Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9833 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9833 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da:
– FTILI MOHAMMED, n. 15/12/1970 a Beni Mair Est (Marocco)
– PUNZINA PATRICK JOHN, n. 11/05/1969 a Milano

avverso la sentenza della Corte d’appello di MILANO in data 5/05/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.ssa F. Marinelli, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;
udite le conclusioni dell’Avv. E. Di Fonzo, che ha chiesto accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 17/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 5/05/2014, depositata in data 3/06/2014, la
Corte di appello di MILANO, in parziale riforma della sentenza del GIP del
medesimo tribunale in data 1/03/2010, rideterminava la pena inflitta a FTILI
MOHAMMED e PUNZINA PATRICK JOHN, nella misura di 4 anni di reclusione ed C

3 anni e 6 mesi di reclusione ed C 20.000,00 di multa, con esclusione della
recidiva, quanto al Punzina, applicando ad entrambi la pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici e confermando nel resto l’impugnata sentenza,
che li aveva riconosciuti colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti ai capi a)
e b), quanto al Punzina, ed ai capi b) e c) quanto al Ftili, tutti relativi a materia
di stupefacenti (fatti contestati come commessi, rispettivamente, il 24/12/2006,
quanto al capo a); fino al marzo 2007, quanto al capo b); dal 9/03 al
30/03/2007, quanto al capo c).

2. Hanno proposto separati ricorsi FTILI MOHAMMED e PUNZINA PATRICK JOHN
avverso la predetta sentenza a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari
cassazionisti, deducendo,

Ftili, un unico motivo e, il Punzina, quattro motivi, di

seguito illustrati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173
disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce l& FTILI, con l’unico motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), c.p.p.,
in relazione alla mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il
ricorrente, la Corte d’appello si sarebbe limitata a fornire una motivazione scarna
ed insufficiente a conferma della sentenza di condanna; in relazione al capo b) al
medesimo ascritto, si censura la motivazione della sentenza che avrebbe ritenuto
infondati i motivi di appello osservando come il linguaggio criptico ed ermetico
indice di una consapevole necessità di cautela, non avrebbe costituito un reale
ostacolo alla decodificazione dei messaggi, aggiungendo che avrebbe assunto
carattere concludente l’impossibilità di attribuire ai dialoghi registrati e trascritti
in sentenza un significato diverso da quello attribuitogli dal giudice; secondo il
ricorrente l’errore consisterebbe nell’aver invertito l’onere della prova, non
spettando alla difesa giustificare il contenuto delle conversazioni intercettate, ma
all’accusa dimostrare ogni oltre ragionevole dubbio / che dette conversazioni
hanno un contenuto illecito e attengono a scambi di sostanze stupefacenti; tale
2

22.000,00 di multa, con esclusione della recidiva, quanto al Ftili e nella misura di

circostanza non sarebbe stata dimostrata dall’accusa, e, in ogni caso, la
motivazione sul punto della sentenza sarebbe affetta dai predetti vizi
motivazionali; non sarebbe conferente la telefonata del 2/03/2007, h. 14.30,
citata quale presunto riscontro dell’attività illecita posta in essere dal ricorrente
laddove il coimputato d Ftili si limiterebbe a dire che voleva incontrare lo Ftili
per parlare del “discorso di ieri”, non essendo chiaro a cosa si riferisse né quale

individuazione del luogo e del momento della presunta consegna dello
stupefacente; quanto poi all’imputazione di cui al capo c), la motivazione
sarebbe incoerente nel confermare la sentenza di condanna, reputando la Corte
d’appello come provato l’incontro tra i prevenuti, limitandosi ad asserire che alle
conversazioni intercettate non potrebbe attribuirsi un significato diverso da
quello attribuito dal primo giudice; anche in questo caso vi sarebbe stata
l’inversione dell’onere probatorio, restando pur sempre sconosciuto agli operanti
il luogo ed il momento del presunto scambio dello stupefacente.

3.1. Deduce il PUNZINA, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed
e), c.p.p., in relazione alla mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione sotto il profilo della violazione degli artt. 192 e 530, comma
secondo, c.p.p. con riferimento all’imputazione sub a).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto ‘, sostiene il
ricorrenterla Corte d’appello avrebbe confermato la sentenza di condanna per il
delitto di cessione illecita a terzi di hashish per un quantitativo di 10 kg con
motivazione illogica e scollegata dalle emergenze processuali, anzitutto con
riferimento ai criteri di valutazione della prova, avendo affermato che le
intercettazioni telefoniche non abbisognavano di riscontri esterni per il loro
chiaro contenuto univocamente riferibile ad attività illecite né essendo le stesse
di difficile interpretazione; tale affermazione non risponderebbe al vero, in
quanto vi sarebbe una palese contraddizione tra quanto affermato in sentenza e
quanto emergente dagli atti processuali, essendo le conversazioni intercettate
rilevanti per il capo a) solo due, datate 22/12/2006, due giorni prima della
cessione e senza contatti ulteriori; in secondo luogo, perché sarebbe ambiguo il
contenuto delle conversazioni, atteso che mentre in sentenza si afferma che vi
sarebbe stato l’incontro tra gli imputati e la conseguente consegna dello
stupefacente, la polizia giudiziaria invece avrebbe affermato che non sarebbe
certo se il riferimento ai “venticinque mm” di cui si parla in un messaggio tra
Boscolo e il ricorrente sia riferibile ad un elemento temporale o ad uno
quantitativo, concludendo la PG che l’incontro non sarebbe avvenuto; ne
3

fosse il discorso del giorno precedente; sarebbe poi incontestabile la mancata

deriverebbe, quindi, che le conversazioni intercettate non possono costituire
prova diretta, ma necessitano di riscontri esterni, nella specie assenti, con
conseguente applicazione die criteri di cui all’art. 192, comma secondo, cod.
proc. pen.; ancora, in sentenza, si censura il richiamo operato dai giudici
territoriali alla telefonata 22/12/2006, h. 10.19 che farebbe riferimento secondo
la sentenza in modo univoco e convergente alla consegna di 10 kg. di droga che

forzatura operata dai giudici di appello ove il riferimento alla parola “dieci” viene
interpretata come riferita al quantitativo di stupefacente, mentre si sostiene
fosse riferibile all’orario in cui il Boscolo ed il Punzina si sarebbero dovuti
incontrare la domenica mattina; analogamente si censura la consecutio logica
operata in sentenza, in cui da elementi ritenuti neutri o non determinanti si
sarebbe pervenuti alla ricostruzione fattuale della vicenda (il riferimento, in
sentenza, è al contenuto den`rns inviato da Boscolo al Punzina, in cui scrive
“venticinque mm” e considerato che, subito dopo dai tabulati telefonici
quest’ultimo aveva contatto El Muftakir si evincerebbe che vi sia stata la cessione
dello stupefacente); tale affermazione si porrebbe in contrasto con
l’interpretazione giurisprudenziale in tema id valutazione della prova indiziaria
non superando lo standard dell’oltre ogni ragionevole dubbio; difetterebbe )
infatti la prova dell’avvenuto incontro quale situazione indefettibile rispetto alla
cessione, costituendo lo stesso solo frutto di un mero sospetto; non
convincerebbe, del resto, nemmeno l’affermazione della Corte territoriale che,
riferendosi all’obiezione difensiva del tempo intercorso tra l’arrivo e la partenza
del complice di soli 50 minuti nel corso del quale verrebbe contattato anche il
fornitore, l’ha considerata come inidonea a scalfire la ricostruzione operata in
sentenza, confermando le connotazioni di un incontro molto rapido, finalizzato
esclusivamente allo scambio; detta affermazione non sarebbe supportata da
alcuna prova, non essendo stato localizzato né il ricorrente né il presunto
fornitore, né sarebbe stato individuato il luogo dello scambio e se la loro
posizione fosse compatibile con i tempi rapicl)ssimi; inoltre, sarebbe del tutto
cun contatto tra i protagonisti del
illogico che il giorno dello scambio non vi sigr—
medesimo, salvo quell5ms che aveva indotto la stessa PG a ritenere che
l’incontro non fosse in realtà mai avvenuto; infine, non si sarebbe tenuto conto
che anche a voler ritenere avvenuto lo scambio quel giorno, tuttavia il giorno
successivo all’ipotizzata cessione il Boscolo non sarebbe stato in grado di fornire
lo stupefacente a tale Duilio (ciò evocherebbe una soluzione alternativa, a detta
del ricorrente, in quanto potrebbe indurre a ritenere che l’incontro e la cessione
non vi siano stati per l’assenza del fornitore o per l’indisponibilità dello
4

sarebbe dovuta avvenire in breve tempo, laddove, invece, sarebbe evidente la

stupefacente, potendo ciò giustificare il breve periodo di permanenza del Boscolo
a Milano e il suo rientro verso casa; tale ipotesi alternativa non poteva essere
trascurata dal giudice al fine di stabilire un giudizio di pari o maggiore probabilità
rispetto a quella accusatoria, al fine di superare quel ragionevole dubbio
necessario per pronunciare la condanna dell’imputato.

ed e), c.p.p., in relazione alla mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione sotto il profilo della violazione dell’art. 114 cod. pen.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto,-.sostiene il
ricorrente”, la Corte d’appello avrebbe negato l’attenuante del contributo di
minima importanza limitandosi ad affermare che la stessa appariva priva di
fondamento in quanto il ricorrente avrebbe svolto un ruolo chiave, quale
intermediario, tra i fornitori e l’acquirente; tale lettura vanificherebbe di fatto la
portata applicativa dell’attenuante, essendosi richiamati i giudici di appello ad
una esegesi della norma ormai abbandonata dalla giurisprudenza di legittimità
più recente, che propende per il riconoscimento dell’attenuante in esame quanto
il concorrente rivesta un ruolo marginale nella vicenda, imponendo la
comparazione tra i contributi dei diversi concorrenti, svolgendo una valutazione
intersoggettiva delle condotte di ciascuno di essi; la soluzione della Corte
d’appello, dunque, sarebbe stata assai sbrigativa, negando l’attenuante per il
solo fatto di aver intrattenuto il ricorrente rapporti telefonici tra i vari
protagonisti della vicenda, senza però tener conto del fatto che solo il Punzina a
non aver avuto interessi né alcun ritorno economico dalla vicenda, avendo solo
assecondato le richieste di un amico interessato ad acquistare lo stupefacente,
facendosi portavoce delle stesse presso un suo conoscente.

3.3. Deduce il PUNZINA, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c)
c.p.p., sotto il profilo della violazione dell’art. 597 c.p.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto,- sostiene il
ricorrenteria Corte d’appello, nel rideterminare la pena inflitta, avrebbe violato il
divieto di reformatío in peius, in quanto il primo giudice aveva individuato il reato
più grave in quello sub b), determinando la p.b. in 8 anni ed 8 mesi di
reclusione, livello prossimo al minimo edittale, aumentando la pena di mesi 2 di
reclusione per la continuazione in relazione al capo a); la Corte d’appello,
nonostante la forbice edittale modulata dal nuovo regime sanzionatorio
successivo alla sentenza n 32 del 2014 della Corte cost., avrebbe individuato per
il capo b), più grave, la p.b. in anni 5, pena di poco inferiore al massimo edittale
5

3.2. Deduce il PUNZINA, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b)

di 6 anni di reclusione, in base alla cornice edittale prevista per il comma quarto
dell’art. 73, T.U. Stup.; a ciò si aggiunge, quale ulteriore profilo di doglianza, il
rilievo per il quale la Corte d’appello, aumentando la pena a titolo di
continuazione per il reato sub a), l’avrebbe determinata in 3 mesi anziché in 2
mesi di reclusione, come invece aveva disposto il primo giudice, così violando il
disposto dell’art. 597 c.p.p. come pacificamente interpretato dalla giurisprudenza

3.4. Deduce il PUNZINA, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b)
ed e), c.p.p., in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto,–sostiene il
ricorrente r la Corte d’appello avrebbe negato il riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche richieste in sede di appello escludendo che le condizioni di
salute del ricorrente fossero idonee a giustificarne il riconoscimento, non
trattandosi di reati di piccolo cabotaggio, ma di reati gravi cui l’imputato si
sarebbe dedicato senza remore di sorta; detta motivazione non analizzerebbe la
condotta successiva e processuale del ricorrente e sarebbe oltremodo viziata sul
piano logico, presupponendo l’impossibilità di valutare alcuni elementi a fronte di
gravi reati, quasi a voler dire che, a fronte di delitti del tipo di quelli per cui si
procede, gli elementi valorizzati dalla difesa non potrebbero mai essere valutati
ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche (in particolare, gli elementi
valorizzati erano: una grave malattia che affliggeva l’imputato nel periodo in
contestazione e che era collegata al reato; il successivo comportamento
irreprensibile del ricorrente; il comportamento processuale corretto da questi
serbato, avendo reso dichiarazioni spontanee ed assumendosi le proprie
responsabilità).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è parzialmente fondato nei limiti di cui si dirà oltre.

4.

Ed invero, quanto al ricorso FTILI, lo stesso si appalesa assolutamente

generico, attesa la natura puramente contestativa delle censure rivolte alla
sentenza di appello. Deve, a tal proposito, ribadirsi che è inammissibile il ricorso
per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati,
che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate e ritenute
infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria
6

di legittimità.

correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle
poste a fondamento dell’impugnazione (v. tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del
09/02/2012 Ud. – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
In ogni caso, va qui sottolineato, la Corte d’appello motiva adeguatamente sui
profili afferenti la responsabilità del ricorrente alle pagg. 11/13 della sentenza; i
giudici territoriali, in particolare, confutano i singoli profili di doglianza riproposti

pagg. 11/12 che con riferimento al capo c), alle pagg. 12/13), rinviandosi alla
motivazione dell’impugnata sentenza per evitare inutili ripetizioni e per esigenze
di economia motivazionale. Con il ricorso si vuole, in sostanza, reinvestire la
Corte di cassazione delle medesime censure già adeguatamente confutate dalla
Corte d’appello, così chiedendo a questa Corte una rivalutazione nel merito,
operazione del tutto vietata in sede di legittimità. Non deve infatti dimenticarsi
che gli apprezzamenti di fatto ai quali il giudice sia pervenuto attraverso la
valutazione delle prove sono sottratti al sindacato di legittimità, salvo il controllo
– nella specie agevolmente superato – della congruità e logicità della
motivazione, giacché al di fuori dei casi espressamente previsti, il giudizio di
Cassazione non è configurato come terzo grado di giurisdizione di merito (v., tra
le tante: Sez. 6, n. 7347 del 16/01/1990 – dep. 25/05/1990, Onya, Rv. 184409).

5.

Diverso è l’approdo cui si perviene nell’esaminare il ricorso Punzina,

quantomeno con riferimento al quarto motivo.
Ed invero, con riferimento al primo, al secondo ed al terzo motivo gli stessi
vanno rigettati.

5.1. Quanto al primo motivo, riguardante il capo a) della rubrica rispetto al quale
si sviluppano censure alla luce del combinato disposto degli artt. 192 e 530,
cpv., cod. proc. pen., la Corte d’appello spiega alle pagg. 8 e 9 della sentenza le
ragioni per le quali gli elementi probatori sono stati ritenuti sufficienti a
confermarne la responsabilità, confutando le singole argomentazioni difensive
quanto alla presunta inidoneità degli elementi; la questione del significato degli
SMS è, peraltro, un evidente tentativo di fornire una lettura alternativa rispetto a
quella operata dalla Corte territoriale, in quanto tale vietata davanti alla
Suprema Corte, atteso che in tema di motivi di ricorso per cassazione, pur dopo
la novella codicistica introdotta con la I. n. 46 del 2006, non hanno rilevanza le
censure che si limitino ad offrire una lettura alternativa delle risultanze
probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur
sempre in un giudizio di mera legittimità (Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006 7

dal ricorrente anche in sede di legittimità (ciò, sia con riferimento al capo b), alle

dep. 03/11/2006, Bruzzese, Rv. 235510); stesse considerazioni valgono quanto
all’interpretazione della parola “dieci” o, ancora, con riferimento all’ipotesi che
incontro e cessione non vi siano stati (v. pag. 8 ricorso), dovendosi qui ribadire
che, in virtù della previsione di cui all’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc.
pen., novellata dall’art. 8 I. n. 46 del 2006, il controllo del giudice di legittimità si
estende alla omessa considerazione o al travisamento della prova, purché

rientra, pertanto, in detto controllo è solo l’errore revocatorio (sul significante),
in quanto il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza
impugnata, introdotto con la suddetta novella, non può che essere inteso in
senso stretto, quale rapporto di negazione (sulle premesse), mentre ad esso è
estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera
contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per
quanto significativo, può essere interpretato per “brani” né fuori dal contesto in
cui è inserito. Ne deriva che gli aspetti del giudizio che consistono nella
valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti
attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se
non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa
e che, pertanto, restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano
nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato
probatorio (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007 – dep. 27/02/2007, Ienco, Rv.
236540). Infine, non va nemmeno dimenticato che nell’ambito dei motivi di
ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, previsto dall’art. 606,
comma primo, lett. e), cod. proc. pen. può essere dedotto, nel caso di cosiddetta
“doppia conforme” nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle
critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non
esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 – dep. 29/01/2014,
Capuzzi e altro, Rv. 258438), circostanza non verificatasi nel caso in esame.

5.2. Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso, con cui si deduce la mancata
valutazione del contributo di minima importanza del ricorrente, la motivazione
della sentenza è convincente sotto il profilo logico – argomentativo, avendo
evidenziato i giudici il ruolo chiave svolto nella vicenda dal ricorrente; il
riferimento, poi, alla “protratta pervicacia nel perseguimento degli obiettivi” è
indicativo della personalità del ricorrente medesimo.
Sul punto, non va dimenticato che l’art. 114 cod. pen. costituisce un’eccezione al
principio che ispira il concorso di persone nel reato, per cui esso va interpretato
in maniera rigorosa. Pertanto detta norma trova applicazione laddove l’apporto
8

decisiva, con la precisazione che ciò che è deducibile in sede di legittimità e

causale del correo risulti obiettivamente così lieve da apparire, nell’ambito della
relazione di causalità, quasi trascurabile e del tutto marginale.
Conseguentemente, non si deve ridurre il relativo giudizio a una mera
comparazione tra le condotte dei vari soggetti concorrenti, ma occorre accertare
– attraverso una valutazione della tipologia del fatto criminoso perpetrato in
concreto con tutte le sue componenti soggettive, oggettive e ambientali – il

comportamenti rispetto alla produzione dell’evento, configurandosi l’attenuante
in parola solo se l’efficienza causale sia minima, cioè tale da poter essere – in via
prognostica – avulsa dalla seriazione causale senza apprezzabili conseguenze
pratiche sul risultato complessivo dell’azione criminosa (Sez. 6, n. 579 del
30/09/1993 – dep. 21/01/1994, Borgia e altri, Rv. 196118).
Sotto tale profilo, il fatto di aver svolto un ruolo da intermediario tra fornitori ed
acquirenti non può certo essere considerato di minima importanza, in quanto
proprio lo svolgimento di compiti di intermediazione assume una valenza causale
determinante nell’esecuzione del reato: in tal caso difatti l’attività dell’agente
non è stata quella di chi abbia collaborato alla realizzazione dell’evento solo in
veste di ausiliare, agevolando in modo secondario l’esecuzione del reato, ma una
attività non solo non superflua ma essenziale nella fase di esecuzione del delitto.

5.3. Quanto, infine, al terzo motivo, deve osservarsi che oggi il trattamento
sanzionatorio è quello previsto dall’art. 73, comma quarto, T.U. Stup.,
trattandosi di hashish, pena determinata nella fascia tra i 2 ed i 6 anni di
reclusione unitamente alla multa da 5164,00 C a 77.468,00 C. Nel caso in
esame, la pena base è stata determinata in anni 5 di reclusione ed C 27.000,00
di multa, ma la Corte d’appello motiva le ragioni per le quali ha ritenuto di dover
graduare il trattamento sanzionatorio in misura pari quasi al massimo edittale
(dato ponderale; connotazioni della condotta rivelatrici di una preoccupante
attitudine alla frequentazione di ambienti criminali e ininfluenza del progetto di
recupero, formalmente conclusosi con edito positivo), donde è evidente
l’adeguatezza motivazionale sul punto, così soddisfacendo quanto richiesto dalla
giurisprudenza di questa Corte in materia (Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013 dep. 26/06/2013, Pasquali, Rv. 258356).

6. Diverso, invece, è l’approdo, come anticipato, con riferimento al quarto
motivo di ricorso.
Ed invero, l’aumento inflitto dalla Corte d’appello in relazione al capo a), pari a
mesi 3 di reclusione ed C 3000,00 di multa, viola il disposto dell’art. 597 cod.
9

grado di efficienza causale, sia materiale, sia psicologica, dei singoli

proc. pen., avendo infatti la Corte d’appello aumentato la pena detentiva per il
reato satellite in misura maggiore rispetto all’aumento inflitto dal primo giudice
(pari a mesi 2 di reclusione ed € 3000,00 di multa), così determinandosi la
violazione del c.d. divieto di reformatio in peius. Deve, sul punto, ricordarsi che
viola il divieto della “reformatio in peius” di cui all’art. 597, comma quarto, cod.
proc. pen., il giudice di appello che, pur diminuendo complessivamente la pena,

eliminazione di una circostanza aggravante che abbia influito sul calcolo della
pena finale, operi un diverso computo delle pene intermedie per effetto del
vincolo della continuazione, in misura maggiore rispetto a quella fissata dal
giudice di primo grado (Sez. 3, n. 17113 del 16/12/2014 – dep. 24/04/2015, C.,
Rv. 263387; v. anche Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005 – dep. 10/11/2005,
William Morales, Rv. 232066).

7. La violazione accertata determinerebbe l’obbligo per questa Corte di disporre
l’annullamento con rinvio alla Corte d’appello per porre rimedio all’errore
giuridico commesso. Deve, tuttavia, rilevarsi che, quando il giudice escludde come nel caso in esame – la circostanza aggravante facoltativa della recidiva
qualificata (art. 99, comma quarto, cod. pen.), non ritenendola in concreto
espressione di una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale dell’imputato, la
predetta circostanza deve ritenersi ininfluente anche ai fini del computo del
tempo necessario a prescrivere il reato (Sez. 2, n. 2090 del 10/01/2012 – dep.
19/01/2012, Nigro, Rv. 251776). Ne consegue che, nell’acclarata assenza di atti
interruttivi del termine di prescrizione, il reato sub a) si è estinto per prescrizione
alla data del 24/06/2014 e quello sub b) alla data del 10/09/2014, non rilevando
la circostanza aggravante di cui all’art. 73, comma sesto, T.U. Stup. (fatto
commesso in numero superiore a tre), per effetto del disposto dell’art. 157,
comma secondo, cod. pen.

8.

Conclusivamente, mentre l’inammissibilità del ricorso FTILI osta alla

rilevabilità dell’intervenuta estinzione dei

reati al

medesimo ascritti

(precisamente, il capo b) alla data del 10/09/2014; il capo c), alla data del
30/09/2014), attesa la pronuncia della sentenza d’appello in data antecedente al
loro maturarsi (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, De Luca, Rv.
217266), con conseguente condanna alle spese ed alla somma di € 1000,00 in
favore della Cassa delle ammende (trattandosi di causa di inammissibilità
riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte
Costituzionale sentenza n. 186 del 7-13 giugno 2000), diversamente la sentenza
10

a seguito di assoluzione parziale da uno o più capi di imputazione ovvero di


impugnata dev’essere annullata senza rinvio quanto al PUNZINA per essere i
reati allo stesso ascritti estinti per prescrizione, essendo fondato il quarto motivo
di ricorso.

P.Q.M.

PATRICK JOHN per essere i reati estinti per prescrizione e dichiara inammissibile
il ricorso di FTILI MOHAMMED e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 17 novembre 2015

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente a PUNZINA

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