Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9842 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9842 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: DI NICOLA VITO

Data Udienza: 17/11/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Raza Michele, nato a Gardone Val Trompia il 11-03-1982
avverso la sentenza del 11-03-2014 della Corte di appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Felicetta Marinelli

che ha

concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento
sanzionatorio. Rigetto nel resto;
Udito per il ricorrente l’avvocato Massimiliano Battagliola che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Michele Raza ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in
epigrafe con la quale la Corte di appello di Genova, in riforma di quella emessa
dal tribunale di Genova, appellata dal Procuratore generale, qualificato il fatto
come reato di cui all’articolo 2 del decreto-legge 23 dicembre 2013, convertito
nella legge 21 febbraio 2014, n 10, ha dichiarato il ricorrente colpevole di tale
delitto condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno di

Al ricorrente si addebitava originariamente il reato previsto dall’articolo 73,
comma 1 bis, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, perché illecitamente deteneva 2,12
grammi lordi di sostanza stupefacente tipo cocaina e 2,07 grammi lordi di
sostanza stupefacente tipo hashish che, per quantità (1,8744 di cocaina, con
percentuale media di prodotto puro del 56% circa, pari a grammi 0,937 di
cocaina principio attivo, pari a circa 6,2 dosi medie singole, eccedente la soglia
massima prevista dalla legge; 2,070 grammi netti di hashish, con percentuale
media di prodotto puro del 9,5% circa, pari a 0,197 grammi di THC, pari a circa
7,9 dosi medie singole), diversa per qualità e per altre circostanze dell’azione (il
soggetto aveva occultato la sostanza stupefacente dapprima all’interno delle
scarpe e poi, all’atto del controllo per l’ingresso allo stadio, aveva cercato di
occultarla nella tasca dei pantaloni) appariva destinata ad uso non strettamente
personale. Accertato in Genova il 1 maggio 2011.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, il ricorrente solleva i due
seguenti motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione della legge penale (articolo
606, comma 1, lettere b), codice di procedura penale), sul rilievo che la Corte
d’appello avrebbe erroneamente attribuito al quantitativo di stupefacente
detenuto dal ricorrXe un eccessivo potenziale dimostrativo del fine di spaccio,
stimando che tale circostanza escludesse con certezza la destinazione di utilizzo
personale della sostanza stupefacente detenuta ed invertendo inammissibilmente
l’onere probatorio in base al quale spetta all’accusa la dimostrazione del fine di
spaccio. Peraltro la sentenza impugnata, nel compiere la valutazione unitaria
delle prove indirette, non ha tenuto conto proprio dell’indizio sul quale il primo
giudice aveva basato la pronuncia assolutoria ossia la prova, ancorché indiretta,
i
della compatibilità del reddito con l’acquisto dello stupefacente fornita dal CUD
che, nella motivazione, ha perso qualsiasi portata conoscitiva non costituendo
per il giudice del gravame “neppure un indizio a favore, date le circostanze del
rinvenimento dello stupefacente, ed il luogo in cui veniva portato (…)”.

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reclusione ed euro 3000 di multa.

2.2. Con il secondo motivo di gravame, il ricorrente lamenta il vizio di
motivazione (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale),
nella parte in cui la Corte d’appello ha escluso la finalità di utilizzo
esclusivamente personale in ragione del non soddisfatto onere di allegazione da
parte dell’imputato, confezionando pertanto una motivazione manifestamente
illogica proprio perché, spettando all’accusa l’onere di provare il fine di spaccio,
non può essere accollato all’imputato alcun onere di allegazione la cui mancanza;

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che
seguono.

2. I motivi, essendo tra loro connessi, possono essere congiuntamente
esaminati.
Essi sono infondati.
Nel ribaltare la sentenza di primo grado, il giudice d’appello, con congrua e
logica motivazione, ha affermato che non poteva essere condiviso l’assunto
secondo il quale il Cud dell’imputato fosse dimostrativo della sua capacità
economica di acquistare lo stupefacente detenuto, compatibile con il consumo
eventualmente di gruppo.
Nel pervenire a questa diversa conclusione, la Corte d’appello ha affermato
che il Cud dell’imputato non poteva costituire neppure un indizio a suo favore,
date le circostanze del rinvenimento dello stupefacente ed il luogo in cui esso
veniva portato, mentre l’allusione al consumo di gruppo costituiva il frutto di una
mera, arbitrarie ipotesi del giudice di primo grado.
Nessuno infatti aveva mai sostenuto r e neppure prospettato, che lo
stupefacente fosse destinato ad un consumo di gruppo, del quale
paradossalmente si ignorerebbero persino i componenti.
Contrariamente poi all’assunto del ricorrente, la Corte del merito si è fatta
carico di rispettare il principio di diritto secondo il quale la destinazione della
droga ai fini di cessione a terzi è elemento costitutivo del reato che va pertanto
dimostrato dall’accusa.
Siccome tuttavia tale prova può essere fornita, anche alternativamente,
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sia tale da non essere
facendosi leva, oltre che sulla quantità, quand
compatibile con le condizioni economiche dell’imputato, e comunque sulle
modalità di custodia dello stupefacente, sul luogo e sul modo in cui è avvenuto
l’accertamento e sulla contestuale detenzione di specie diverse di sostanza (nel
caso di specie,infatti, il ricorrente deteneva proprio cocaina e hashish), la Corte

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l’affermazione di responsabilità.

territoriale ha affermato che, in tal caso, si riconosce che, a chi invoca la
circostanza esimente della finalizzazione dello stupefacente al consumo
personale, competa un onere di allegazione, diretto ad attivare nel giudicante il
potere-dovere di valutazione, onere di allegazione che il ricorrente non ha
esercitato, rimanendo quindi il fatto che l’imputato occultava stupefacente che
stava introducendo nello stadio; che la consistenza dello stupefacente era tale
(sei dosi di cocaina e otto dosi di hashish) da rendere inconcepibile l’uso
personale nell’ambito della durata di una partita di calcio o anche nell’ambito di

hashish), costituendo ciò un altro indice di destinazione della droga allo spaccio,
destinazione allo spaccio che pertanto è stata correttamente ritenuta in diritto
con motivazione adeguata e priva di manifesta illogicità.

3. Tuttavia, nella determinazione della pena, la Corte di appello ha applicato
la normativa in materia di stupefacenti introdotta dal decreto-legge 23 dicembre
2013 n. 146, conv. in legge 21 febbraio 2014, n. 10.
Occorre allora considerare che, dopo l’emanazione della decisione
impugnata, è entrata in vigore la legge 16 maggio 2014, n. 79 di conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36 che, da un
lato, ha confermato la natura di titolo autonomo di reato (già sancita dal decreto
legge 23 dicembre 2013 n. 146, conv. in legge 21 febbraio 2014, n. 10 applicato
dalla Corte d’appello alla fattispecie) dei fatti di lieve entità e, dall’altro, ha
ulteriormente modificato il profilo sanzionatorio fissando, tanto per le droghe
leggere quanto per quelle pesanti, la pena della reclusione da sei mesi a quattro
anni e della multa da euro 1.032,00 a euro 10.329,00 (art. 1, comma 24-quater,
lett. a).
Quindi, quando i giudici del merito hanno determinato, nel caso di specie, il
trattamento sanzionatorio, essi hanno tenuto conto della cornice edittale (da uno
a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000) prevista dall’art. 73,
comma 5, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 come modificato dal decreto legge n.
146 del 2013.
Sicché l’utilizzazione di parametri edittali diversi, rispetto a quelli stabiliti
dalle leggi successive e dall’intervento della Corte costituzionale, comporta che la
pena dovrà essere nuovamente determinata dal giudice del merito e siffatta
operazione è necessitata perché è stata considerata una pena base illegale in
quanto commisurata entro un limite edittale minimo e massimo superiore
rispetto a quello previsto dallo ius superveniens.
Infatti, il giudice, nel determinare la pena, normalmente valuta, con
riferimento alla congruità in concreto della sanzione irrogata, sia il limite minimo
che quello massimo, avendo come riferimento, per la commisurazione, la pena in
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una stessa giornata; che lo stupefacente era di natura diversa (cocaina ed

astratto stabilita, con la conseguenza che, mutato il parametro di riferimento, il
giudice del merito deve inderogabilmente esercitare il potere discrezionale
conferitogli dagli artt. 132 e 133 cod. pen.
Tale compito deve pertanto essere assolto anche quando il trattamento del
caso specifico rientri nella forbice edittale di cui alla disposizione di favore
sopravvenuta.

4. Le Sezioni Unite hanno infatti ribadito (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015,

occorre fare riferimento al principio di proporzione tra illecito e sanzione.
Sul punto, la Corte costituzionale ha osservato che il principio di uguaglianza
«esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in
modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione della
difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali» (Corte cost., sent.
n. 409 del 1989); inoltre, al principio di proporzionalità il Giudice delle leggi ha
fatto espresso riferimento nella sentenza che ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale del minimo edittale previsto per la fattispecie di oltraggio (Corte
cost., sent. n. 391 del 1994), in cui si è ribadito che la finalità rieducativa della
pena non è limitata alla sola fase dell’esecuzione, ma costituisce

«una delle

qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto
antologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione
normativa, fino a quando in concreto si estingue» e inoltre implica la presenza
costante del “principio di proporzione” tra qualità e quantità della sanzione, da
una parte, e offesa, dall’altra (Corte cost., sent. n. 313 del 1990 e, da ultimo,
sent. n. 105 del 2014).
Quindi, le nuove comminatorie impongono, secondo le Sezioni Unite Jazouli,
necessariamente di riconsiderare la pena proprio in attuazione del principio di
proporzionalità, altrimenti verrebbe legittimata l’applicazione di una pena al di
sopra della misura della colpevolezza (…). Sicché la pena edittale deve, in linea
di massima, risultare correlata alla gravità del fatto di reato (…). In altri termini,
la pena è costruita sulla gravità del fatto e giustificata da essa, nelle sue
componenti oggettive (importanza del bene, modalità di aggressione, grado di
anticipazione della tutela) e soggettive (grado di compenetrazione fatto-autore),
come sua variabile dipendente: una distonia nel rapporto o addirittura uno iato
tra i due fattori sarebbero costituzionalmente intollerabili.

5. L’illegalità della pena comporta che la questione è rilevabile d’ufficio,
indipendentemente dalla fondatezza del ricorso o dalla sua ammissibilità (Sez. U,
n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207).

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Jazouli) che, nel valutare l’ambito entro cui può parlarsi di illegalità della pena,

6. La sentenza va pertanto annullata con rinvio limitatamente alla
determinazione della pena ed il ricorso va rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento
sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.
Rigetta, nel resto, il ricorso.

Così deciso il 17/11/2015

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