Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9844 del 16/01/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 9844 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BARI
CAPONE PIETRO N. IL 15/01/1965
nei confronti di:
MORETTI RAFFAELE N. IL 30/05/1960
avverso la sentenza n. 1958/2010 CORTE APPELLO di BARI, del
08/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
che ha concluso per

Udito, per la pa civile, l’Avv
Uditi difens e Avv.

Data Udienza: 16/01/2014

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. Oscar Cedrangolo, che ha concluso per l’annullamento con
rinvio.
Udito altresì per l’imputato l’avv. Luca Del Favero, in sostituzione dell’avv.
Michele Laforgia, che ha concluso per il rigetto del ricorso del Procuratore
generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari e per l’inammissibilità
del ricorso della parte civile.

1. Con sentenza deliberata il 30/03/2010, il Tribunale di Bari giudicava
Raffaele Moretti colpevole del reato di diffamazione a mezzo stampa perché, in
occasione di una trasmissione radiofonica del 12/01/2003, offendeva la
reputazione di Pietro Capone adombrandone la responsabilità in ordine ad
attività di lottizzazione abusiva dei propri terreni; l’imputato veniva condannato
alla pena di giustizia e al risarcimento del danno in favore della parte civile Pietro
Capone.
Con sentenza deliberata il 6 ottobre 2012, la Corte di appello di Bari, in
riforma della sentenza di primo grado, ha assolto Raffaele Moretti dal reato
ascrittogli perché il fatto non sussiste. Acquisiti alcuni documenti allegati all’atto
di appello dell’imputato, la Corte di merito rileva che l’unico passo dell’intervento
di Moretti al quale il Tribunale di Bari ha riconosciuto concreta valenza
diffamatoria è quello nel quale egli esprimeva giudizi sulla legittimità dell’attività
lottizzatoria di Capone, sicché deve essere accertato se le espressioni e i giudizi
stigmatizzati dalla sentenza di primo grado abbiano carattere offensivo della
reputazione dello stesso Capone.
La Corte di merito osserva poi che la natura politica del dibattitto radiofonico
al quale partecipò il vicesindaco Moretti non può essere fondatamente revocata
in dubbio, essendo priva di pregio la tesi del giudice di primo grado che
subordina tale connotazione all’appartenenza del soggetto in ipotesi diffamato al
ceto politico o alla sua partecipazione alla vita politica; al contrario, rileva che
quel dibattito aveva pacificamente per tema di discussione le ripercussioni del
procedimento penale a carico degli amministratori indiziati di abusi nell’iter di
approvazione del piano particolareggiato di Gravina, procedimento nell’ambito
del quale Capone aveva presentato opposizione alla richiesta di archiviazione, a
seguito della quale il giudice per le indagini preliminari aveva disposto
l’imputazione coatta: la notizia di tale esito del procedimento costituiva il tema
del dibattito radiofonico nel corso del quale Moretti aveva pronunciato le frasi
incriminate. In quel contesto, osserva la Corte di appello di Bari, Capone
2

RITENUTO IN FATTO

ricopriva un ruolo di protagonista del contrasto politico-amministrativo, in quanto
portatore di rilevanti interessi patrimoniali attinti dai provvedimenti
dell’amministrazione. La Corte di merito ritiene dunque incontestabile che il
Capone venisse percepito nella communis opinio come un facoltoso possidente
portatore di rilevanti interessi immobiliari in formale conflitto con quelli
rappresentati dall’amministrazione comunale.
Alla luce di tali dati di fatto, rileva la Corte di merito, il giudizio espresso
dall’imputato sulle intraprese del Capone non ha il benché minimo contenuto
intrinsecamente diffamatorio, non potendosi riconoscere nei giudizi espressi

… c’è un interesse collettivo e c’è un privato che ha fatto e strafatto quello che
ha voluto …” l’imputato ha descritto, con lessico inelegante, l’esorbitanza dai
canoni del ragionevole esercizio delle facoltà connesse al diritto di proprietà delle
iniziative lottizzatorie del Capone, stigmatizzandone la noncuranza per l’interesse
pubblico: ad avviso della Corte barese, l’evidenziare la disinvoltura
“imprenditoriale” (“strafare”) di chi sia noto nell’ambiente sociale come un
rentier non è concretamente lesivo del suo patrimonio morale, sostanziandosi in
una notazione meramente descrittiva di un modo di atteggiarsi tipico del pur
legittimo sfruttamento della proprietà fondiaria diffuso nel ceto sociale di
appartenenza di Capone, mentre la natura politica del contesto dialettico in cui
furono formulate le osservazioni critiche svuota i giudizi dell’imputato di ogni
eventuale residua ed astratta potenzialità offensiva, in quanto tali giudizi non
involgono il patrimonio morale dell’offeso, ma la “politicità” della sua azione
contro il Comune e gli amministratori di Gravina, costituendo pertanto
manifestazioni del libero confronto democratico, certamente lecite in quanto
obiettivamente non integranti un attacco gratuito alla sfera personale del
destinatario.
Anche il seguito della frase non esprime idoneità offensiva, posto che
l’imputato si è limitato ad esprimere l’opinione (“secondo me”) che l’attività
lottizzatoria di Capone non fosse confacente agli interessi pubblici sottostanti
(“non in linea con quello che dovrebbe essere fatto quando si fa una
lottizzazione”), sostanzialmente ritenendo che quest’ultimo avesse interpretato la
legge in modo da far prevalere i propri interessi patrimoniali sull’interesse
legittimo ad una ordinata pianificazione del territorio: del tutto infondata,
sottolinea la Corte di merito, è la lettura del giudice di primo grado, che ha
confuso la manifestazione di un giudizio con un’affermazione assertiva e ha
conferito arbitrariamente il valore di una censura di illiceità penale dell’attività
lottizzatoria ad una legittima valutazione negativa del merito urbanistico di tali
operazioni. Le affermazioni contestate all’imputato, osserva conclusivamente la

3

un’offesa al patrimonio morale e sociale dello stesso Capone. Con l’espressione”

Corte barese, non sono state neanche potenzialmente offensive della reputazione
del Capone, sicché Moretti deve essere assolto perché il fatto non sussiste.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Bari hanno proposto
ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso detta
Corte e, nell’interesse di Pietro Capone e agli effetti della responsabilità civile,
l’avv. Sergio Casareale, munito di procura speciale, articolando vari motivi di
seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

deduce erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione. La
sentenza impugnata ha assunto, quale criterio di verifica della sussistenza
dell’offesa alla reputazione del Capone, l’esercizio della critica politica e ha
affermato la necessità di storicizzare il giudizio collegandolo alla condizione
socio-economica dello stesso Capone e alla sua attività.
La Corte di merito è incorsa in un duplice errore di diritto: ha esteso l’ambito
di operatività del diritto di critica politica nei confronti di soggetti estranei alla
competizione politica, in quanto cittadini privati; sembra aprire a non consentite
limitazioni alla tutela della reputazione derivanti da condizioni personali (avere
proprietà private) e da iniziative a tutela dei diritti (azioni in giudizio), quando sia
l’una che l’altra rappresentano beni costituzionalmente riconosciuti e garantiti.
La sentenza impugnata, inoltre, è manifestamente contraddittoria, laddove,
da una parte, riconosce che la condotta del Capone oggetto del giudizio
dell’imputato, è espressiva di un legittimo sfruttamento della proprietà fondiaria
e, dall’altra, giustifica le espressioni contestate osservando che Moretti
descriveva l’esorbitanza dai canoni di ragionevole esercizio delle facoltà connesse
al diritto di proprietà. Argomento, quest’ultimo, peraltro apoditticamente
asserito, in quando la sentenza impugnata non ha fornito indicazioni su cosa
debba intendersi per ragionevole esercizio delle facoltà connesse al diritto di
proprietà, né sulle ragioni per le quali l’imputato possa dare lezioni sulle modalità
di esercizio della proprietà altrui, né ha dimostrato che la persona offesa abbia
intrapreso attività illegali o speculative.

4. La difesa della parte civile ha dedotto, con il ricorso, due motivi e, con
successiva memoria ha articolato un motivo nuovo.
4.1. Vizio di motivazione. La Corte di appello avrebbe dovuto indicare le
linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio, confutando
specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della sentenza di primo
grado: le argomentazioni della sentenza impugnata sono, invece, meramente

4

3. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari

assertive e sostanzialmente autoreferenziali in ordine al diverso apprezzamento
delle risultanze probatorie.
4.2. Vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale e di
altre norme di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale (tra le
quali l’art. 30 del t.u. dell’edilizia di cui al d. Igs. n. 380 del 2001).
Sotto un primo profilo, la sentenza impugnata è censurabile in relazione
all’acquisizione dei documenti allegati all’atto di appello: al riguardo, la Corte di
appello, oltre a non dare atto dell’opposizione della parte civile, non ha motivato
in ordine alla rilevanza e alla decisività dell’acquisizione.

è un privato cittadino, non un uomo politico, non ha mai partecipato, come
candidato, ad alcuna competizione politica e ad alcun dibattito politico,
diversamente dal convincimento della Corte di appello di Bari. La critica politica
non può indirizzarsi a privati cittadini, diventati il bersaglio delle diffamazioni del
politico destinatario di un provvedimento dell’autorità giudiziaria scaturito da
denunce di quei privati cittadini. Le frasi pronunciate dall’imputato sono, sulla
base del loro chiaro significato letterale, indubbiamente lesive dell’onore e del
decoro della parte civile, a nulla rilevando la diversa ricostruzione del significato
semantico dei termini operata dalla Corte di merito; tali frasi, inoltre,
costituivano un’aggressione alla dimensione individuale dei Capone che non
erano e non sono esponenti politici o personaggi pubblici, in quanto l’oggetto
delle diffamazioni era l’aspetto privato delle persone offese, additate quali
lottizzatori abusivi o, senza che ciò corrispondere al vero, autori di gravi reati. E’
destituita di fondamento l’affermazione circa la “politicità” dell’azione del Capone
a difesa dei suoi interessi privati svolta dalla Corte di appello di Bari, secondo cui
il privato che ha in corso processi contro il Comune a tutela delle sue proprietà
immobiliari va considerato un uomo pubblico ovvero un uomo politico, verso il
quale sarebbe possibile formulare una critica politica. Sviluppate alcune
argomentazioni già richiamate a proposito del ricorso del Procuratore Generale,
la parte civile ricorrente sottolinea che la frase pronunciata dall’imputato fa
riferimento ad un’attività di manipolazione del territorio al di fuori della legalità e
che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente l’esimente del
diritto di critica politica. Le frasi del Moretti sono idonee a ledere la reputazione
della parte civile e hanno fatto riferimento ad episodi ben precisi collocati in un
preciso arco spazio-temporale.
4.3. Con memoria depositata in data 24/09/2013, la ricorrente parte civile
deduce quale motivo nuovo erronea applicazione della legge penale in relazione
all’art. 51 cod. pen. Premesso la tutela del vice sindaco per le opinioni espresse
non gode di alcun fondamento legislativo, si sottolinea che le espressioni usate

5

In secondo luogo, Pietro Capone (come tutti i componenti della sua famiglia)

dall’imputato risultano gratuite, avulse da qualsiasi contesto di polemica tecnica
e politica. Mentre l’esimente del diritto di critica richiede la sussistenza dei
requisiti della verità dei fatti e della continenza, il nucleo centrale dei gravi fatti
storici addebitati dall’imputato alla parte civile è smentito dal rilievo che il
Capone non mai commesso il reato di lottizzazione abusiva. E’ esclusa, pertanto,
la sussistenza dell’elemento della verità dei fatti e, sotto questo aspetto, del
diritto di critica (politica) delineato dalla sentenza impugnata.

1. I ricorsi devono essere rigettati.

2. Il ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di
appello di Bari, il secondo motivo del ricorso della parte civile (in disparte, per il
momento, la censura relativa all’acquisizione dei documenti allegati all’atto di
appello, di seguito esaminata) e il motivo aggiunto della stessa parte civile non
sono fondati.
Per una compiuta individuazione del

thema decidendum,

mette conto

rimarcare che, come segnalato dalla Corte di appello di Bari, il giudice di primo
grado ha stabilito che l’unica tra le frasi pronunciate dall’imputato dotata di
concreta e adeguata valenza diffamatoria era quella attinente ai commenti su
una presunta attività lottizzatoria che, per le modalità con le quali sarebbe stata
svolta, Moretti alludeva potesse essere illecita: «A prescindere che ha fatto
lottizzazioni, ha venduto suoli, cioè poi sul piatto della bilancia c’è un interesse
collettivo e c’è un privato che ha fatto e strafatto quello che ha voluto e secondo
me non in linea con quello che dovrebbe essere fatto quando si fa una
lottizzazione».
E’ inoltre necessario sottolineare che la sentenza della Corte di appello di
Bari ha assolto Raffaele Moretti perché il fatto non sussiste, rilevando,
conclusivamente, che le affermazioni contestate all’imputato in merito all’operato
di Capone non sono state «neanche potenzialmente offensive della sua
reputazione del Capone»: l’assoluzione, dunque, non è correlata al
riconoscimento della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di critica
politica, ma all’accertata insussistenza di uno degli elementi oggettivi del fatto.
La formula assolutoria adottata dalla sentenza impugnata è in linea con
l’orientamento, autorevolmente affermato da questa Corte, secondo cui
l’accertamento dell’esistenza di una causa di giustificazione determina
l’assoluzione dell’imputato con la formula “perché il fatto non costituisce reato”,
e non con quella “perché il fatto non sussiste”, laddove quest’ultima formula

6

CONSIDERATO IN DIRITTO

indica la mancanza di uno degli elementi costitutivi di natura oggettiva del reato
(Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008 – dep. 28/10/2008, P.C. in proc. Guerra, Rv.
240814); in particolare si è affermato, che in tema di diffamazione,
l’accertamento dell’insussistenza di qualsiasi lesione alla reputazione della
persona offesa determina l’assoluzione con la formula “perché il fatto non
sussiste” e non quella con la formula “perché il fatto non costituisce reato”
riservata ai casi in cui venga accertata l’esistenza di una causa di giustificazione
(Sez. 5, n. 22598 del 25/02/2010 – dep. 11/06/2010, Siggia, Rv. 247352).
Nel caso in esame, dunque, il nucleo essenziale della decisione della Corte di

reato di diffamazione: a tale conclusione la sentenza impugnata giunge
valutando analiticamente le espressioni in relazione alle quali il giudice di primo
grado aveva affermato la responsabilità penale dell’imputato.
La prospettazione, da parte dell’imputato, di un’attività di lottizzazione
abusiva da parte di Capone è esclusa, secondo l’argomentare logicamente
sviluppato dalla Corte di merito, in primo luogo, dal carattere individuale – ossia
soggettivo, non oggettivo – del giudizio espresso dall’imputato, carattere
rimarcato dall’espresso riferimento a una valutazione personale («secondo me»)
e, soprattutto, dal riferimento ad una diversa concezione della legge che Moretti
attribuisce a sé stesso e a Capone: tale riferimento colloca all’interno della
cornice della legalità l’attività imprenditoriale di quest’ultimo, rispetto alla quale
l’imputato, come rilevato dalla sentenza impugnata, esprime valutazioni attinenti
al merito urbanistico, ossia alla ponderazione, nel caso di specie, degli interessi
pubblicistici e di quelli del privato imprenditore. Rispetto a tale ponderazione
l’imputato formula un giudizio negativo («non in linea con quello che dovrebbe
essere fatto quando si fa una lottizzazione») che, tuttavia, proprio perché
connesso alle diverse, possibili modulazioni dell’assetto di interessi pubblici e
privati, non richiama, neanche in termini allusivi, le attività speculative e illegali
cui ha fatto riferimento il Procuratore Generale di Bari, né la commissione di
gravi illeciti penali evocati dalla parte civile: di qui la conclusione della sentenza
impugnata secondo cui il giudice di appello ha confuso la manifestazione di un
giudizio con un’asserzione e ha arbitrariamente conferito il valore di una censura
di patente illiceità penale dell’attività lottizzatoria ad una legittima valutazione
negativa del merito urbanistico delle operazioni immobiliari.
La centralità del giudizio sul merito urbanistico si associa, nell’argomentare
della sentenza impugnata, alla considerazione del riferimento da parte
dell’imputato alla disinvoltura “imprenditoriale” («strafare») della persona offesa,
riferimento che la Corte di merito valuta come espressivo di un giudizio di
esorbitanza dai canoni del ragionevole esercizio delle facoltà connesse al diritto

7

merito va individuato nella ritenuta insussistenza degli elementi costitutivi del

di proprietà delle iniziative lottizzatorie di Capone: sul punto, la valutazione della
sentenza impugnata si salda, oltre alla già evidenziata considerazione della
centralità del giudizio sul merito urbanistico attribuito a Moretti, alla stessa
collocazione testuale del riferimento allo «strafare» nel corpo di una frase
incentrata sull’immagine della bilancia sui cui piatti vanno posti l’interesse
collettivo e quello privato, il che conduce a confermare il contenuto non
diffamatorio della frase stessa. Nel percorso argomentativo della Corte di merito,
il riferimento alla condizione socio – economica di Capone e alla sua attività,
lungi dall’assumere la fisionomia della capitis deminutio quanto alla tutela della

nell’individuazione delle ragioni per le quali l’espressione in questione si risolve in
una «notazione meramente descrittiva di un modo di atteggiarsi tipico del pur
legittimo sfruttamento della proprietà fondiaria».
In questo quadro, d’altra parte, i riferimenti della sentenza impugnata alla
natura politica del dibattito radiofonico nel corso del quale furono pronunciate le
espressioni in esame e alla “politicità” (termine che la stessa sentenza di appello
ha cura di porre tra virgolette) dell’iniziativa di Capone contro l’amministrazione
comunale giovano, nel percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito, a
mettere in luce il «contesto dialettico» nel quale le espressione stesse vanno
collocate, così da escludere che le stesse possano aver attinto il patrimonio
morale della persona offesa e da mettere, invece, in luce la loro riconducibilità
nel novero della manifestazioni del libero confronto non integranti un gratuito
attacco alla sfera personale del destinatario.
Risultano, dunque, infondate le censure proposte dal pubblico ministero
ricorrente e dalla parte civile. Per un verso, infatti, la

ratio decidendi della

pronuncia assolutoria non può essere individuata nel riconoscimento della causa
di giustificazione dell’esercizio del diritto di critica politica, ma nella ritenuta
insussistenza, nelle espressioni in questione, di uno degli elementi oggettivi del
reato, ossia del carattere offensivo della reputazione della persona offesa: la
sentenza di primo grado aveva ravvisato tale carattere nell’evocazione, da parte
di Moretti, della illiceità dell’attività di Capone, ma la sentenza di appello, con
argomentazioni immuni da cadute di conseguenzialità logica, ha escluso tale
esito ricostruttivo. Per altro verso, i riferimenti all’attività imprenditoriale di
Capone, alla “politicità” della sua iniziativa giudiziaria e del dibattito nel corso del
quale l’imputato ha pronunciato le espressioni in questione giovano,

nell’iter

argomentativo seguito del giudice di appello, a mettere in rilievo la critica al
merito amministrativo – troppo sbilanciato a favore dell’impresa – proposta
dall’imputato e ad escludere che le sue parole possano aver coinvolto il
«patrimonio morale» della parte civile.

8

reputazione ipotizzata dal pubblico ministero ricorrente, si esaurisce

3. Anche le ulteriori censure della parte civile devono essere disattese.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, perché generico: limitandosi a
riprodurre una parte della motivazione della sentenza di primo grado e a criticare
quella di secondo grado in quanto assertiva e autoreferenziale, il motivo è privo
di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle
poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 1, n. 4521 del 20/01/2005 – dep.
08/02/2005, Orru’, Rv. 230751), sicché è inammissibile.
La censura – articolata nel corpo del secondo motivo di ricorso – relativa

che l’acquisizione di una prova documentale, nel giudizio di appello, pur non
implicando la necessità di una formale ordinanza di rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale, postula che la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al
quadro probatorio in atti (Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011 – dep. 07/10/2011,
Bellone e altri, Rv. 250933), deve rilevarsi che la Corte di merito ha offerto
congrua motivazione della sussistenza dei presupposti dell’acquisizione.

4. I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati e la parte civile deve essere
condannata al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna la parte civile al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 16/01/2014

all’acquisizione dei documenti allegati all’atto di appello non è fondata: premesso

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA