Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9834 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9834 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: DI NICOLA VITO

Data Udienza: 17/11/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cosentino Concetta Immacolata, nata a Modena il 18-01-1970
avverso la sentenza del 19-03-2014 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Felicetta Marinelli che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Udito per il ricorrente

i

RITENUTO IN FATTO

1. Concetta Immacolata Cosentino ricorre per cassazione impugnando la
sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Bologna ha
confermato quella emessa dal giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale
di Modena che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato la ricorrente,
ritenuta l’attenuante di cui all’articolo 73, comma 5, d.p.r. 9 ottobre 1990, n.
309 ed applicata la diminuente del rito, alla pena di anni uno e mesi sei di
reclusione ed euro 3000 di multa per il reato previsto dagli articoli 110 codice

deteneva illecitamente ai fini di spaccio grammi 3,9 di sostanza stupefacente del
tipo cocaina (con principio attivo pari a 2,8 grammi e corrispondente a 19 dosi
medie singole) conservata in 12 involucri di cellophane. In Modena il 19 ottobre
2006. Con la recidiva reiterata e specifica.

2.

Per la cassazione dell’impugnata sentenza, la ricorrente, tramite il

difensore, solleva i due seguenti motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo deduce la manifesta illogicità della sentenza nella
parte in cui è stato ritenuto, al di là di ogni ragionevole dubbio, che lo
stupefacente rinvenuto fosse destinato in tutto o in parte per la cessione a terzi
(articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale).
Assume la ricorrente che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che il
compendio probatorio fosse sufficiente a supportare una pronuncia di
affermazione della penale responsabilità dell’imputata, avendo i giudici di
secondo grado confezionato una motivazione viziata la manifesta illogicità per
non aver tenuto conto del fatto che la ricorrente era tossicodipendente e tale
condizione rivestiva, nell’economia della prova, una importanza fondamentale
deponendo per la detenzione della sostanza stupefacente per il personale
consumo e non essendo affatto significativo, come invece è stato ritenuto, il dato
ponderale in quanto il quantitativo era comunque modesto e dunque compatibile
con un uso esclusivamente personale. Allo stesso modo, irrilevante doveva
ritenersi il fatto che lo stupefacente fosse confezionato in 12 involucri
termosaldati, in assenza peraltro di altri oggetti idonei per il confezionamento e
per la vendita a terzi. Anche il fatto che l’imputata avesse cercato di disfarsi della
cocaina non poteva essere ritenuta una prova a carico, trattandosi di un
comportamento istintivo, e la mancanza di reddito per l’acquisto della droga è
stata ritenuta una prova a carico nonostante fosse emerso che l’imputata
svolgesse una regolare attività lavorativa e, vivendo con la madre, non aveva
spese di mantenimento.

2

penale, 73 d.p.r. n. 309 del 1990 perché, in concorso con Youssef Boungab,

2.2. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente lamenta la
violazione della legge penale in quanto il reato doveva essere dichiarato estinto
per intervenuta prescrizione (articolo 606, comma 1, lettera b), codice di
procedura penale), sul rilievo che il fatto di lieve entità in materia di sostanze
stupefacenti, essendo stato qualificato come titolo autonomo di reato dalla
normativa sopravvenuta, ha comportato una durata massima della prescrizione
del reato in misura di sette anni e mezzo, comportando ciò la maturazione del

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorsondato sulla base del secondo motivo.

2. Quanto al primo motivo, la Corte territoriale ha chiarito come lo stato di
tossicodipendenza dell’imputata sia stato solo asserito e il superamento del tasso
soglia, in assenza di elementi di segno diverso, fosse ampiamente indicativo
della detenzione dello stupefacente per fini di spaccio, posto che la Cosentino
non viveva con la madre, ma con il compagno, dovendo pertanto far fronte alle
spese della vita quotidiana con uno stipendio di soli 1.000,00 euro, e non
disponeva quindi delle maggiori disponibilità economiche idonee a costituire una
scorta per il consumo personale. E’ stato poi ricordato che la ricorrente,
seguendo le direttive del compagno, avesse cercato di disfarsi, riuscendovi
verosimilmente in parte, della droga detenuta in casa al momento dell’arrivo dei
carabinieri, essendo stato ciò ritenuto indice della consapevolezza da parte sua
dell’illiceità di tale detenzione nonché del ruolo preminente rivestito dal proprio
compagno in tale ambito e da lei condiviso anche in quell’occasione, adeguandosi
alle sue direttive. E’ risultata intestataria della scrittura privata concernente la
compravendita di un’auto Fiat Marea, del valore di circa 4.000,00 euro, che tale
Luppi aveva dato in corrispettivo di forniture di sostanza stupefacente da parte
del compagno dell’imputata , evidenziandosi con ciò il ruolo tutt’altro che
marginale nel traffico di droga gestito del compagno. Infine, il frazionamento in
dodici confezioni è apparso, in tale contesto, costituire una ulteriore conferma
dell’avvenuto acquisto già finalizzato alla vendita.
Al cospetto di tale logica ed adeguata motivazione, con la quale i giudici del
merito sono giunti ad una conforme conclusione, la ricorrente si è
sostanzialmente limitata ad offrire una lettura alternativa delle risultanze delle
indagini, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono
trovare ingresso nel giudizio di legittimità, neppure in virtù delle modifiche
all’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. apportate dalla L. n. 46 del
2006, in quanto il sindacato di legittimità esclude che alla Corte di cassazione

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termine di prescrizione.

possa essere demandato un riesame critico delle risultanze istruttorie. Il
riferimento al testo del provvedimento impugnato o agli altri atti del processo
può essere utilizzato unicamente per contestare la correttezza dell’iter logicoargomentativo utilizzato dal giudice di merito, non già per confutare in punto di
fatto la valutazione dal medesimo offerta del materiale istruttorio allegato a
fondamento della ipotesi accusatoria. Vale a dire che la omessa motivazione può
essere dedotta là dove il giudice di merito abbia ingiustificatamente negato
l’ingresso nella giustificazione della sua decisione ad un elemento di prova di

efficacia “scardinante” dell’impianto motivazionale, non già quando ne abbia
dato, coerentemente ed esaustivamente, una valutazione difforme rispetto alla
prospettazione del ricorrente. Allo stesso modo la illogicità manifesta e la
contraddittorietà sussistono quando “gli altri atti del processo”, specificamente
indicati nel gravame, inficino in modo radicale dal punto di vista logico l’apparato
motivazionale, e non quando siano stati, come nella specie, coerentemente ed
adeguatamente valutati nel provvedimento di merito in modo diverso rispetto
alla tesi propugnata in ricorso.

3. Il secondo motivo è invece fondato.
Il tempo massimo necessario a prescrivere deve essere infatti calcolato nella
misura di sette anni e sei mesi, sull’esatto rilievo che, a seguito entrata in vigore
della legge 16 maggio 2014, n. 79 di conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, l’ipotesi ex art. 73, comma 5. D.p.r. n. 309
del 1990 ha natura di titolo autonomo di reato (qualificazione già sancita dal
decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146, conv. in legge 21 febbraio 2014, n. 10),
con la conseguenza che i fatti di lieve entità sono puniti, tanto per le droghe
leggere quanto per quelle pesanti, con la pena della reclusione da sei mesi a
quattro anni e della multa da euro 1.032,00 a euro 10.329,00.
Invero, la recidiva, seppure ritualmente contestata, non ha comportato
alcun aggravio del carico sanzionatorio, né ha paralizzato o reso in concreto
inoperative, a seguito del giudizio di comparazione, eventuali circostanze
attenuanti, non essendo stata ritenuta sintomo di una maggiore colpevolezza e
di più spiccata pericolosità sociale dell’imputata.
Infatti, in tema di prescrizione del reato, quando il giudice abbia escluso la
circostanza aggravante facoltativa della recidiva qualificata (art. 99, comma 4 e,
a seguito della sentenza n. 185 del 2015 della Corte cost., anche comma 5, cod.
pen.), non ritenendola in concreto espressione di una maggiore colpevolezza o
pericolosità sociale dell’imputato, la predetta circostanza deve ritenersi
ininfluente anche ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato

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segno contrario pacificamente risultante dagli atti processuali e dotato di

(Sez. 6, n. 43771 del 07/10/2010, Karmaoui, Rv. 248714; Sez. 2, n. 2090 del
10/01/2012, Nigro, Rv. 251776).
A tale conclusione si giunge seguendo, in tema di valenza della recidiva sul
trattamento sanzionatorio, il percorso disegnato Sezioni Unite della Corte di
cassazione e dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Le Sezioni Unite (Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato Rv. 249664),
nel ritenere la recidiva una circostanza ad effetto speciale, hanno tuttavia
chiarito che essa è, comunque, una circostanza pertinente al reato che richiede,

proporzionalità della pena, un accertamento, nel caso concreto, della relazione
qualificata tra lo status e il fatto che deve risultare sintomatico, in relazione alla
tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, di un giudizio di
riprovevolezza fondato sua una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale
dell’imputato.
La matrice di tale orientamento va ricercata nella sentenza n. 192 del 2007,
con la quale la Corte Costituzionale ha escluso la conformità ai principi
costituzionali di una lettura dell’art. 99 cod. pen. basata su qualsiasi forma di
automatismo comportando che essa sia produttiva di effetti unicamente se il
giudice ne accerti i requisiti costitutivi e la dichiari, verificando non solo
l’esistenza del presupposto formale rappresentato dalla previa condanna, ma
anche del presupposto sostanziale, costituito dalla maggiore colpevolezza e dalla
più elevata capacità a delinquere del reo, da accertarsi discrezionalmente.
Si tratta di un percorso che ha trovato ulteriore e definitiva conferma con la
pronuncia con la quale la Corte costituzionale (sentenza 23 luglio 2015, n. 185)
ha dichiarato la «illegittimità costituzionale dell’art. 99, quinto comma, del codice
penale, come sostituito dall’art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (…),
limitatamente alle parole «è obbligatorio e,», con il quale un ulteriore tassello è
stato posto nella materia che disciplina l’istituto della recidiva a seguito del lungo
processo che, attraverso gli interventi della Consulta, aveva già espunto i casi di
recidiva obbligatoria in relazione a fattispecie diverse da quella indicata dall’art.
99, comma 5, cod. pen., eliminandosi, ora, anche l’ultima ipotesi di recidiva ad
applicazione non discrezionale, con la conseguenza che, anche nel caso ex art.
99, comma 5, cod. pen., il giudice dovrà valutare, con adeguata e logica
motivazione, se il carico sanzionatorio, una volta ritualmente contestata la
recidiva sotto qualsiasi forma, meriti di essere maggiormente appesantito in
presenza di una più intensa colpevolezza e di una spiccata pericolosità sociale
dell’imputato.
Posto che occorre distinguere, in relazione oramai a tutto il tracciato della
fattispecie ex artt. 99 cod. pen., tra riconoscimento della recidiva (ossia la
verifica dell’esistenza dei presupposti formali e sostanziali della stessa) e sua

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perché l’istituto possa ritenersi conforme ai principi costituzionali in materia di

applicazione in concreto (ossia la sua effettiva incidenza sul meccanismo di
determinazione della pena), il rifiuto di ogni forma di automatismo nel
riconoscimento e nell’applicazione di siffatta circostanza aggravante, implica la
necessità dell’aumento di pena in concreto quale presupposto per l’attivazione di
varie discipline speciali operanti nei confronti del recidivo, rientrando tra i
compiti del giudice verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo
effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto
riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla

fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della
ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità
del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro
formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. U, n. 35738 del 27/08/2010,
Calibé, Rv. 247838).
Pertanto, la recidiva, qualora esclusa in concreto dal giudice, non solo non
dà luogo all’aggravamento della pena, ma non produce neanche gli ulteriori
effetti commisurativi della sanzione, restando anche l’istituto della prescrizione
impermeabile rispetto alla formale contestazione dell’aggravante che, se
consente ab initio

di parametrare il tempo necessario a prescrivere agli

ipotizzabili aumenti derivanti dal tipo di recidiva rilevata, tuttavia, nell’ipotesi di
mancato riconoscimento giudiziale di essa, comporta che il regime della
prescrizione può risultare per il recidivo rimodellato secondo le regole dettate per
lo schema ordinario.

4. Nel caso di specie, la recidiva, sia pur correttamente contestata, non è
stata in concreto applicata non avendo svolto alcuna funzione sul carico
sanzionatorio cosicché, essendo stato il reato commesso il 19 ottobre 2006, la
prescrizione, essendo fondato il motivo di ricorso, è nel frattempo, in mancanza
di eventi sospensivi, ampiamente maturata.

5. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio essendo il
reato estinto per intervenuta prescrizione.

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qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per
prescrizione.

Così deciso il 17/11/2015

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