Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9843 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9843 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Arcoleo Marianna, nata a Palermo il 05/08/1972

avverso la sentenza emessa il 07/11/2012 dal Tribunale di Palermo, sezione
distaccata di Carini

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata, per sopravvenuta prescrizione del reato contestato, con
conferma delle statuizioni civili

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Marianna Arcoleo ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della condanna della predetta imputata, di cui alla

Data Udienza: 16/01/2014

sentenza del Giudice di pace di Carini del 01/12/2011, per il delitto di
diffamazione, in ipotesi commesso in danno di Giovanna Lo Piccolo nell’agosto
2005. Secondo l’assunto accusatorio, la Arcoleo avrebbe affermato, durante un
colloquio occasionale con due coniugi presso un lido balneare, che la Lo Piccolo
aveva “rubato” del denaro presso il palazzo dove abitava la stessa imputata, nel
senso di avere preteso – quale amministratrice di quel condominio – pagamenti
eccessivi o non dovuti: i due coniugi in questione erano peraltro i suoceri della Lo
Piccolo, senza che la Arcoleo fosse consapevole di tale rapporto di affinità.

I primi tre si riferiscono ad una asserita nullità della sentenza di primo grado
e di tutti gli atti conseguenti, a seguito della omessa rinnovazione in favore
dell’imputata dell’iniziale decreto di citazione a giudizio: ciò in quanto, all’udienza
del 26/06/2008, il giudice aveva solo preso atto – pur non pronunciandosi sul
punto, ma comunque non provvedendo alla declaratoria di contumacia della
Arcoleo, né formalizzando la costituzione di parte civile della Lo Piccolo – di una
istanza di rinvio per legittimo impedimento della donna, disponendo il
differimento del processo all’udienza dell’11/12/2008 in vista del prescritto
tentativo di conciliazione, ma senza curare l’anzidetta rinnovazione della
citazione (imposta dall’art. 420-ter cod. proc. pen.) né provvedere affinché
all’imputata venisse notificata quanto meno copia del verbale. Il difensore della
Arcoleo richiama giurisprudenza di legittimità a sostegno della tesi della nullità
assoluta ed insanabile che si verifica allorquando, ad un imputato comunque non
comparso e non dichiarato contumace, non venga notificato un nuovo decreto di
citazione ovvero l’ordinanza di rinvio.
Detta nullità non verrebbe meno, secondo la difesa, anche ammettendo che
il giudice di primo grado avesse tacitamente riconosciuto il legittimo
impedimento dell’imputata in occasione della prima udienza, pur sempre
dovendosi curare le incombenze sopra ricordate: a tal fine, il ricorso si sofferma
sulla differenza lessicale e concettuale tra le previsioni di cui al comma 1 dell’art.
420-ter (dove viene sancita la necessità di una nuova citazione a giudizio, in
caso di impedimento a comparire dell’imputato per la prima udienza) ed al
successivo comma 3 (quando, in ragione di un impedimento verificatosi per
udienze posteriori, il giudice deve disporre la notifica del provvedimento di
fissazione della udienza di rinvio): solo in quest’ultimo caso, non verificatosi però
nel caso concreto, sarebbe sufficiente la comunicazione del rinvio e la nullità
conseguente all’omissione potrebbe dirsi di carattere generale ed a regime
intermedio. Ne deriva la insostenibilità della tesi esposta nella sentenza di
appello, secondo cui il vizio sopra descritto avrebbe comportato una nullità
sanabile, in concreto non tempestivamente eccepita.

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Il difensore della ricorrente propone cinque motivi di doglianza.

La difesa censura peraltro la decisione adottata dal Tribunale, in quanto la
nullità

de qua,

seppure in ipotesi tardivamente evidenziata dalla parte

interessata, era stata comunque dedotta prima della pronuncia della sentenza di
primo grado, con la conseguente necessità che il vizio fosse rilevato di ufficio, ai
sensi dell’art. 180 del codice di rito.
Il quarto e quinto motivo di ricorso riguardano invece i profili sostanziali,
deducendo la difesa:

che nel caso concreto non potrebbe dirsi ravvisabile il delitto di cui all’art.

intervenuta alla presenza di due soli soggetti, difettando così il requisito
della comunicazione a più persone;

mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata, laddove l’affermazione della penale responsabilità
della Arcoleo viene fondata sulla deposizione di appena due testimoni, per
di più legati da vincoli personali con la parte civile, uno solo dei quali
avrebbe peraltro confermato di avere udito la frase riportata in rubrica:
ciò a fronte di una pluralità di testimoni a discarico che, pur avendo
assistito al colloquio tra l’imputata ed i suoceri della Lo Piccolo, risultano
aver offerto una opposta versione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Deve prendersi atto dell’intervenuta prescrizione del reato addebitato alla
ricorrente; il ricorso – di cui non è possibile dichiarare l’inammissibilità,
involgendo tematiche processuali che impongono una compiuta disamina da
parte di questa Corte – è in ogni caso da rigettare agli effetti civili.
1.1 Sul profilo processuale oggetto della prima doglianza, va tenuto presente
che le sentenze evocate nell’interesse della ricorrente affermano in effetti principi
a conforto della tesi difensiva: nelle relative massime ufficiali si legge che
«l’imputato non comparso ha diritto, ove non sia dichiarato contumace, alla
rinnovazione della citazione per l’udienza di rinvio, per mezzo della notificazione
di un nuovo decreto di citazione o della notificazione dell’ordinanza di rinvio,
pena altrimenti la nullità assoluta dell’intero giudizio» (Cass., Sez. I, n. 15814
del 19/03/2009, Calandi, Rv 243733) e che «l’omessa notificazione all’imputato
non comparso, ma non ancora dichiarato contumace, dell’ordinanza di rinvio del
dibattimento è causa di nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado dello
stesso» (Cass., Sez. VI, n. 14376 del 26/02/2009, Amendola, Rv 243260).

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595 cod. pen., atteso che la propalazione diffamatoria sarebbe

Più recenti pronunce hanno tuttavia ritenuto che «la mancata rinnovazione
della citazione a giudizio all’imputato assente, che non abbia allegato alcun
legittimo impedimento e del quale non sia stata dichiarata la contumacia, dà
luogo ad una nullità di ordine generale e a regime intermedio che deve essere
eccepita dal difensore appena possibile secondo quanto disposto dall’art. 182
comma secondo cod. proc. pen.» (Cass., Sez. V, n. 13283 del 17/01/2013,
Bucca, Rv 255188); principio ribadito, anche nello specifico caso del rinvio
disposto per legittimo impedimento, da Cass., Sez. V, n. 17027 del 23/01/2013,

«l’omessa notifica all’imputato – al quale sia ritualmente notificato il decreto di
citazione a giudizio – dell’avviso di fissazione della nuova udienza, nel caso di
rinvio del dibattimento per legittimo impedimento del medesimo imputato, dà
luogo ad una nullità a regime intermedio, come tale sanabile se non dedotta nei
termini di cui all’art. 180 cod. proc. pen. e, nel caso in cui la parte assista al
compimento di atti che richiedano il predetto avviso, nei termini di cui all’art.
182, comma secondo, cod. proc. pen.».
La motivazione di quest’ultima sentenza richiama lo stesso precedente
evocato dal Tribunale nel corpo della decisione oggi impugnata (Cass., Sez. VI,
n. 2324 del 22/11/2006, Lucarelli), ricordando come fosse stato ivi affermato con riferimento al giudizio di appello, ma con argomenti validi anche per quello di
primo grado – che «la notifica della citazione a giudizio va distinta dall’avviso
all’imputato della nuova udienza alla quale il processo sia rinviato per legittimo
impedimento del medesimo. Solo l’omessa notifica del decreto di citazione a
giudizio configura nullità assoluta e insanabile poiché incide direttamente sulla
vocatio in iudicium e, quindi, sulla regolare instaurazione del contraddittorio,
impedendo all’imputato di conoscere il contenuto delle accusa e di apprestare le
proprie difese. Mentre, nell’ipotesi in cui si deve provvedere alla rinnovazione
dell’avviso dell’udienza “in prosecuzione” e cioè quando, come nella specie, deve
informarsi l’imputato dell’udienza di “prosecuzione del giudizio”, la situazione
processuale è diversa, dovendo solo effettuarsi l’avviso della nuova udienza in
prosecuzione, a norma degli artt. 484 e 420-ter, comma 1, cod. proc. pen.,
avviso la cui omissione non può che essere ricondotta alle nullità di ordine
generale a regime intermedio e come tale sanabile se non dedotta nei termini di
cui all’art. 180 stesso codice e – nell’ipotesi in cui la parte assiste al compimento
di atti che avrebbero richiesto il predetto avviso – nei termini di cui all’art. 182
cod. proc. pen., comma 2, codice di rito».
Il collegio ritiene di prestare piena adesione all’indirizzo appena segnalato,
dal momento che appare doveroso distinguere i casi di vera e propria omissione
della citazione in giudizio (nei quali è corretto porsi un problema di vizio nella

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Musciolà, Rv 255503, pronuncia nella cui massima ufficiale si legge che

instaurazione del contraddittorio) rispetto a quelli in cui l’imputato, già
ritualmente destinatario di una

vocatio in iudicium

della quale sia stato

debitamente informato, non abbia avuto soltanto comunicazione del differimento
di un’udienza in occasione della quale egli era stato posto in condizione di
apprestare pienamente la propria difesa.
Quanto al problema della rilevabilità o deducibilità, la tesi difensiva secondo
cui il giudice avrebbe dovuto pronunciarsi su una questione comunque portatagli
a conoscenza è parimenti da disattendere, alla luce della giurisprudenza delle

limiti temporali di deducibilità delle nullità a regime intermedio di cui all’art. 180
cod. proc. pen. da quelli per la formulazione dell’eccezione di cui all’art. 182,
comma 2, cod. proc. pen.: nel primo caso si individua uno spazio procedimentale
nell’ambito del quale od oltre il quale è possibile “dedurre” o rilevare le nullità,
nel secondo caso, invece, si stabilisce una correlazione temporale tra il
compimento di un atto nullo e la relativa “eccezione” di parte. Ciò significa non
solo che in questo secondo caso la mancanza dell’eccezione consente al giudice
di non “rilevare” la nullità di ordine generale, perché essa deve intendersi
sanata, ma anche che, pur non essendo ancora decorso lo spazio temporale di
cui al citato art. 180, la nullità, essendo stata sanata, non può più essere
“dedotta”. Pertanto, la circostanza che il difensore non abbia assistito all’atto non
può portare alla conclusione che deve applicarsi la seconda parte dell’unico
comma del citato art. 180, ma deve portare soltanto alla constatazione che non
si è verificata una sanatoria per omessa formulazione della relativa eccezione,
rimanendo doveroso verificare se per la “deduzione” siano stati rispettati i limiti
temporali di carattere generale posti dall’art. 180 cod. proc. pen.» (Cass., Sez.
U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibè).
1.2 Del tutto infondata è la censura concernente il mancato rispetto del
requisito della comunicazione a più persone quando una frase offensiva dell’altrui
reputazione sia pronunciata in presenza di soli due soggetti: per aversi
diffamazione, infatti, è necessario che l’autore «comunichi con almeno due
persone ovvero con una sola persona, ma con tali modalità che detta notizia
sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale
evento» (Cass., Sez. V, n. 36602 del 15/07/2010, Selmi, Rv 248431).
1.3 Del tutto lineare, ed immune dai vizi denunciati nell’interesse della
ricorrente, si palesa infine la motivazione della sentenza impugnata, laddove
viene offerta una plausibile spiegazione del perché i testimoni indotti dalla difesa
(i quali comunque non erano stati protagonisti della conversazione in atto fra la
Arcoleo ed i suoceri della Lo Piccolo) poterono non udire la frase indicata in
rubrica, salvo tornare a prestare attenzione al colloquio una volta che l’Amato si

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Sezioni Unite di questa Corte che insegna come debbano «essere tenuti distinti i

era sentito in dovere di prendere le difese della persona di cui si stava parlando,
trattandosi di sua nuora.

2. E’ comunque maturata, come ricordato, la prescrizione del reato, venutasi
a perfezionare il 01/02/2013 (al più, tenendo conto di 62 giorni di sospensione
dei relativi termini, il 04/04/2013): si impone pertanto – pur essendo detta
causa estintiva sopravvenuta in epoca successiva alla sentenza di appello, ma in
difetto di elementi per una declaratoria di inammissibilità del ricorso – la

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata senza rinvio, per essere il reato
estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.

Così deciso il 16/01/2014.

conseguente pronuncia ex art. 129 del codice di rito.

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