Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9840 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9840 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– FERRANTE ALFONSO, n. 15/08/1979 a Nocera Inferiore

avverso la sentenza della Corte d’appello di SALERNO in data 10/03/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.ssa F. Marinelli, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della
sentenza limitatamente alla concedibilità dell’attenuante di cui all’art. 73, comma
settimo, d.P.R. n. 309 del 1990 e rigettarsi il ricorso, nel resto;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. A. Ruggiero, in sostituzione
dell’Avv. A. De Caro, che ha chiesto accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 17/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 10/03/2014, depositata in pari data, la Corte di
appello di SALERNO confermava la sentenza del GUP del medesimo tribunale del
5/05/2006 che aveva condannato FERRANTE ALFONSO alla pena di 6 anni e 2
mesi di reclusione per il reato ascritto al capo t) della rubrica, con il concorso
delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti di cui al com-

medesimo articolo, ridotta la pena per il rito abbreviato richiesto, con irrogazione
delle pene accessorie di legge (delitto associativo contestato come commesso dal
1999 al 2004/2005).

2. Ha proposto ricorso FERRANTE ALFONSO avverso la predetta sentenza, deducendo sette motivi, di seguito illustrati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo ed il secondo motivo – che, attesa la omogeneità dei
profili di doglianza, meritano trattazione congiunta – t il vizio di cui all’art. 606,
lett. c) ed e), c.p.p., in relazione all’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen.
quanto alla ritenuta convergenza delle chiamate in correità in ordine alla partecipazione del ricorrente all’associazione per delinquere finalizzata alla detenzione
ed allo spaccio di stupefacenti e correlati vizi di contraddittorietà e illogicità della
motivazione in ordine a tale aspetto.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente la Corte d’appello ha ritenuto provata la sua partecipazione al sodalizio sul/
la base di elementi inidonei (ruolo pregnante del Ferrante desunto dall’essere
soggetto vicino ad uno dei maggiori trafficanti di stupefacente nonché custode di
rilevanti quantitativi dello stupefacente trafficato; quanto alla contestata attendibilità del collaboratore Iannaco, la Corte d’appello precisa che le sue dichiarazioni, pur nel suo schizofrenico comportamento successivo ritrattatorio, risulterebbero assolutamente attendibili e riscontrate dalle prove dichiarative oltre che
dalle intercettazioni in atti); si censura, in particolare la circostanza per la quale
la condanna sarebbe stata fondata unicamente sulle dichiarazioni del predetto
collaborante, dichiarazioni tuttavia inidonee a dimostrare la partecipazione del

t
Ferrante al sodalizio in quanto mancanti dei requisiti tipici della chiamata in correità (attendibilità intrinseca; attendibilità estrinseca; esistenza di riscontri esterni), come interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte; lo Iannaco, infatti: a) dimostrerebbe scarsa conoscenza delle modalità di cessione dello stupefa2

ma 3 dell’art. 74, T.U. Stup. ed esclusa l’aggravante di cui al comma quarto del

cente e del Ferrante; b) si sarebbe contraddetto sull’epoca di inizio dei rapporti
con il Ferrante; c) ignorerebbe il luogo in cui il Ferrante avrebbe custodito la sostanza; d) ha ritrattato quanto dichiarato; tutti questi elementi militano nel senso di escludere sia l’attendibilità intrinseca e, quanto a quella estrinseca, le altre
fonti dichiarative non avrebbero mai indicato il ricorrente tra gli appartenenti al
sodalizio; gli unici elementi di riscontro sarebbero rappresentati dalle intercetta-

terlocutori del Ferrante ma di un tale parente Piccirillo (si tratterebbe di un appellativo comune, riferibile e riferito ad altri soggetti coinvolti nell’indagine,
tant’è che lo stesso collaboratore ha dichiarato di indicare con tale soprannome
“parente” anche il fratello del Ferrante),in ogni caso dalle intercettazioni emergerebbe esclusivamente la volontà degli interlocutori di contattare il parente Piccirillo; infine, non sarebbero mai state pronunciate frasi che lasciassero intendere
una consegna di stupefacente o un acquisto di droga, né il Ferrante rientrerebbe
tra gli interlocutori captati, non essendo peraltro mai stata intercettata alcuna
utenza a lui in uso né il medesimo sarebbe mai stato oggetto di servizi di o.c.p.
né coinvolto in episodi sfociati in acquisti di droga.

2.2. Deduce, con il terzo ed il quarto motivo – che, attesa la omogeneità dei profili di doglianza, meritano trattazione congiunta il vizio di cui all’art. 606, lett.
b) ed e), c.p.p., in relazione all’art. 74, T.U. Stup. quanto ai requisiti previsti per
legge ai fini di ritenere sussistente la condotta di partecipazione all’associazione
dedita al narcotraffico e correlati vizi di contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine a tale aspetto.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente la Corte d’appello avrebbe ritenuto il Ferrante partecipe al sodalizio esclusivamente sulla base delle dichiarazioni del predetto collaborante Iannaco, tralasciando invece una serie di dati probatori che proverebbero l’estraneità
dell’imputato al sodalizio; dopo aver ricordato gli elementi richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte al fine di ritenere sussistente la condotta di partecipazione di cui all’art. 74, T.U. Stup., il ricorrente contesta che la motivazione della
sentenza impugnata non apparirebbe ancorata a fatti esteriori che costituiscano
manifestazione della volontà del medesimo di partecipare e contribuire attivamente, con il proprio apporto alla vita del sodalizio (la partecipazione episodica a
singoli episodi di cessione non sarebbe idonea a tal scopo; l’assenza del ricorrente alla riunione avvenuta a Villa Dorasa tra gli appartenenti ai due gruppi, Tamarisco e Iannaco, per concordare le cessioni di stupefacente sarebbe dimostrativa
dell’estraneità del Ferrante; non risulta che questi abbia effettuato viaggi in O3

zioni telefoniche che sarebbero però contenuto generico, non parlando mai gli in-

landa per recarsi da Annunziata Alfonso; non è stato dichiarato colpevole per alcuno dei reati – scopo del sodalizio né sarebbe stato coinvolto negli episodi di sequestro di stupefacente avvenuti nel luglio 2004; da quanto dichiarato dal medesimo Ferrante, i viaggi erano da lui effettuati per acquistare stupefacente a proprio esclusivo vantaggio).

fili di doglianza, meritano trattazione congiunta -4, il vizio di cui all’art. 606, lett.
b) ed e), c.p.p., in relazione all’art. 8, legge n. 203 del 1991 e 73, comma settimo, T.U. Stup. quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante della collaborazione nonché per violazione dell’art. 546 cod. proc. pen. per assoluta mancanza di motivazione sul punto.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente la Corte d’appello non avrebbe motivato in ordine alla richiesta, avanzata
solo in sede di discussione, di riconoscimento delle predette attenuanti; sostiene
che gli atti sulla scorta dei quali detta richiesta era stata sostenuta sarebbero
stati acquisiti successivamente alla sentenza di primo grado e alla proposizione
dell’appello; dopo aver richiamato giurisprudenza di questa Corte relativa
all’esegesi delle predette disposizioni normative, conclude il ricorrente affermando che non vi erano ragioni per non riconoscere al ricorrente tali attenuanti, avendo questi ammesso i propri addebiti, risposto a tutte le domande del P.M. e
fornito elementi utili ai fini della ricostruzione della rete di narcotraffico.

2.4. Deduce, con il settimo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., in
relazione agli artt. 132 e 133, cod. pen. ossia per violazione dei criteri previsti
per la quantificazione della pena e correlato vizio di mancanza assoluta di motivazione in ordine a tale aspetto.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente la Corte d’appello avrebbe ignorato la richiesta difensiva di rideterminazione in melius del trattamento sanzionatorio evidenziando come al medesimo fosse
stato riservato un trattamento deteriore rispetto agli altri correi giudicati separatamente; i giudici non avrebbero motivato sul punto, limitandosi a confermare la
sentenza di primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è parzialmente fondato.

4

2.3. Deduce, con il quinto ed il sesto motivo – che, attesa la omogeneità dei pro-

4. Deve premettersi che i primi quattro motivi meritano congiunta trattazione, in
quanto attengono, rispettivamente, alla prova della partecipazione del ricorrente
al sodalizio ed alla ritenuta inidoneità degli elementi di prova sulla cui base la
Corte d’appello ha riconosciuto la responsabilità del ricorrente.

4.1. Anzitutto, osserva il Collegio, non può sottacersi la genericità dei motivi di

senza tuttavia minimamente confrontarsi con il percorso argomentativo della decisione impugnata che confuta, per vero adeguatamente, i singoli profili di censura, peraltro opportunamente valorizzando la ammissione dei fatti contenuta
nel verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione del 25/11/2009, acquisito nel processo d’appello sull’accordo delle parti. Deve, a tal proposito, ribadirsi
che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e
ritenute infondate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano
carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v. tra le tante:
Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 Ud. – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

4.2. La Corte d’appello si prende poi carico di confutare i singoli profili di doglianza mossi dall’allora appellante (v. pagg. 8 e segg. della sentenza impugnata): a) la questione relativa alla credibilità intrinseca del collaborante Iannaco; b)
l’individuazione da parte di quest’ultimo della persona del Ferrante; c)
l’irrilevanza del tentennamento nel ricordo relativo all’inizio dei rapporti tra lo
Iannaco ed il Ferrante; d) il particolare rilievo attribuito alla telefonata del
23/08/2004 quanto alla questione del “parente Piccirillo”, intercorsa tra lo Iannaco ed il Curcio e che elimina qualsiasi dubbio sulla individuazione dell’identità di
tale soggetto; e) la specifica ammissione sul punto da parte dello stesso Ferrante
che, nel verbale delle dichiarazioni rese al P.M. ed acquisite in appello, ammette
che la persona così nominata nelle intercettazioni era proprio il ricorrente; f)
l’irrilevanza conseguente delle altre circostanze dedotte nell’atto di appello, atteso che tutti gli argomenti difensivi si infrangono contro le espresse ammissioni e
l’inequivoca confessione del ricorrente.
Sul punto, deve, invero, evidenziarsi che agli atti risulta depositato il verbale di
interrogatorio 25/11/2009 (di cui il ricorrente tace in ricorso) contenente
l’espressa ammissione delle sue responsabilità per i fatti oggetto di contestazione: è lo stesso ricorrente che, in detto verbale, conferma, a seguito della lettura
dei verbali delle dichiarazioni 16/10/2009 e 30/10/2009, quanto dichiarato in re5

ricorso, in quanto gli stessi ripropongono le censure mosse in sede di appello,

lazione a Iannaco, Adinolfi e Annunziata, ad eccezione di quelle relative al viaggio dell’aprile 2008, relativo all’importazione di 700/800 kg. di “fumo”; la Corte
d’appello, nel descrivere il contenuto di quelle dichiarazioni del 25/11/2009 e
delle conferme ed ammissioni del Ferrante riguardanti i fatti oggetto di contestazione, evidenzia come di fronte a tali ammissioni andavano disattese tutte le argomentazioni difensive contraddette dalle dichiarazioni acquisite ed oggetto di

dicità e dell’assenza di qualsiasi intento calunniatorio, donde la prova della sua
partecipazione al sodalizio che del relativo elemento psicologico non poteva essere posta in discussione.
Trattasi di motivazione del tutto logica e coerente con le emergenze processuali
che tiene conto, peraltro, della novità processuale rappresentata dalle dichiarazioni di cui al verbale delle dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di collaborazione con l’autorità giudiziaria ex art. 16, d.l. n. 8 del 1991, rispetto alle quali,
peraltro, non è nemmeno accennato nel ricorso un possibile problema di inutilizzabilità, atteso che, del resto, l’acquisizione avvenne su accordo delle parti in sede di giudizio di appello e rispetto alle quali, peraltro, nessun dubbio viene nemmeno sollevato dalla difesa del ricorrente quanto alla valenza probatoria dell’atto
confessorio contenuto nel predetto verbale, ed avendo inoltre la stessa Corte
t
d’appello chiarito con motivazione assolutamente logica le ragioni per le quali
non poteva dubitarsi della genuinità e credibilità delle dichiarazioni confessorie.
Sulla questione non va del resto dimenticato che la confessione può costituire
prova sufficiente della responsabilità del confidente, indipendentemente dall’esistenza di riscontri esterni (non essendo suscettibili di applicazione analogica i limiti previsti dall’art. 192 cod. proc. pen. per la chiamata in correità), purché il
giudice prenda in esame le circostanze obiettive e subiettive che hanno determinato e accompagnato la dichiarazione e dia ragione, con logica motivazione, delle circostanze che escludono intendimenti autocalunniatori o l’intervenuta costrizione dell’interessato, come avvenuto nel caso in esame (Sez. 6, n. 13085 del
03/10/2013 – dep. 20/03/2014, Amato e altri, Rv. 259489).

5. Può quindi procedersi all’esame congiunto del quinto e del sesto motivo di ricorso, attesa l’intima connessione logica delle censure ad essi sottese, investendo la questione della riconoscibilità delle attenuanti della collaborazione, richiesta
che lo stesso difensore precisa in ricorso non essere stata avanzata nell’atto di
appello in quanto la collaborazione è successiva alla sentenza di primo grado ed
alla proposizione dell’atto di appello.

6

confessione da parte del Ferrante, non potendo peraltro dubitarsi della loro veri-

La Corte d’appello non affronta la questione “ex professo”, atteso che si limita a
rideterminare in melius il trattamento sanzionatorio senza riferirsi alle dette attenuanti.
Orbene osserva il Collegio come, a prescindere dall’esistenza del contrasto giurisprudenziale circa la ammissibilità di un concorso tra le predette attenuanti (nel
senso che la circostanza attenuante speciale prevista per i collaboratori di giusti-

lo ai delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. ed a quelli commessi avvalendosi delle
condizioni previste da detta norma per agevolare l’attività delle associazioni di
tipo mafioso, e non concorre con l’attenuante di cui all’art. 74, comma settimo,
d.P.R. n. 309 del 1990, che si applica solo a colui che si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato previsto dall’art. 74 stesso d.P.R., o per
sottrarre al traffico illecito di sostanze stupefacenti risorse decisive per la commissione dei delitti, poiché entrambe le circostanze costituiscono previsioni premiali aventi diversi ambiti di operatività, in quanto dirette ad evitare, attraverso
una sorta di ravvedimento “post delictum”, che il reato associativo, cui rispettivamente si riferiscono, sia portato ad ulteriori conseguenze, v. Sez. 6, n. 1395
del 14/10/2014 – dep. 14/01/2015, Valentino e altri, Rv. 261797; diversamente,
in senso affermativo, Sez. 5, n. 8135 del 22/11/2002 – dep. 19/02/2003, Abbrescia, Rv. 223878), il silenzio della Corte territoriale sull’invocata richiesta, risultante dal verbale di udienza 10/03/2014, integra un vuoto motivazionale che non
può essere colmato dalla lettura della sentenza impugnata, dovendosi tener conto del disposto di cui all’art. 609, comma secondo, cod. proc. pen., trattandosi di
questione che non era stata dedotta con i motivi di appello in quanto il verbale
della collaborazione reca un data successiva alla impugnazione di secondo grado
(risulta, infatti, che l’atto di appello venne proposto dall’Avv. D. Vannetiello in
data 16/09/2006, laddove il verbale di collaborazione reca la data del
25/11/2009).

6. Il settimo ed ultimo motivo con cui si censura la violazione degli artt. 132 e
133 cod. pen. è infine infondato. Sul punto, invero, la Corte d’appello spiega le
i
r
ragioni per le quali ritiene non necessario rideterminare il trattamento sanzionatorio richiamando alcuni elementi (attività posta in essere con carattere di “serialità” e “professionalità”; collaborazione con personaggi di grosso calibro; irrogazione della pena in misura prossima al minimo edittale, con bilanciamento delle
attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e dell’art. 74, comma terzo, T.U. Stup., con ulteriore diminuzione per il rito). Trattasi di motivazione adeguata e giuridicamente corretta, facendo corretta applicazione la Corte
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zia dall’art. 8 D.L. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991, si applica so-

territoriale del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui ove venga
irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il
mero richiamo ai “criteri di cui all’art. 133 cod. pen.” deve ritenersi motivazione
sufficiente per dimostrare l’adeguatezza della pena all’entità del fatto; invero,
l’obbligo della motivazione, in ordine alla congruità della pena inflitta, tanto più si
attenua quanto maggiormente la pena, in concreto irrogata, si avvicina al mini-

201537).

7. L’impugnata sentenza dev’essere, conclusivamente, annullata con rinvio alla
Corte d’appello di Napoli, giudice di rinvio territorialmente competente, perché
colmi il vuoto motivazionale relativo alla riconoscibilità o meno delle invocate attenuanti afferenti alla collaborazione prestata dal ricorrente, dovendo, nel resto,
rigettarsi il ricorso.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla riconoscibilità delle
circostanze attenuanti di cui all’art. 73, comma 7°, del D.P.R. 309/90 e all’art. 8
della L. 203/91, con rinvio alla Corte d’appello di NAPOLI.
Rigetta, nel resto, il ricorso.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 17 novembre 2015

mo edittale (Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995 – dep. 07/06/1995, Brachet, Rv.

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