Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9831 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9831 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIERSANTI RAFFAELE N. IL 01/03/1949
avverso la sentenza n. 2131/2009 CORTE APPELLO di ANCONA, del
20/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. X1–. F R, A 7– cL.”:
che ha concluso per
<3,,k Q_ Udito, per la parte civile, l'Avv Udit i difensor Avv. Data Udienza: 08/01/2014 RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 20-3-2012 la Corte d'Appello di Ancona, confermando quella del Gup del Tribunale di Fermo in data 13-3-2009, riconosceva la responsabilità di Raffaele PIERSANTI, quale amministratore unico della Autotrasporti Stala srl, dichiarata fallita il 19-7-2006, per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. 2. Il ricorso dell'avv. G. Giordani è articolato in due motivi con cui si deducono violazione e a quella patrimoniale. 3. La prima doglianza, muovendo dal rilievo che la corte del territorio aveva ignorato che il Gup, a fronte dell'originaria imputazione di distruzione/occultamento delle scritture contabili, aveva ritenuto l'omessa istituzione di esse e comunque l'irregolare tenuta, con conseguente impossibilità di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, addebita alla sentenza impugnata di essere ritornata alla primitiva imputazione senza aver motivato in ordine alla diversa ipotesi ritenuta dal Gup e in particolare sulla possibilità dell'amministratore prestanome, quale il Piersanti, di sapere che la contabilità era tenuta irregolarmente dall'amministratore di fatto nonché di avere contezza di eventuali sottrazioni poste in essere da altri, tenuto anche conto che già prima dell'ingresso dell'imputato nella compagine societaria, avvenuto circa un anno prima del fallimento allorché aveva assunto anche la carica di amministratore, i precedenti amministratori avevano evidenziato irregolarità nella tenuta della scritture. 4. Con la seconda censura, premesso che le distrazioni erano state quantificate nel capo d'accusa partendo dalle risultanze del bilancio al 31-12-2004, si osservava che il CT dell'imputato aveva evidenziato come l'attività distrattiva avrebbe riguardato crediti indicati nel predetto bilancio della cui veridicità ed esistenza, nonché riscossione e distrazione a fini personali, non era stata fornita motivazione in assenza dei relativi accertamenti che avrebbero potuto essere condotti sulla base dei mastrini clienti e fornitori. Crediti che peraltro alla data del fallimento erano sostanzialmente invariati salvo alcuni incassi di lieve entità destinati al pagamento di debiti sociali. Senza contare che Piersanti era divenuto amministratore sei mesi dopo, durante i quali tutto poteva essere accaduto, come del resto evidenziato dal precedente amministratore Lanciotti che, pochi giorni prima dell'ingresso dell'imputato nella società, aveva denunciato in una missiva a chi lo aveva preceduto nella gestione della società, che la disponibilità di alcuni fondi risultanti contabilmente non era effettiva. 5. Con una seconda censura nell'ambito del secondo motivo il ricorrente lamenta che il dolo della distrazione proprio dell'amministratore prestanome sia stato ritenuto in via presuntiva, senza considerare che Piersanti, divenuto amministratore su richiesta del precedente amministratore Lanciotti (il quale aveva interesse a defilarsi dalla società già dal 2004 fortemente indebitata), e rimasto tale formalmente per un anno (ma in 2 di legge e vizio di motivazione in relazione rispettivamente alla bancarotta documentale realtà per molto meno in quanto nel gennaio 2006 la società era stata sfrattata dall'immobile condotto in locazione), non si era mai effettivamente interessato della gestione della società, ignorando eventuali attività illecite dell'amministratore di fatto, né aveva mai avuto la disponibilità delle scritture contabili, salvo la documentazione aggiornata al 31-3-2005 attestante una disponibilità di fondi non effettiva. 1. Il ricorso è infondato e va disatteso. 2. Quanto alla prima doglianza, che investe la bancarotta fraudolenta documentale, invano l'impugnante assume che la corte territoriale avrebbe ignorato la modifica da parte del Gup dell'originaria imputazione di distruzione/occultamento delle scritture contabili in quella di omessa istituzione delle stesse e comunque di tenuta in modo da non rendere ricostruibili il patrimonio e il movimento degli affari. Invero la corte d'appello ha dato pienamente atto di tale modifica, valutata non in contrasto con il principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza e rispettosa del diritto di difesa, ma, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, non aveva l'onere di motivare sul punto avendo ritenuto, come le era consentito, più aderente alle risultanze la primitiva imputazione, argomentando, sulla base del documento di consegna delle scritture dal precedente amministratore Lanciotti al Piersanti, che esse esistevano ed erano state consegnate al prevenuto, senza che questi ne facesse poi consegna al curatore fallimentare, con conseguente occultamento o sottrazione. 3. Sono conseguentemente irrilevanti le considerazioni circa la possibilità del Piersanti, amministratore prestanome, di sapere che la contabilità era tenuta irregolarmente dall'amministratore di fatto, mentre del tutto infondato si appalesa il rilievo che il predetto potesse non avere contezza della sottrazione posta in essere da altri delle scritture, nella cui tenuta, già prima dell'ingresso dell'imputato nella compagine societaria e della sua assunzione della carica di amministratore, i precedenti amministratori avevano evidenziato irregolarità. 4. Tale rilievo collide infatti, in ogni caso, con il diretto e personale obbligo incombente all'amministratore formale di una società di tenere e conservare le suddette scritture (Cass. 28007/2004). Senza contare, sotto il profilo quanto meno della conoscenza della sottrazione delle scritture, che la corte, con considerazioni di fatto incensurabili in quanto logicamente motivate, ha ritenuto l'esistenza di un accordo fraudolento tra Lanciotti e Piersanti per plurime ragioni, vale a dire che a) quando essi avevano concordato che il secondo acquisisse la totalità delle quote sociali e la carica di amministratore, si conoscevano da appena un mese, b) la società era già notevolmente indebitata, c) la cessione delle quote era avvenuta a costo zero: chiari sintomi della consapevole accettazione da parte dell'imputato di un ruolo di facciata, non scevro 3 CONSIDERATO IN DIRITTO tuttavia, come si vedrà, dal compimento di alcuni atti di gestione che mostrano come non si trattasse di un mero prestanome, destinato a coprire responsabilità altrui. 5. Non è maggiormente fondata la seconda doglianza relativa alla bancarotta fraudolenta patrimoniale. 6. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la conclusione che la differenza tra l'attivo risultante dal bilancio 2004 e l'attivo fallimentare nonché il passivo accertato, pari all'importo di 350 mila euro, era stata distratta, lungi dall'essere arbitraria o rinvenuti presso lo studio che aveva in precedenza tenuto la contabilità. Pertanto le distrazioni sono state ritenute accertate sulla base di essi e dei bilanci, senza contare la verificata sparizione di più autocarri e di due bombole per l'ossigeno. 7. Il percorso argomentativo al riguardo della corte del territorio si pone pertanto in linea con la giurisprudenza di questa corte secondo la quale, quando sia provato che l'imprenditore, e analogamente l'amministratore, ha avuto a disposizione determinati beni, ove non abbia saputo rendere conto del loro mancato reperimento o della loro destinazione per le effettive necessità dell'impresa, se ne deve dedurre la dolosa distrazione, posto che il fallito -o l'amministratore di società fallita- ha l'obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione data ai beni acquisiti al patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della distrazione o dell'occultamento. E con la conseguenza ulteriore della sussistenza della bancarotta patrimoniale allorché vi sia un consistente divario tra la massa attiva e quella passiva, privo di adeguata giustificazione nelle necessità economiche dell'impresa (Cass. 7726/1993, 7569/1999, 22894/2013). 8. Né le argomentazioni della decisione impugnata sono scalfite dalla circostanza che Piersanti fosse divenuto amministratore sei mesi dopo il bilancio del 2004 o dal fatto che il precedente amministratore Lanciotti, pochi giorni prima dell'ingresso dell'imputato nella società, avesse denunciato in una missiva a chi lo aveva preceduto nella gestione, che la disponibilità di alcuni fondi risultanti contabilmente non era effettiva, stante il patto fraudolento Lanciotti/Piersanti, di cui sopra, intervenuto alle soglie del fallimento. 9. Anche il secondo profilo della seconda doglianza va disatteso. 10. Diversamente da quanto assunto dal ricorrente, il dolo della distrazione non è stato ritenuto in via meramente presuntiva, in quanto, nel pur breve periodo -e per questo maggiormente sospetto- di amministrazione del Piersanti, questi, secondo il provvedimento impugnato, oltre a rispondere sotto il profilo oggettivo delle conseguenze della condotta dell'amministratore di fatto che egli, in virtù della carica, aveva l'obbligo giuridico di impedire, e a rispondere, sotto quello soggettivo, degli eventi di cui aveva avuto anche semplicemente generica consapevolezza (non essendo necessario, per integrare l'elemento psicologico della bancarotta, che tale 4 immotivata, è frutto dell'esame da parte del CT del PM dei mastrini clienti e fornitori consapevolezza investa i singoli episodi di distrazione ed occultamento, pur non potendo essa presumersi in base al semplice dato di avere il soggetto acconsentito a ricoprire formalmente la carica predetta: Cass. 3328/1998, 28007/2004), si era effettivamente interessato della gestione della società procedendo al licenziamento di dipendenti e alla vendita di un autocarro, nonché intrattenendo rapporti con le banche, così dimostrando di ben conoscere la reale situazione della società, come detto già fortemente indebitata. processuali. P. Q. M Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, 1'8-1-2014 Il consigliere est. 11.AI rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese

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