’art.
220). La difesa esclude che l’elemento soggettivo possa ravvisarsi nella sola
inosservanza delle norme civilistiche che disciplinano l’obbligo della tenuta delle
scritture contabili, in quanto gli artt. 2214 e segg. cod. civ. non hanno natura
cautelare.
Inoltre, muovendo dalla insostenibile premessa della punibilità del delitto sia

nella fattispecie concreta, sia ravvisabile l’uno o l’altra: indicazione, al contrario,
di particolare rilievo ai fini della valutazione della gravità dell’addebito e
suscettibile di determinare eventuali effetti in tema di amnistia, abitualità,
professionalità o misure di sicurezza. L’omissione in argomento comporterebbe
pertanto l’impossibilità di un controllo sulla coerenza e ragionevolezza della
pronuncia.
2.5 Con il settimo ed ultimo motivo, si deduce mancanza della motivazione
in ordine ad ulteriori questioni proposte in sede di impugnazione avverso la
sentenza di primo grado, in particolare quanto alla inesistenza in atti di un
documento che dimostri la qualità di amministratore unico della società fallita, in
capo alla Venturoni, nel periodo indicato in rubrica. A tale riguardo, la pronuncia
oggetto di ricorso si limita a riportare un passo della motivazione del Tribunale in
cui si dà atto di una delibera del 07/04/1999, senza considerare che il
documento in questione non risulta acquisito al fascicolo processuale, e che i
testimoni escussi nulla avevano saputo dire circa l’effettiva assunzione della
carica da parte dell’imputata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile, sotto svariati profili.
1.1 Innanzi tutto, è pacifica l’inconsistenza degli elementi addotti – e che la
difesa torna a ribadire – circa la presunta necessità di distinguere fra Via Poggio,
o Pioggio, o Poggi, degli Ulivi. Al di là della intuitiva ragionevolezza di un errore
di battitura sia nell’intestazione (dove è scritto “Poggi”) che nella terz’ultima riga
(dove si legge “Pioggio”) del verbale di elezione di domicilio, è evidente che il
recapito dove si tentò di notificare alla Venturoni il decreto di citazione fosse
l’unico giusto ed esistente: Via Poggio degli Ulivi, senza numero civico.
Senza doversi soffermare sull’assurdità di ipotizzare che in un centro abitato
di modesta estensione possano esservi strade con nomi tanto simili, o dover

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per dolo che per colpa, i giudici di merito non avrebbero comunque precisato se,

prendere atto che, in italiano, la parola “pioggio” nulla significa, basta rilevare
che la Venturoni, in Via Poggio degli Ulivi, non solo elesse domicilio e
verosimilmente abitava di fatto, ma vi aveva tanto di formale residenza
anagrafica. Dal suddetto verbale, infatti, si evince con chiarezza che l’imputata
volle eleggere domicilio presso la propria residenza, indicata di qua con una
lettera di meno, di là con una di troppo.
Non solo: che quella fosse la residenza anagrafica dell’imputata è attestato
dalla stessa Venturoni con atto del 23/05/2006, depositato presso l’ufficio del

difensore di fiducia oggi proponente il ricorso, con tanto di autentica della firma
della ricorrente ad opera del legale.
Infine, è necessario rilevare che:
la difesa taccia di apoditticità l’assunto della Corte di appello secondo cui
in Sacrofano non vi sarebbe una Via Pioggio degli Ulivi, ma si astiene dal
documentare in positivo (come pure sarebbe agevole, in ipotesi) che una
strada così denominata esista davvero;
nel corpo dello stesso ricorso, in particolare con gli argomenti spesi a
sostegno del terzo motivo, si rinviene la inequivoca conferma che il reale
recapito dove la Venturoni avrebbe dovuto essere cercata era soltanto
quello di Via Poggio degli Ulivi. Il difensore evidenzia infatti che negli
stessi luoghi dove era stata tentata infruttuosamente la notifica per
l’udienza del 14 novembre 2008 (vale a dire, appunto, in Sacrofano, Via
Poggio degli Ulivi, mentre secondo la tesi oggi ribadita la si sarebbe
dovuta cercare in una fantomatica diversa via) la Venturoni era stata
effettivamente rintracciata, guarda caso, in occasione di una notifica
precedente.
Ne deriva, essendo l’imputata risultata non reperibile presso il domicilio
eletto, come da attestazione del pubblico ufficiale preposto alle attività di
notifica, la piena legittimità del conseguente ricorso alle forme dettate dall’art.
161, comma 4, del codice di rito.
1.2 Manifestamente infondata risulta la doglianza difensiva inerente la non
completezza delle ricerche della Venturoni, al fine di poterne affermare la
ricordata irreperibilità: ciò in quanto la regola dettata dall’art. 170, comma 3,
cod. proc. pen., secondo cui “qualora l’ufficio postale restituisca il piego per
irreperibilità del destinatario, l’ufficiale giudiziario provvede alle notificazioni nei
modi ordinari”, non vale quando la presa d’atto dello stato di non reperibilità del
soggetto da rintracciare rilevi immediatamente come prova della inidoneità di un
domicilio formalmente eletto. In altre parole, quando un imputato risulti
irreperibile presso un recapito risultante in atti, dove sia stata inutilmente

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P.M. procedente il successivo giorno 30, che conteneva la nomina dello stesso

tentata una notificazione a mezzo posta, si dovrà procedere nelle forme previste
dall’art. 157 cod. proc. pen., fino ad attivare l’iter per l’emissione di un decreto di
irreperibilità ai sensi del successivo art. 159: ma tale incombenza deve ritenersi
del tutto ultronea quando – in presenza di un domicilio eletto, e rivelatosi
inidoneo – ricorrano le condizioni di legge per provvedere alle notificazioni
presso il difensore dell’interessato.
1.3 Ancora manifestamente infondate debbono ritenersi le censure che il
difensore della ricorrente muove nei riguardi della ricostruzione dell’elemento

una pluriennale e consolidata giurisprudenza di legittimità insegna che ai fini
dell’integrazione del reato de quo «l’elemento soggettivo può indifferentemente
essere costituito dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente
ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture,
mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall’art. 216, comma
primo, n. 2, I. fall., l’elemento psicologico deve essere individuato nel dolo
generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle
scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle
vicende del patrimonio dell’imprenditore» (v.,

ex plurimis, Cass., Sez. V, n.

48523 del 06/10/2011, Barbieri, Rv 251709). Non vi è peraltro, nel caso di
specie, alcun dubbio da chiarire in ordine a quale fosse l’elemento psicologico
che – secondo i giudici di merito – avrebbe animato la condotta della Venturoni,
evidentemente da intendere in termini di colpa: la condanna inflitta risulta infatti
al minimo edittale, con riduzione piena per attenuanti generiche.
1.4 Identiche considerazioni debbono svolgersi quanto all’ultimo motivo di
ricorso: la manifesta infondatezza del preteso difetto di prova circa la qualità di
amministratore da riconoscere all’imputata deriva già dal contenuto dell’atto di
appello, dove a pag. 13 si dà atto che la Venturoni riferì al curatore (con
dichiarazioni che la stessa difesa segnala essere riportate nella relazione ex art.
33 legge fall., non contestate né ritenute inutilizzabili) che a seguito del
fallimento in proprio del precedente legale rappresentante, tale Molinari, ella fu
“costretta ad assumere l’incarico di amministratore unico”. Pertanto, al di là
della rilevanza della “costrizione”, la circostanza che la Venturoni diventò
comunque amministratore di diritto è pacifica.
Del tutto inconsistente è l’assunto difensivo secondo cui la ricorrente poté
ascrivere a se stessa per mero errore, non avendo particolari competenze, quello
status giuridico e formale, ove solo si consideri che nella relazione del curatore
versata in atti si segnala financo che «l’amministratore della società fallita,
signora Venturoni Stefania, ha fatto pervenire allo scrivente una proposta di
concordato fallimentare […], nella quale la stessa, in qualità di assuntore degli

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soggettivo necessario per la configurabilità del delitto di bancarotta semplice:

obblighi nascenti dalla proposta stessa, propone il pagamento integrale delle
spese di giustizia e dei creditori ammessi al passivo con privilegio e il pagamento
della percentuale del 25% dei crediti ammessi in chirografo».

2. Non è pertanto possibile aderire alle richieste del Procuratore generale,
che ha ritenuto essere maturata la prescrizione del reato addebitato all’imputata.
La causa estintiva, in vero, risulta essersi perfezionata il 30/01/2012, dopo la
pronuncia di secondo grado (dovendosi tenere conto di cause di sospensione dei

25); e, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, un ricorso per cassazione
inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, «non
consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto,
la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art.
129 cod. proc. pen.» (Cass., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266,
relativa appunto ad una fattispecie in cui la prescrizione del reato era maturata
successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; v. anche, negli stessi
termini, Cass., Sez. IV, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi).

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna della Venturoni
al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile
alla volontà della ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 16/01/2014.

relativi termini, nel corso del giudizio di merito, per complessivi mesi 5 e giorni

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